DURANTE il primo anno, prima che Eli avesse mai messo piede nel campus, Angie era stata attratta da Victor. In qualche modo erano l’uno l’opposto dell’altra – Angie non sembrava prendere niente sul serio, e Victor sembrava non prendere nulla alla leggera – ma erano simili sotto altri aspetti; entrambi giovani, pericolosamente intelligenti e privi di pazienza quando si trattava della solita folla universitaria e delle loro avversioni nei confronti dei genitori. A causa dei loro sentimenti similari, Victor ed Angie si erano trovati in sintonia nel fuggire da situazioni nelle quali non avrebbero voluto essere, da persone con le quali avrebbero preferito non stare. E così, un giorno, seduti nella sala mensa, avevano escogitato un messaggio criptato abbastanza rudimentale. Salvami. Il codice era stato creato con l’idea di usarlo con parsimonia, ma sempre rispettato. Salvare prima, fare domande più tardi. Quando veniva inviato un messaggio con un indirizzo, significava che uno dei due aveva disperatamente bisogno che l’altro lo salvasse, sia da una festa, da una sessione di studio o da un appuntamento disastroso. Victor non aveva mai avuto il lusso di avere un appuntamento con Angie, disastroso o meno, a meno che non si contasse le volte che avevano mangiato insieme dopo essersi salvati a vicenda. Le notti trascorse nello stesso ristorante fuori dalla zona universitaria a riempirsi di frullati e patatine a raccontarle degli idioti che frequentavano il suo stesso corso di studio. Lei rideva e finiva parlando di quanto fosse stato goffo il suo appuntamento. Victor alzava gli occhi al cielo quando a lei capitava di menzionare delle offese poco carine, pensando a come lui avrebbe agito diversamente e a quanto fosse grato che qualcuno – chiunque – avesse spinto Angie Knight a voler essere salvata. E da lui. Salvami. Era passato quasi un anno e mezzo da quando Victor aveva pensato di usare quel codice. L’ultima volta era stato prima di Eli – e certamente prima che Eli ed Angie fossero diventati una sola entità – ma lei arrivò comunque a salvarlo. Fermò la macchina davanti alla casa della confraternita, proprio dove Victor la stava aspettando dopo essersi calato dalla stessa finestra dalla quale aveva gettato il libro scritto dai suoi genitori. E per un momento, un singolo istante, dopo essere salito in macchina e prima che spiegasse, era come se fosse tornato ad essere una matricola, solo loro due in fuga da una brutta serata, e lui voleva così tanto rimanere in silenzio fino ad arrivare al loro solito fast-food. Sarebbero rimasti accasciati suoi sedili, avrebbero riso, e in qualche modo sarebbe andato tutto quanto a posto. Ma poi lei domandò dove fosse Eli e quel momento passò. Victor chiuse gli occhi e le chiese di accompagnarlo ai laboratori di ingegneria. “Sono chiusi,” sbottò lei mentre guidava l’auto in quella direzione. “Tu hai la carta magnetica.” “E cosa devi fare?” Victor si sorprese nello scoprire di volerle dire la verità. Sapeva della tesi di Eli, ma le raccontò della loro scoperta più recente, del ruolo delle NDE. Le raccontò del suo desiderio di testare la teoria, rivelandole il suo piano. L’unica cosa che tralasciò di dirle era che Eli lo aveva già fatto con successo. Angie rimase in silenzio guidava, le nocche sbiancate nello stringere il volante, le labbra strette, mentre lasciava parlare Victor. Lui finì proprio mentre entravano nel parcheggio dei laboratori di ingegneria, e non disse nulla finché non ebbe parcheggiato, spento il motore e si mise comoda sul sedile per affrontarlo. “Sei andato fuori di testa?” gli chiese. Victor sorrise. “Non credo.” “Fammi capire bene,” disse lei. I suoi capelli