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[STAR WARS]AHSOKA - E.K. Johnston, [TRADUZIONE ITA]

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STAR WARS

AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 12 –



AHSOKA RISALÌ la strada fino al fondo del cantiere e si tirò su il cappuccio in modo da coprirsi il viso. Selda gliene aveva dato uno nuovo, che le si adattava meglio. Era anche di un colore più scuro, il che aiutava a confondersi con l’oscurità della notte. Con lei vi erano Miara, Neera, e un giovane ragazzo Rodiano di nome Kolvin, proveniente da un’altra squadra. Ahsoka era apparentemente al comando, e la presenza di Miara era necessaria per fare un ultimo calcolo di tutte le spese, Neera era stata scelta perché era in grado di pensare molto in fretta, e Kolvin era stato incluso in quanto era un abile rampicatore. Ognuno di loro indossava un cappuccio come quello di Ahsoka in modo da oltrepassare la sorveglianza e camminavano a passi leggeri, rimanendo il più possibile in silenzio.
Quella parte del cantiere era stata requisita dagli Imperiali come luogo di organizzazione dei loro camminatori. Ahsoka aveva visto come le cose si mettevano quando iniziavano quelle occupazioni, ma diede a Vartan ancora un paio di giorni per capire quali fossero i piani dei turni e dove gli Imperiali potessero tenerli. Dopo di ché, sarebbe stato relativamente facile per Ahsoka pianificare il loro primo colpo.
Attesero all’ombra del muro fino a quando non scorsero la pattuglia imperiale. Sapevano che l’interno del cantiere fosse sorvegliato solo da una manciata di assaltatori e che la parete posteriore che avevano scalato sarebbe stato inattaccabile.
“Non ce lo eravamo immaginati per niente,” mormorò Vartan tra i denti quando Ahsoka gli aveva dato quell’informazione. Poi alterarono i repulsori sul fondo delle trebbiatrici in modo da aiutare Miara e Neera ad arrampicarsi più facilmente.
Miara spostò lo zaino con molta attenzione. Non solo perché dovevano agire nel silenzio più totale, ma anche per assicurarsi che nessuno dei circuiti si attivasse prima del dovuto. Fu un lavoro meticoloso, ma Miara fu infinitamente paziente, anche se fremeva dalla voglia di mettere fine a quella faccenda.
“Tutti pronti?” chiese ad Ahsoka, avvicinandosi in modo da dover sussurrare appena.
“Voglio controllare il giro della pattuglia solo un alto paio di volte,” rispose Ahsoka. “Questa potrebbe essere la nostra unica possibilità di irrompere qui dentro facilmente, e dovremmo farlo per bene.”
“Ha ragione,” concordò Neera. “Prendiamoci il nostro tempo.”
Miara borbottò, ma fece come le era stato detto. Kolvin, che Ahsoka ancora non conosceva molto bene, si sedette senza protestare, a quanto pare in attesa di un nuovo ordine.
Passarono una decina di minuti prima che la pattuglia ripassassi di lì, gli stessi due assaltatori. Non fecero neppure un passo nel cortile. Ci puntarono solamente contro le luci per un qualche istante e continuarono per il loro cammino. Dietro alle casse, Ahsoka e gli altri non furono minimamente stati in pericolo di venire scoperti. Era quasi troppo facile, il che rese Ahsoka piuttosto nervosa. Cercò di ignorare quella sensazione. Aveva bisogno di concentrarsi su quello che avrebbero dovuto affrontare, e nient’altro.
Attesero altri dieci minuti, e la pattuglia passò di nuovo. Dopo che se ne furono andati, Neera si sporse verso Ahsoka.
“Dobbiamo andare adesso. Gli altri staranno aspettando che facciamo la nostra mossa.”
