IL GERMANO CHE BRANDIVA LA SPADA SEMBRÒ DELIZIATO "Tagliamo la testa?" Il suo nome, GUNTHER, era riportato anche sulla targhetta del nome sulla divisa. "Non ancora." Luguselwa tenne gli occhi su di noi. "Come potete notare, Gunther adora decapitare le persone, per cui cercate di fare i bravi. Venite—" "Lu," disse Meg. "Perché?" Quando si trattava di esprimere dolore, la voce di Meg era un ottimo strumento. L'avevo sentita piangere per la morte dei nostri amici. L'avevo sentita descrivere l'omicidio di suo padre. Avevo captato la rabbia che provava nei confronti del suo padre adottivo, Nerone, per il fatto che avesse ucciso suo padre e le aveva manipolato la mente con anni di abusi emotivi. Ma quando si era rivolta a Luguselwa, la voce di Meg era suonata in una chiave completamente diversa. Sembrava come se la sua migliore amica avesse appena smembrato la sua bambola preferita senza alcun motivo né preavviso. Sembrava ferita, confusa, incredula — come se, in una vita piena di umiliazioni, questa fosse un'umiliazione che non avrebbe mai potuto concepire. I muscoli della mascella di Lu si irrigidirono. Le vene erano gonfie sulle sue tempie. Non riuscivo a capire se fosse arrabbiata, se si sentisse in colpa o se si stesse solo mostrando commossa. "Ricordi di quanto ti ho parlato di dovere, Fiorellino?" Meg deglutì. "Lo ricordi, eh?" notò Lu, con voce tagliente. "Sì," ammise Meg in un sussurro. "Allora prendi le tue cose e vieni." Lu spinse la spada di Gunther lontano dal collo di Meg. L'omone si lamentò con un "Hmph" sconfitto, che immaginai fosse la versione Germanica per 'non posso mai divertirmi'. Con aria perplessa, Meg si alzò e aprì il vano portaoggetti sopra il sedile. Non riuscivo a capire perché seguisse così passivamente gli ordini di Luguselwa. Avevamo combattuto contro probabilità ben peggiori. Chi era questa Gaul? "Tutto qui?" Mormorai mentre Meg mi passava lo zaino. "Ci stiamo arrendendo?" "Lester," mormorò Meg, "Fai solo quello che dico." Mi misi lo zaino in spalla, poi presi l'arco e la faretra. Meg si sistemò velocemente la cintura per il giardinaggio alla vita. Lu e Gunther non sembravano preoccupati del fatto che io fossi armato di freccie e che Meg avesse un'intera cernita di semi. Mentre sistemavamo le nostre cose, i passeggeri mortali ci lanciarono sguardi seccati, ma nessuno ci zittì, probabilmente perché non volevano far arrabbiare i due grossi conduttori che ci stavano scortando fuori. "Per di qua." Lu indicò con la sua balestra l'uscita dietro di lei. "Gli altri stanno aspettando." Gli altri? Non volevo più incontrare altri Gauls o Gunther, ma Meg seguì umilmente Lu attraverso le doppie porte di plexiglas. Io andai subito dopo di lei, e Gunther venne dietro di me. Sentii il suo fiato sul collo; probabilmente stava riflettendo su quanto sarebbe stato facile separare la mia testa dal resto del corpo. Una passerella collegava la nostra carrozza a quella successiva: un corridoio rumoroso e traballante con doppie porte automatiche su entrambi i lati, un bagno delle dimensioni di un armadio in un angolo e le porte esterne a babordo ea tribordo. Pensai di lanciarmi fuori da una delle uscite e sperare per il meglio, ma temevo che "il meglio" avrebbe significato morire all'impatto con il suolo. Fuori era buio pesto. A giudicare dal rombo dei pannelli di lamiera ondulata sotto i miei piedi, immaginai che il treno andasse ben oltre i cento miglia all'ora. Attraverso le porte di plexiglas più lontane, vidi la carrozza ristorante: un lugubre bancone era posizionato lungo tutto il corridoio, ad esso erano accostati una mezza dozzina di grossi uomini... altri Germani. Là dentro non sarebbe successo niente di buono. Se Meg e io avessimo voluto chiedere una pausa, questa era la nostra occasione. Prima che potessi fare qualsiasi tipo di mossa disperata, Luguselwa si fermò