corti e rossi le incorniciavano il viso. “Pensi che morendo e tornando in vita, tu riesca a diventare uno degli X-Men?” Victor rise. Gli si inaridì la gola. “Speravo qualcosa che si avvicini a Magneto.” Il tentativo di alleggerire la situazione fallì miseramente, a giudicare dallo sguardo a metà tra lo sconvolgimento e l’orrore sulla faccia di Angie. “Ascolta,” disse lui, riflettendo. “So che sembra assurdo –” “Certo che lo sembra. È assurdo. Da pazzi. E non ho intenzione di aiutarti a farlo.” “Non voglio morire.” “Mi hai appena detto di volerti uccidere.” “Beh, non tanto da rimanerci secco.” Lei si stropicciò gli occhi, appoggiò la fronte al volante ed emise un gemito. “Ho bisogno di te, Angie. Se non mi aiuterai –” “Non osare rigirare la frittella in questo modo –” “ – proverò a farlo di nuovo da solo –” “Di nuovo?” “ – facendo qualcosa di stupido di cui non mi pentirò.” “Possiamo trovare qualcuno che ti aiuti.” “Non sono un suicida.” “No, ma sei uscito di senno.” Victor inclinò la testa contro il sedile. Qualcosa vibrò nella sua tasca. Eli. Lo ignorò, sapendo che non importava dal momento che Eli avrebbe comunque contattato Angie a momenti. Non aveva molto tempo. Di certo, non abbastanza per convincerla ad aiutarlo. “Perché non puoi solo…,” mormorò Angie ancora contro il volante, “… non so, un’0verdose? Fare qualcosa di tranquillo e pacifico?” “È importante che sia doloroso,” spiegò Victor, trasalendo interiormente. Non era troppo arrabbiata per quello che stava facendo, allora. Solo per il fatto che stesse cercando di coinvolgerla. “Dolore e paura,” aggiunse. “Sono entrambi dei fattori importanti. Diamine, Eli si è ucciso in una vasca da bagno piena di ghiaccio.” “Che cosa?” Un sorriso triste e trionfante gli si formò sulle labbra. Victor sapeva che Eli non lo aveva ancora detto ad Agnie. Ci contava. Il senso di tradimento si fece largo nello sguardo della ragazza. Scese, sbatté lo sportello e vi ci si accasciò contro. Victor la seguì, lasciando le proprie impronte sulla neve ora più fitta. Osservò per un attimo il cellulare di lei, lasciato sul sedile del conducente. Una luce rossa lampeggiò, ma Victor non disse nulla e rivolse la propria attenzione ad Angie. “Quando è successo?” domandò lei. “La scorsa notte.” La ragazza teneva lo sguardo fisso verso la neve sull’asfalto. “Ma quando l’ho visto questa mattina, Vic. E stava bene.” “Esattamente. Perché ha funzionato. Funzionerà anche per me.” Lei gemette. “È pazzesco. Sei matto.” “Sai che non è così.” “Perché dovrebbe…” “Non ti ha detto proprio niente?” la punzecchiò Victor, rabbrividendo sotto la sua giacca leggera. “Si è comportato in modo strano ultimamente,” borbottò. Poi la sua attenzione si restrinse su argomento preciso. “Quello che mi stai chiedendo di fare… è da matti. È tortura.” “Angie…” Lei alzò lo sguardo, gli occhi fiammeggianti. “Nemmeno ti credo, ma cosa succederebbe se qualcosa andasse storto?” “Non succederà.” “Ma se succedesse?” Il suo telefono vibrò insistentemente nella sua tasca. “Non può,” insistette con più calma possibile. “Ho preso una pillola.” Angie aggrottò le sopracciglia. “Eli ed io,” iniziò a spiegare lui, “abbiamo isolato alcuni composti adrenalinici che si attivano durante delle determinate situazioni. Le abbiamo estrapolate e questa pillola essenzialmente agisce come attivatore.” Era tutta una bugia, ovviamente, ma osservò che la finta esistenza di questa pillola ebbe un qualche impatto su Angie. La scienza, anche quella completamente inventata, faceva il suo effetto. Angie imprecò e infilò le mani nelle tasche della giacca. “Cavolo, fa freddo,” mormorò, iniziando a dirigersi verso la porta principale dell’edificio. Il