Ahsoka annuì. Quelli erano agricoltori, e doveva ricordarlo a sé stessa costantemente. Aveva aiutato altri agricoltori ad imparare a combattere prima, tempo addietro su Felucia, contro dei pirati. Loro erano intelligenti e avevano imparato in fretta, ma non erano dei soldati. Non avevano la capacità di adattamento o la pazienza dei cloni, e doveva ricordarsi di trattarli in modo diverso da come era solita fare. Aveva imparato molte cose in quella missione, cose che avrebbe potuto usare adesso su Raada.
“D’accordo,” disse. “Miara, dammi la tua borsa e vieni con me. Neera, tu e Kolvin aspettate qualche istante e poi installate la vostra parte della carica.”
I loro obbiettivi erano semplici, il che era una cosa positiva dato che si trattava della loro prima vera missione. Miara aveva costruito diversi dispositivi che avrebbero attivato all’ultimo minuto, e poi Ahsoka ne avrebbe installati alcuni altri nelle gambe dei camminatori. Poi Kolvin, che aveva le mani più ferme si sarebbe arrampicato ad applicare la seconda parte del composto. Una volta che il liquido di avviamento sarebbe stato a metà percorso, Kolvin avrebbe iniziato a miscelarlo con quello del congegno piazzato da Ahsoka, in modo che facessero reazione e diventassero abbastanza corrosivi da fondersi in una carica corrosiva per far sciogliere il ginocchio del marchingegno.
“Se siamo fortunati,” aveva detto Ahsoka a Vartan e a Selda mentre gli altri erano in ascolto, “i dispositivi si corroderanno del tutto, e gli Imperiali penseranno che sia causa del clima di Raada.”
“Credi che sarà davvero così?” aveva chiesto Kaeden.
“No,” disse Ahsoka. “Nessuno è così fortunato. Ma possiamo almeno sperarlo.”
L’unico problema con il piano era che la parte di liquido di Ahsoka sembrava essere un po’ troppo corrosive. Avrebbe dovuto lasciare che Miara azionasse il sigillo sul dispositivo alla base di ogni camminatore e poi arrampicarsi con la massima attenzione. Non era un buon posto nel quale commettere errori.
Ahsoka fece un gesto con la mano verso Miara per ottenere la sua attenzione e poi indicò verso il primo obbiettivo. Le due si infilarono nel buio, lasciando Neera e Kolvin indietro ad aspettare fino a quando non avrebbero finito. Le probabilità di essere scoperti erano poche, ma la divisione in coppie avrebbe fatto in modo che, se anche qualcuno si fosse reso conto di qualcosa, gli altri due sarebbero comunque potuti scappare.
Alla base del primo camminatore, Miara depose con estrema attenzione il dispositivo nelle mani di Ahsoka. Avrebbe influito sulle sue capacità di arrampicamento, rallentandola, ma le ginocchia del camminatore non erano comunque troppo alte. Ricordò la formazione dei ribelli di Onderon per eliminare le armate separatiste sfruttando le loro debolezze, e cercò di non pensare troppo al fatto che stesse attrezzature che una volta avevano servito la sua fazione.
Sistemarono le prime quattro cariche senza incidenti. Se ascoltava con attenzione, poteva sentire Neera e Kolvin al lavoro dietro di loro, in silenzio e meticolosamente. La pattuglia sarebbe tornata da un momento all’altro, e Ahsoka e Miara si sarebbero dovute accovacciare dietro ai piedi di uno dei camminatori, nascondendosi da eventuali sguardi. Ahsoka aveva già in mano la prossima carica, pronta a salire non appena fosse stato sgombro, ma notò qualcosa di diverso, anche al buio. Non era affatto una carica corrosiva. Era una vera e propria bomba.
“Miara, che cos’è questa?” sussurrò, dopo aver controllato per essere sicura che gli Imperiali non fossero ancora tornati.
“Oh, scusa,” rispose la ragazza. “Ti ho passato la carica sbagliata. Devo averla presa su per sbaglio.”
Parlò come se fosse un grosso problema, ma Ahsoka non poteva lasciare quella questione in sospeso. Non ricordava di aver detto a Miara di creare una carica del genere, e di certo non era inclusa in nessuno dei piani che Ahsoka aveva concordato con Vartan.