bruscamente appena prima delle porte della carrozza ristorante. Si voltò a guardarci. "Gunther," sbottò, "controlla che il bagno sia a posto." Le direttive sembrarono confondere Gunther tanto quanto me, anche perché sembrava che lui non avesse per nulla idea di quali tipologie di controlli sarebbero potuti essere necessari. Mi domandai perché Luguselwa sembrasse tanto paranoica. Temeva forse che vi fosse una legione di semidei nascosta pronta a salvarci? O forse, così come era capitato a me, una volta aveva sorpreso un ciclope mentre si stava dirigendo al bagno e ne sarà rimasta traumatizzata abbastanza da non riuscire a fidarsi più dei bagni pubblici. Dopo un breve scambio di sguardi, Gunther mormorò "Hmph" e fece come gli era stato detto. Non appena infilò la testa nel cubicolo, Lu ci fissò con uno sguardo complice. "Quando attraverseremo il tunnel per New York," disse, "dovrete chiedere entrambi di poter usare il bagno." Avevo ricevuto una caterva di ordini strani nel corso degli anni, molti dei quali erano stati da parte di Meg, ma questo riuscì comunque a sorprendermi. "In effetti, io avrei bisogno di andarci adesso," ammisi. "Tienila," sentenziò lei. Guardai Meg per cercare di capire se tutta la situazione avesse una qualche senso per lei, ma lei avevo lo sguardo fisso ed angustiato sul pavimento. Gunther riemerse dal bagno. "Non c'è nessuno." "Molto bene, allora," disse Lu. "Andiamo." Ci condusse all'interno della carrozza ristorante. Sei Germani si voltarono a guardarci, i pugni sempre serrati su tazzine da caffè e pastine. Barbari! Chi mai mangerebbe pastine da colazione a quell'ora della notte? I guerrieri erano vestiti esattamente come Gunther. Uno di loro, con il nome di AEDELBEORT segnato sulla targhetta (uno dei nomi più popolari tra i germani nati nel 162 d.c.) sbraitò contro Lu in un linguaggio che non riconobbi. Lu rispose nella stessa lingua. La sua risposta sembrò accontentare i guerrieri, che tornarono a concentrarsi sui loro pasti. Gunther si unì a loro, lamentandosi di quanto fosse arduo oggigiorno riuscire a trovare dei nemici che si potessero effettivamente decapitare. "Sedetevi," ci intimò Lu, indicando dei posti accanto al finestrino. Meg vi scivolò sopra tristemente. Io mi sistemai di fronte a lei, tenendo stretto il mio arco, la faretra e sistemando lo zaino accanto a me. Lu rimase a portata d'orecchio, nel caso in cui avessimo cercato di architettare un piano di fuga. Ma non doveva preoccuparsi di ciò. Meg continuò a non incontrare il mio sguardo. Mi domandai ancora chi fosse Luguselwa e cosa significasse per Meg. Non una volta nei nostri mesi di viaggio Meg l'aveva menzionata. Questo fatto mi disturbò non poco. Piuttosto che indicare il fatto che Lu non fosse importante, mi fece sospettare che fosse davvero molto importante invece. E perché una Gaul? Le Gaul erano state creature insolite nella Roma di Nerone. Quando era divenuto imperatore, la maggior parte di loro era stata conquistata e "civilizzata" con la forza. Coloro che indossavano ancora tatuaggi e piercing e vivevano secondo i vecchi modi erano state spinte ai margini della Bretagna o costrette a migrare sulle isole britanniche. Il nome Luguselwa... Il mio gallico non era mai stato molto buono, ma pensai significasse l'amata del dio Lugus. Rabbrividii. Quelle divinità celtiche erano un gruppo strano e feroce. I miei pensieri erano troppo sconvolti per risolvere quel nuovo mistero. Continuavo a ripensare al povero amphisbaena che aveva ucciso; un innocuo pendolare mostro che non sarebbe mai tornato a casa da sua moglie, tutto perché una profezia lo aveva reso la sua pedina. Il suo messaggio mi aveva lasciato turbato — una terzina, come quella che avevo ricevuto al Campo Giove:
«Figlio di Zeus, l’ultima sfida affronta La torre di Neron due saliranno Scaccia la bestia che ti reca onta.»