laboratorio di ingegneria era di per sé un problema, Victor lo sapeva. C’erano delle videocamere di sicurezza. Se qualcosa fosse andato storto, ci sarebbe stato un filmato come prova. “Dov’è Eli adesso?” chiese lei mentre passava la sua carta d’accesso nel meccanismo di apertura. “Se state lavorando insieme a questa cosa, perché sei venuto qui con me?” “È impegnato ad assaporare il suo nuovo status di divinità,” disse Victor amaramente, seguendola attraverso l’ingresso, scrutando il soffitto con gli apparecchi di registrazione. “Ascolta, tutto quello che ti chiedo di fare è di usare l’elettricità per mettermi fuori gioco. La pillola farà il resto.” “Studio le correnti e gli effetti sui dispositivi, Victor, non le persone.” “Un corpo è esattamente come una macchina,” disse lui piano. Lei si fece strada attraverso uno dei laboratori di ingegneria elettronica e azionò un interruttore. Metà delle luci si accesero. L’attrezzatura era accatastata lungo una parete: diverse varie macchine, alcune dall’aspetto di macchine mediche o altre tipologie. La stanza era piena di banconi, lunghi e sottoli ma abbastanza grandi per appoggiarci un corpo. Notò Angie vacillare accanto a lui. “Dovremmo pianificare le varie fasi del piano per bene,” disse. “Dammi un paio di settimane, e forse potrei riuscire a modificare alcune delle attrezzature per –” “No,” ribatté Victor, avvicinandosi alle macchine. “Devo farlo questa sera.” Lei sembrava atterrita, ma prima che potesse protestare, lui proseguì ad elaborare la sua bugia. “Questa pillola di cui ti ho parlato… L’ho già presa; e non è come un interruttore, che si accende o si spegne a seconda di come sta il corpo.” Incrociò il suo sguardo, lo sostenne e pregò in silenzio che lei non avesse la minima conoscenza del campo chimico. “Se non lo faccio presto, Angie –” improvvisò una smorfia teatrale “– il composto mi ucciderà.” Lei impallidì. Lui trattenne il respiro. Il suo cellulare vibrò nuovamente. “Quanto tempo abbiamo?” domandò lei infine. Fece un passo verso di lei, lasciando che una delle gambe si piegasse sotto ad un qualche sforzo immaginario. Si aggrappò al bordo del bancone più vicino con una smorfia, e trovò il suo sguardo mentre il ronzio nella sua tasca si fermava. “Alcuni minuti.”
♦ ♦ ♦ ♦ ♦ “È pazzesco,” mormorò Angie nel mentre aiutava Victor, legandogli le gambe sul tavolo. Victor temeva che anche adesso, con le macchine lì intorno che si accendevano e le sue gambe legate con un cinturino di gomma intorno alle caviglie, lei potesse tirarsi indietro, così raddoppiò la manifestazione del suo finto dolore, raggomitolandosi su sé stesso. “Victor,” disse lei con urgenza. “Victor, stai bene?” C’era del panico vero nella sua voce e lui dovette trattenere l’impulso di fermarsi con quella finta, di calmarla e promettere che sarebbe andato tutto bene. Invece annuì e la intimò a denti stretti: “Sbrigati.” Lei si affrettò a finire di legarlo, gli mostrò le barre rivestite di gomma sul tavolo dove poteva mettere le mani. Il suo cespuglio di capelli rossi era sempre sembrava elettrizzata, ma quella sera sembrava ancora più frastagliati. La faceva sembrare ancora più ossessionata. Bellissima. Il primo giorno che l’aveva conosciuta, aveva un aspetto più o meno così. Era stato caldo, per essere settembre; le sue guance erano arrossate e i suoi capelli avevano avuto come una vita propria. Lui aveva alzato lo sguardo dal suo libro di testo e la vide, in piedi vicino all’ingresso della sala mensa, stringendo una cartellina mentre i suoi occhi vagavano per la sala persi ma indifferenti. Poi aveva posato lo sguardo sul tavolo dove era seduto Victor e il suo sguardo si illuminò. Attraversò