“Stavate organizzando qualcosa senza di me?” Sibilò all’orecchio di Miara, ma prima che potesse ottenere una risposta, comparve un fascio di luce.
Entrambe raggelarono, e Ahsoka sperò che Neera e Kolvin si fossero nascosti così come loro. Questa volta i soldati entrarono nel cortile, facendo solo due o tre passi, ma abbastanza vicino da far preparare Ahsoka per il peggio. Nascosta accanto a lei, Miara non emise un solo fiato, anche se Ahsoka la sentiva tremare. Per la prima volta, Miara stava avendo veramente paura. Dopo pochi istanti inquieti, il fascio andò via e i soldati sparirono. Ahsoka si infilò la carica in tasca e tese le mani per averne un’altra. Miara gliela porse senza proferire una parola per chiedere di riavere l’altra indietro.
Non parlarono per tutto il resto della missione, non finché tutte le cariche non furono sistemate e Neera e Kolvin le raggiunsero dall’altra estremità del cantiere. Ahsoka sentì il suono dei puntoni metallici fremere, sforzandosi di rimanere in piedi, e seppe che i lavori erano stati svolti correttamente.
“Torniamo da Selda,” decretò.
Neera le lanciò uno sguardo sorpreso. Non era nei piani. Ahsoka non diede loro neppure un momento per poter protestare. Ripercorsero la stessa strada arrampicandosi nuovamente sopra al muretto e poi giù nelle strade senza luce fino alla cantina.
All’interno vi erano delle persone che non ci sarebbero dovute essere, a quanto poté vedere Ahsoka, ma se ne stavano lontane dalle finestre, perlomeno. Entrarono dritto attraverso la porta d’ingresso.
“Altolà!” Vartan sobbalzò in piedi, con un blaster stretto in mano. Ci fu il rumore di diverse sedie raschiare indietro mentre gli altri si alzavano. “Fermi tutti, aspettate,” disse subito dopo. “Sono dei nostri. Abbassate le armi.”
C’era qualcosa di terribilmente sbagliato. Kaeden non era presente. Ahsoka non riusciva ad immaginare che se ne fosse rimasta a casa se Vartan era lì presente. Inoltre, se fosse stata lì sarebbe corsa verso Miara immediatamente. Peggio ancora, Kaeden non era l’unica persona a mancare all’appello.
“Dov’è Hoban?” domandò Ahsoka.
Non vi fu una risposta immediate. Neera si lasciò cadere su di una sedia e puntò lo sguardo verso Vartan come per dire, ‘È un tuo problema adesso, capo, quindi,’ quindi Ahsoka concentrò la sua attenzione su di lui. Fece correre lo sguardo per la sala per contare chi mancava. Buona parte delle reclute di Vartan non c’era. Aveva mischiato le squadre. I più grandi, i più lenti, erano tutti lì. Quelli che sapevano correre velocemente erano spariti.
Avevano tutti un’espressione addolorata. Ahsoka prese una sedia e la pose davanti a Vartan ed entrambi si sedettero. Lui si allontanò il più possibile, come se la temesse, nonostante era lui a brandire un blaster e non lei, che appariva completamente disarmata. Quando lei estrasse dalla tasca l’oggetto che precedentemente aveva sequestrato a Miara, lui si ritrasse come se fosse stato appena colpito. Ad Ahsoka non importò. Kaeden era là fuori, a fare qualcosa di stupido, e Ahsoka non sapeva se sarebbe stata in grado di riaggiustare le cose.
“Fatemi capire,” disse. “Pensavate di distrarmi con l’operazione dei camminatori e nel mentre sarebbe stato un buon momento per eseguire la vostra vera missione?”
Nessuno disse nulla. Non era nemmeno sicura se qualcuno stesse più respirando lì dentro.
“Avete scelto un bersaglio. L’edificio dell’amministrazione, forse? Spero proprio che non sia la caserma.”