Sì, l'avevo memorizzata. Ora avevamo ricevuto delle nuove istruzioni, chiaramente legate a quelle precedenti. Stupido Dante e stupida struttura infinita da poema:
«Il figlio di Ade, amico sarà, Mostrare la via segreta per il trono potrà. Dalla vita di Nerone, la tua stessa dipenderà.»
Conoscevo un figlio di Ade: Nico di Angelo. Probabilmente si trovava ancora al Campo Mezzosangue a Long Island. Se avesse avuto la possibilità di scovare qualche via segreta per il trono di Nerone, non avrebbe comunque mai avuto la possibilità di mostrarcelo a meno che non fossimo sfuggiti a questo treno. L'ultima riga del nuovo verso era semplicemente crudele. In quel momento eravamo circondati da seguaci di Nerone, quindi ovviamente le nostre vite dipendevano da lui. Volevo credere che ci fosse dell'altro in quella frase, qualcosa di positivo... magari legato al fatto che Lu ci aveva ordinato di andare in bagno quando saremo passati per il tunnel che conduceva a New York. Ma data l'espressione ostile di Lu e la presenza dei suoi sette amici Germanici fortemente rinvigoriti dalla caffeina e da alimentati zuccherati, non mi sentivo particolarmente ottimista. Mi dimenai sul sedile. Oh, perché avevo pensato al bagno? Avevo davvero bisogno di andarci adesso. Fuori, i cartelloni pubblicitari illuminati del New Jersey erano caratterizzati da annunci di concessionari di automobili dove si poteva comprare un'auto da corsa poco pratica; di avvocati specializzati in infortuni che potevano essere assunti per incolpare gli altri conducenti una volta che ci si fosse schiantati con una delle suddette auto da corsa; di un casinò in cui si sarebbe potuto scommettere i soldi vinti nella causa per lesioni. Il grande cerchio della vita. Meg rimase ferma, così cercai di farlo anch'io. Presto sarebbe arrivato il tunnel per New York. Forse, invece di chiedere di usare il bagno, saremmo potuti entrare in azione contro i nostri rapitori. Lu sembrò leggere i miei pensieri. "È una buona cosa che vi siate arresi. Nerone ha altre tre squadre disseminate lungo il treno. Senza contare che ogni passaggio — ogni treno, bus o volo per Manhattan — è tutto coperto. Nerone ha l'Oracolo di Delfi dalla sua parte, ricordate. Sapeva dove sareste stati questa notte. Non sareste mai riusciti a raggiungere la città senza venire catturati." Quello fu un modo per distruggere tutte le mie speranze. Dirmi che Nerone si fosse alleato con Pitone facendolo scrutare nel futuro per suo conto era una cosa, ma informarmi del fatto che stesse usando il mio sacro Oracolo contro di me... è pesante. Meg, tuttavia, si rianimò improvvisamente, come se qualcosa che Lu aveva detto le avesse dato speranza. "Allora come mai sei stata tu a trovarci, Lu? Solo fortuna?" I tatuaggi di Lu si incresparono mentre fletteva le braccia, i cerchi celtici vorticosi mi fecero venire il mal di mare. "Ti conosco, Fiorellino," disse. “So come seguirti. Non centra niente la fortuna." Avrei potuto pensare a diversi dèi della fortuna che sarebbero stati in disaccordo con questa sua affermazione, ma decisi di non mettermi a discutere. Essere prigioniero aveva smorzato il mio desiderio di chiacchierare. Lu si rivolse ai suoi compagni. "Non appena arriveremo alla Penn Station, condurremo i prigionieri vino alla squadra di scorta. Non voglio che si commettano errori. Che nessuno uccida la ragazza o il dio a meno che non sia strettamente necessario." "È necessario adesso?" domandò Gunther. "No," ribatté Lu. "Il princeps ha dei piani per loro. Li vuole vivi." Il princeps. Nella mia bocca si formò un sapore amaro, più amaro del caffé che stavano bevendo su quella carrozza. Marciare attraverso la porta d'ingresso della sede di Nerone non era il modo in cui avevo programmato di affrontarlo. Un momento prima stavamo attraversando una terra desolata caratterizzata null'altro che da magazzini e cantieri navali. L'attimo successivo, ci immergemmo nell'oscurità, entrando