la stanza e scivolò senza preambolo nella sedia di fronte a lui. Non parlarono nemmeno, quel primo giorno. “Victor.” La voce di Angie che pronunciava il suo nome lo riportò su quel freddo tavolo del laboratorio. “Voglio che tu sappia,” disse lei mentre iniziava a sistemare i sensori sul suo petto, “che non ti perdonerò mai per questo.” Lui rabbrividì sotto il suo tocco. “Lo so.” La sua giacca ed la maglietta erano gettate su una sedia, con in cima il contenuto delle sue tasche. Tra le chiavi, il portafoglio e la tessera del laboratorio di specializzazione medica, c’era il suo telefono con la suoneria spenta, ma lo schermo che si illuminava lampeggiando ogni tanto, segnando l’arrivo di messaggi sia scritti che vocali. Victor sorrise cupamente. Troppo tardi, Eli. Adesso è il mio turno. Angie era in piedi accanto ad uno dei macchinari, in attesa. La macchina stessa stava ronzando. Lo sguardo di lei venne catturato da qualcosa, lei lo afferrò e tornò indietro verso di lui. Era un altro nastro di gomma. “Sai cosa fare,” le disse Victor, sorpreso dalla calma nella sua voce. “Inizia con delle scariche basse, poi aumentale di grado.” “Spegnere e accendere,” rifletté lei in un sussurro, prima di posizionargli il nastro sulla bocca. “Cerca di morderlo, e non ti ferirai la lingua.” Victor fece un ultimo respiro profondo e si sforzò di aprire la bocca. Poteva farcela. Se ce l’aveva fatta Eli, ci sarebbe riuscito anche lui. Angie tornò al macchinario. I loro sguardi si incontrarono e per un istante tutto il resto svanì: il laboratorio, le macchine ronzanti, l’esistenza degli EO, di Eli e di tutti quegli anni trascorsi da quando Victor ed Angie avevano condiviso un milkshake – e lui era semplicemente felice che lei lo avesse guardato di nuovo. Che lo avesse visto. Poi, lei chiuse gli occhi, e azionò il quadrante con un solo tocco, e l’unica cosa a cui Victor riuscì a pensare fu il dolore.♦ ♦ ♦ ♦ ♦ VICTOR rimase disteso sul tavolo sudando freddo. Non riusciva a respirare. Ansimò, aspettandosi una pausa, un momento per riprendersi. Aspettandosi che Angie cambiasse idea, si fermasse, si arrendesse. Ma Angie riattivò la scarica. Morse il cinturino di gomma così forte che quasi non pensò che i suoi denti si sarebbero spezzati, facendosi sfuggire un altro gemito. Pensò che Angie lo avesse sentito, dal momento che spense la macchina, ma subito dopo la riaccese. E di nuovo. Poi, ancora. Victor pensò che sarebbe svenuto, ma prima che potesse farlo, la scarica si azionò di nuovo e lo spasmo di dolore lo fece rimanere cosciente, ancora sul tavolo nel bel mezzo della stanza, senza possibilità di ignorarlo. Il dolore lo mantenne lì, attraversando ogni nervo di ogni arto. Cercò di levarsi cinturino di gomma, ma non riuscì ad aprire la bocca. La sua mascella era bloccata. Un’altra scossa. Ogni volta che Victor pensava che il livello di scarica non potesse andare oltre, il dolore non faceva che peggiorare e Victor non poteva fare altro che urlare nonostante la gomma tra i denti e sentire ogni nervo del suo corpo spezzarsi. Avrebbe voluto che si fermasse. Avrebbe voluto che le sue parole non venissero interrotte dal cinturino e che non giungessero nuove scariche. L’oscurità lo circondò e in un primo momento la accolse con piacere, perché voleva dire che il dolore si sarebbe fermato, ma allo stesso tempo non voleva morire, per cui la temeva e cercò di allontanarvisi violentemente. Altra scarica. Le sue mani dolevano, strette al tavolo. Altra scarica. Desiderò per la prima volta nella sua vita credere in Dio. Altra scarica. Sentì il suo cuore saltare un battito, lo sentì vacillare e poi velocizzare. Altra scarica. E tutto si fermò. |