Vartan sussultò di nuovo, e seppe che l’ipotesi che aveva azzardato doveva essere corretta. “Li avete mandati là fuori, i membri delle vostre stesse squadre, a settare degli esplosivi?”
“Dovevamo fare qualcosa.” Disse la leader del gruppo di Kolvin. Ahsoka non conosceva il nome di quella donna. “Non possiamo starcene semplicemente seduti qui.”
“Da un momento all’altro, un paio di assaltatori scopriranno che i loro camminatori si sono danneggiati,” disse Ahsoka. “Tutti i loro camminatori. E suoneranno un allarme, svegliando tutti gli altri troopers. E dove pensate che andranno tutti quei soldati per ricevere i loro ordini?”
Miara rimase a bocca aperta e quasi non scattò verso la porta. Selda la prese saldamente e la trattenne fino a ché lei non smise di dimenarsi.
“Non lo sapevamo,” disse Vartan.
“Non ci avete neppure provato,” li rimproverò Ahsoka. “A che diamine stavate pensando?”
“Dobbiamo aiutarli,” disse la leader del gruppo di Kolvin.
“No,” ribatté Ahsoka. “Ora darete ascolto a quello che vi sto per dire. Tutti coloro qui presenti devono andare a casa. Immediatamente. Se qualcuno dovesse fare domande, voi non avete la minima idea di quello che è avvenuto questa sera. Mentite.”
“Non possiamo abbandonarli,” protestò Vartan.
“Dovete farlo,” ribatté Ahsoka. “O tutti i membri del nostro gruppo verranno arrestati, uccisi, o messi in fuga questa note. Abbiamo bisogno di alleati.”
“Ha ragione,” sentenziò Selda. Il suo tono non permise repliche, e non ne ricevette. Indicò la porta. “E penso che il bar sia chiuso.”
“Io non me ne vado a casa,” si rifiutò Miara, spingendosi attraverso la folla per avvicinarsi ad Ahsoka. “Mi dispiace, Ashla, mi dispiace tanto. Lei è tutto quello che ho.”
Ahsoka guardò Vartan, che indirizzava le persone verso la porta con l’aiuto di Selda, e poi incontrò lo sguardo di Neera. Ahsoka poté constatare che fosse determinata quanto Miara.
“Bene,” concluse Ahsoka. “Ma farete tutto quello che vi dirò.” Entrambe le ragazze annuirono. “E state pronte.”

 
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– CAPITOLO 13 –



AGIRE IN MODO INOSSERVATO ERA IMPOSSIBILE, quindi si limitarono a correre velocemente. Le strade erano per lo più deserte, per via del coprifuoco. Ahsoka e le altre erano quasi a metà strada per il composto Imperiale quando l’allarme suonò. Il danno dei camminatori era stato rilevato. Una buona notizia, per quanto potesse esserne interessata Ahsoka al momento. Tutto quello che avrebbe potuto far guadagnare loro tempo era una buona notizia.
Mentre correva, Ahsoka mise da parte la rabbia. Non le sarebbe servita a nulla in un prossimo confronto. Cercò anche di allontanare la disperazione per il non sapere se Kaeden stesse bene o i pensieri per tutti i fallimenti che aveva subito nel corso dell’anno passato. Si concentrò sui suoi punti di forza: la velocità, la sua capacità di adattamento, e la familiarità con la procedura militare. Cose che l’avrebbero aiutata a superare anche questo problema.
Corsero per tutto un isolato prima di sentire un’esplosione che scosse il terreno sotto i loro piedi. Ahsoka guardò Miara con una certa sorpresa. Non aveva idea che la ragazza potesse costruire qualcosa di tanto potente.
“Quella non era una delle mie!” disse Miara. “Devono aver trovato qualcos’altro. Oppure…” si interruppe, non volendo dire ad alta voce l’altra opzione.