nel tunnel che ci avrebbe portato sotto il fiume Hudson. All'interfono, un annuncio confuso ci informò che la nostra prossima tappa sarebbe stata la Penn Station. "Devo fare pipì," avvertì Meg. Io la guardai, confuso. Stava seriamente seguendo le strane istruzioni di Meg? La Gaul ci aveva catturati ed ucciso un serpente a due teste innocente. Perché mai si fidava? Meg premette la scarpa sul mio piede, pestandomelo con vigore. "Sì," gracchiai. "Anche io dovrei fare pipì." Per me, per lo meno, era alacremente vero. "Tenetevela," grugnì Gunther. "Ma mi scappa." Meg iniziò a saltellare su e giù. Lu sospirò. La sua espressione non sembrava affatto finta. "Molto bene." Si rivolse alla sua squadra. "Li porto io. Voi altri rimanete qui e preparatevi per scendere." Nessuno dei Germani obiettò. Probabilmente avevano sentito Gunther lamentarsi del servizio igienico. Fecero fuori le ultime pastine e andarono a recuperare il proprio equipaggiamento mentre io e Meg lasciavamo i nostri posti. "Stai lasciando indietro le tue cose," mi ricordò Lu. Sbattei le palpebre. Giusto. Chi mai andrebbe in bagno senza portarsi dietro le proprie frecce e la faretra? Sarebbe stupido. Raccolsi il tutto. Lu ci riaccompagnò indietro lungo il corridoio. Non appena le porte si furono chiuse alle nostre spalle, mormorò "Ora." Meg si precipitò verso la carrozza in cui eravamo seduti fin dal principio. "Ehy!" Lu mi spinse da parte, fermandosi abbastanza a lungo da mormorare, "Blocca la porta. Scollega gli allineatori," poi corse dietro a Meg. Non avevo capito. Due scimitarre lampeggiarono nelle mani di Lu. Aspetta — aveva lei le spade di Meg? No. Poco prima della fine del corridoio, Meg si voltò verso di lei evocando le proprie, e le due ragazze combatterono come demoni. Erano entrambe dimachaeri, una tipologia rara di gladiatori? Ciò voleva dire che — non avevo tempo per riflettere su ciò che volesse dire. Dietro di me, i Germani urlarono e corsero verso di noi. Avrebbero varcato le porte da un momento all'altro. Non capivo esattamente che cosa fosse successo, ma il mio stupido cervello mortale venne attraversato, solo per un breve secondo, dall'idea che forse, e dico forse, Lu stesse cercando di aiutarci. Se non avessi bloccato le porte come aveva chiesto, saremmo stati raggiunti da sette rabbiosi barbari con le mani sporche e appiccicaticce. Sbattei il piede contro la base delle doppie porte. Non c'erano maniglie, così dovetti premere i palmi contro i pannelli per tenerli assieme ed impedire che si aprissero. Gunther corse verso le porte a tutta velocità, l'impatto quasi non mi fece slogare la mascella. Gli altri Germani si accalcarono dietro di lui. I miei unici vantaggi erano lo spazio ristretto in cui si trovavano, il che rendeva loro difficile muoversi date le dimensioni. Invece di lavorare assieme per cercare di aprire le porte, si spinsero semplicemente l'uno contro l'altro, usando la testa di Gunther come se fosse un ariete. Dieto di me, Lu e Meg si fendevano colpi vicendevolmente, le loro lame risuonavano furiosamente l'una contro l'altra. "Molto bene, Fiorellino," disse Lu sottovoce. "Ricordi la tua formazione." Poi disse più forte, in modo che tutti potessero sentire: "Ti ucciderò, sciocca ragazzina!" Immaginai come doveva apparire tale scena ai Germani dall'altra parte del plexiglas: la loro compare Lu, intrappolata in un combattimento con un prigioniero evaso, mentre io cercavo di trattenerli. Iniziavo a perdere sensibilità alle mani. Mi facevano male i muscoli delle braccia e del torace. Mi guardai intorno disperatamente alla ricerca di una serratura di emergenza, ma c'era solo un pulsante di APERTURA di emergenza. A che cosa serviva? Il treno sfrecciava attraverso il tunnel. Stimai che avremmo avuto solo pochi minuti prima di raggiungere la Penn Station, dove la "squadra di scorta" di Nerone ci stava aspettando. Non volevo essere scortato. Scollega gli allenatori, mi