Ahsoka fece gesto alle ragazze di avvicinarsi. Erano nascoste dietro all’ultimo edificio non occupato dagli imperiali prima che potessero essere esposte all’artiglieria. Aveva bisogno di saperne di più prima di buttarsi nella mischia. Una volta svoltato l’angolo, sarebbero state in piena vista e non avrebbero avuto tempo per conferire tra di loro.
“Ditemi tutto quello che sapete di questo piano,” disse. “I numeri, gli obbiettivi, tutti i dettagli. Velocemente.”
“Hoban ha diviso il gruppo in tre, uno per ogni porta,” spiegò Neera. “Hanno tutti degli esplosivi, e molti di loro sono equipaggiati anche con dei blaster.”
“Dove li avete trovati dei blaster?” chiese Ahsoka.
“Qui e là,” tagliò corto Neera. “Vartan ha detto che la maggior parte sono messi piuttosto male, ma dovrebbero fare il loro lavoro, più o meno.”
“Spero che sia così,” commentò Ahsoka.
Camminarono verso l’ultimo isolato con molta cautela, anche se non incontrarono alcuna resistenza. Gli Imperiali dovevano essere occupati con gli altri. Anche se non era esattamente un pensiero allegro.
“Miara, riusciresti a trovare le caverne nonostante il buio?” chiese Ahsoka quando si fermarono nuovamente. Lanciò un’occhiata dietro l’angolo, per vedere come si stessero svolgendo i combattimenti, e poi si ritirò per finalizzare il piano.
“Sì,” confermò Miara. Sembrò esserne sicura.
“Allora aspetterai qui,” disse Ahsoka. Miara fece per protestare, ma Ahsoka alzò la mano per bloccarla. “Questa è una delle cose che avevamo concordato avreste ascoltato, d’accordo? Aspetta qui, e Neera indirizzerà le persone che riusciremo a recuperare da te. Dì loro dove potranno incontrarsi ai margini della città. Non da Selda. Scegli un posto casuale. Poi porta tutti alle caverne il più rapidamente e silenziosamente possibile. Neera, tu vieni con me. C’è una linea di tank da combattimento allineati nel composto. Devono essersi messi sulla difensiva, ma non hanno avuto il tempo di esercitarsi. Cercherò di disabilitarne il maggior numero possibile. Tu corri verso le porte a sinistra e fai uscire la gente da lì. Se non sono messi troppo alle strette, dovrebbero essere in grado di liberarsi dalla morsa nemica.”
Neera annuì.
“Se puoi, raggiungi anche le porte sul lato destro, provaci, ma se non riesci, abbandona, capito?”
“Dov’è Hoban?” chiese Neera, notando che Ahsoka aveva omesso alcune informazioni.
“Non l’ho visto,” ammise Ahsoka. “Mi dispiace, ma devi concentrarti.”
“Capisco,” disse Neera.
“Tu che cosa farai, Ashla?” domandò Miara. Per la prima volta, suonò veramente piccola.
“Io penserò alla parte frontale,” espose Ahsoka. “Lì i combattimenti sono più addensati, ma potrei essere in grado di riuscire ad aiutare abbastanza perché qualcuno possa scappare.”
“Da dov’è che vieni?” chiese Neera. Non sembrava che si aspettasse una risposta, ma Ahsoka decise di dargliene una. Con ogni probabilità, l’avrebbero comunque presto realizzato da sole.
“Dalle Guerre dei Cloni,” disse. “Ho combattuto nelle Guerre dei Cloni.”
Non diede loro altre informazioni specifiche. Lasciò che pensassero che facesse parte di una milizia planetaria. Era abbastanza sicura che fosse quello che già stessero pensando Selda e Vartan. Non era neppure così sbagliato. Aveva fatto parte di una milizia planetaria, dopo tutto. Ma aveva anche fatto parte di qualcos'altro.
Ci fu un’altra esplosione. Non potevano permettersi di aspettare ancora. “Pronta?” domandò a Neera.
Neera strinse il blaster che le aveva dato Vartan in una mano e un paio di esplosivi nell’altra. Ahsoka avrebbe portato il resto degli esplosivi, dato che non aveva un blaster per sé. Ma era sicura che sarebbe stata in grado di procurarsene una volta scese nei combattimenti.
“Buona fortuna,” disse Miara. La ragazza più giovane deglutì e si accucciò ad aspettare. Neera ed Ahsoka svoltarono l’angolo e corsero nel patio.
La valutazione tattica iniziale di Ahsoka fu immediata, istintiva, e per niente promettente. Ora che poteva vedere l’intero complesso in uno solo sguardo, non era più così ottimista. Li aveva avvertiti che quella tipologia di attacco fosse una pessima idea, proprio per quel motivo: gli agricoltori non erano dei combattenti, e lei non era nemmeno del tutto sicura di quello a cui stavano andando incontro. Non le avevano dato retta. Ora però non poteva abbandonarli al loro destino, ma nemmeno riuscire a soccorrerli tutti. Non aveva scelta, davvero. Il suo unico vantaggio era che quegli stormtroopers erano novizi dell’Impero, non dei formidabili cloni. Non poteva usare la Forza contro di loro, quindi non avrebbe potuto deviare i colpi dei blaster, ma avrebbe potuto saltare e correre, e se lo sarebbe dovuto far bastare.
La maggior parte dei suoi amici si erano già ritirati, e Neera stava correndo a soccorrere i rimanenti. Il lato sinistro si stava già sgombrando, e anche sul lato destro avevano iniziato a ritirarsi ora che sapevano che cosa fare. Era il tentativo disastroso di cercare di prendere il cancello anteriore del composto imperiale che stava causando il problema maggiore. Lì era quasi finita ancora prima di poter cominciare. Come aveva sospettato Ahsoka, l’artiglieria pesante era troppo da poter contrastare per degli agricoltori mal equipaggiati, anche con l’elemento sorpresa e gli esplosivi di Miara come supporto. Gli ultimi cinque ad essere rimasti in vita erano chini a terra, a cercare di stare nascosti mentre i rinforzi imperiali si avvicinavano sempre di più.
Attraverso il fumo, Ahsoka riuscì a scorgere sia Hoban che Kaeden accovacciati tra i sopravvissuti. Non avrebbero avuto ancora molto tempo, e Ahsoka era la loro unica speranza.
Era avanzata con cautela, rimanendo bassa il più possibile per cercare di non attirare l’attenzione dei cannoni che costeggiavano i muri del composto. Era abbastanza lontana perché i soldati non potessero adocchiarla così facilmente prima che lei potesse raggiungere i suoi amici, e non voleva che si accorgessero di lei fino a quando non sarebbe stato impossibile il contrario. Ascoltò i combattimenti circostanti, ma questi erano coperti dal martellare del suo cuore.
“Sono davvero fuori allenamento,” disse, parlando con i compagni che non erano più con lei. Parlò per abitudine, ricadendo nel fare battute con la stessa facilità con cui faceva il punto della situazione circostante, anche se non vi era rimasto nessuno che potesse udirle. Scosse la testa e si ricompose: non era il momento di perdersi nel passato. C’erano un sacco di persone, persone ancora in vita, che avevano bisogno di lei in quel momento.
Rimanendo dietro la linea dei Tank Imperiali, Ahsoka attaccò una carica ad ognuno di quelli che riuscì a raggiungere. A quanto pareva, una zona sperduta come Raada non meritava di essere equipaggiata con armamenti nuovi, e Ahsoka conosceva quei modelli dell’era della Guerra dei Cloni così come le sue tasche. Le cariche non avrebbero distrutto del tutto i carri armati, ma li avrebbero immobilizzati, e Ahsoka aveva bisogno di tutti i vantaggi che avrebbe potuto ottenere. Le esplosioni iniziarono proprio mentre saltava via dall’ultimo carro armato, guadagnando una momentanea tregua dai bombardamenti per i propri amici.
“Da questa parte!” gridò, agitando le braccia verso di loro in modo che potesse guidarli verso la discutibile sicurezza delle colline. Almeno, sarebbe stato più difficile attuare dei combattimenti là.