aveva detto Lu. Come avrei dovuto farlo, soprattutto nel mentre tenevo chiuse le porte della carrozza? Non ero un ingegnere ferroviario! I ciuf-ciuf erano più il campo di Efesto. Mi guardai intorno. Incredibilmente, non vi era nessun pulsante chiaramente etichettato che consentisse ad un passeggero comune di scollegare le varie carrozze del treno. Che cosa c'era di sbagliato nella compagnia Amtrak? Ecco! Sul pavimento vi era una serie di alette metalliche incernierate che si sovrapponevano, creando una superficie sicura su cui i passeggeri potessero camminare quanto il treno girava. Uno di quei lembi era stato aperto con un calcio. Forse era stata Lu mentre passava. Anche se fossi riuscito a raggiungerlo da lì dove mi trovavo, cosa che ovviamente ero impossibilitato a fare al momento, dubitavo che avrei avuto la forza e la destrezza per raggiungere il collegamento, tagliare i cavi e fare leva sul morsetto. Lo spazio tra i pannelli del pavimento era troppo stretto, l'allineamento troppo in basso. Anche solo per riuscire a colpirlo dalla mia posizione attuale, sarei dovuto essere il più grande arciere del mondo! Oh, aspetta... Contro il mio petto, le porte iniziarono a piegarsi sotto il peso dei sette barbari. Una lama d'ascia sporse dal rivestimento di gomma finendo vicino al mio orecchio. Girarsi per poter tirare con il mio arco sarebbe stata una follia. Sì, pensai istericamente. Facciamolo. Guadagnai tempo tirando fuori una freccia e scoccandola attraverso lo spazio tra le porte. Gunther ululò di dolore. La pressione si allentò mentre il gruppo di Germani si raddrizzava. Mi voltai in modo che la mia schiena fosse rivolta verso il plexiglas, il tallone premuto contro la base delle porte per cercare di mantenerle bloccate. Armeggiai con il mio arco e riuscii a incoccare un'altra freccia. Il mio nuovo arco era un'arma di livello divino, proveniente dalle scorte del Campo Giove. Le mie abilità da arciere erano migliorate drasticamente negli ultimi sei mesi. Eppure, fu comunque una pessima idea. Era impossibile scoccare adeguatamente una freccia con il gomito che nell'indietreggiare era limitato dalla superficie dura delle porte. Non potevo tirare abbastanza la corda. Provai comunque a tirare. La freccia scomparve tintinnando contro il pavimento, mancando completamente il bersaglio. "Arrivo alla Penn Station tra un minuto," disse una voce nel sistema di avvertimento. "Le porte si apriranno sulla sinistra." "Siamo agli sgoccioli!" Esclamò Lu, cercando di colpire la testa di Meg. Meg colpì in basso, quasi riuscendo a pugnalare la coscia della gaul. Lanciai un'altra freccia. Questa volta la punta tintinnò contro la fibbia, ma i vagoni rimasero ostinatamente collegati. I Germani ricominciarono a battersi contro le porte. Un pannello di plexiglas scattò fuori dal suo posto. Un pugno si allungò verso di me e mi afferrò per la maglietta. Con un urlo disperato, mi allontanai barcollando via dalle porte e tirai un'ultima freccia. Questa recise i cavi e finì per sbattere contro l'allineamento. Con un tremore, l'allineamento si ruppe. I Germani si riversarono sulla passerella mentre io balzavo oltre lo spazio che si stava allargando tra le due carrozze. Quasi non finii contro le scimitarre di Meg e Lu, ma in qualche modo riuscii a riprendere in tempo l'equilibrio. Mi voltai mentre il resto del treno sfrecciava nell'oscurità a settanta miglia all'ora e i sette Germani ci fissavano increduli urlando insulti che non ho intenzione di riportare. La nostra carrozza disaccoppiata proseguì per qualche altro metro, per poi rallentare fino a fermarsi. Meg e Lu abbassarono le armi. Una coraggiosa passeggera della carrozza osò sporgere la testa e chiedere che cosa stesse succedendo. Io la zittii. Lu mi lanciò un'occhiataccia contrariata, "Ti ci è voluto un sacco di tempo, Lester. Ora, muoviamoci prima che i miei uomini tornino."
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