I cinque sopravvissuti si spostarono, ma tre di loro erano feriti, il che li rallentò. Non riuscirono ad andare molto lontano prima che gli assaltatori li prendessero nuovamente. Ahsoka si lanciò in un combattimento corpo a corpo con un soldato, tirandolo giù con un calcio nelle costole ed un colpo alla testa. Kaeden la osservò con la bocca spalancata, ma Ahsoka non ebbe il tempo per dare spiegazioni. Prese il blaster dello Stormtrooper caduto e fece del suo meglio per coprire la loro ritirata con la nuova arma. Nonostante i suoi sforzi, la distanza tra gli Imperiali ei suoi amici non variò.
“Lasciaci qui!” gridò Kaeden. Stava per metà trascinando Hoban anche se era il doppio di lei, e lei aveva un taglio sulla fronte che sanguinava. “Ci avevi avvertiti di non buttarci in questo pasticcio. Non devi pagare le conseguenze delle nostre azioni.”
“Questa non è un’opzione!” le rispose Ahsoka.
Tutto il resto che Kaeden disse fu coperto da un enorme esplosione che scoppiò davanti a loro. Si aprì uno scorcio, facendo cadere i carri armati che erano ancora in funzione. Ci sarebbe voluto troppo tempo per fare il giro del cortile, e anche se ci avrebbero provato, sarebbero praticamente morti.
“Fermi.” Ordinò l’Assaltatore più vicino.
“È il nostro giorno fortunato,” disse sarcasticamente Hoban mentre Ahsoka abassava il suo fucile. “Vogliono fare dei prigionieri.”
Ahsoka non se la sentì di dirgli che era più probabile che gli assaltatori avessero solamente l’intenzione di segnare dei colpi puliti. Ne fu abbastanza sicura, quando si voltò trovando una linea di blaster alzati e nessun segno di misericordia. Obi-Wan avrebbe fatto qualche osservazione intelligente in una situazione del genere, qualcosa che avrebbe smentito il pericolo e confuso gli avversari instaurando in loro del dubbio. Anakin non sarebbe arreso, in primo luogo. Ahsoka di solito si ritrovava a dover scegliere a chi dare retta tra i due, ma in questo momento non aveva il lusso di poter scegliere.
Hoban si lanciò verso la linea di Stormtroopers. Fu inutile, ma Ahsoka non riuscì a fermarlo. Sentì Neera urlare dietro di lei, ma poi il suono fu soffocato dal rumore dei folgoratori imperiali mentre colpivano Hoban a distanza ravvicinata. Quando fu morto, ci fu un momento di silenzio terribile. Qualcuno doveva aver zittito Neera, o doveva averla trascinata abbastanza lontano dato che Ahsoka non riuscì più a sentirla.
Poi il tenente Imperiale alzò la mano, dando l’ordine di sparare, e Ahsoka sollevò la sua allo stesso tempo. Da quando aveva cominciato ad aiutare gli abitanti di Raada ad organizzarsi, aveva utilizzato la Forza solo per sensibilizzare i suoi amici e per evitare i nemici. Era stata attenta, contenuta, assicurandosi che non venisse rivelato. Quella cautela scomparì del tutto ora. Per la prima volta da moltissimo tempo, sentì tutta la potenza del flusso della Forza attraversarla, e lei lo accolse.
I blaster volarono all’indietro sferzando l’aria, trascinandosi dietro anche alcuni degli stormtroopers che li avevano tenuti stretti troppo saldamente. Il metallo stridette mentre colpiva la pavimentazione lontano da lei e dai suoi amici, e anche il terreno sembrava spostarsi mentre Ahsoka spingeva indietro la linea di fuoco imperiale. Il tenente la guardò con sorpresa, barcollando come se qualcuno lo avesse appena schiaffeggiato in pieno viso.
“Ashla!” Kaeden la fissò, facendo realizzare ad Ahsoka quello che aveva appena fatto.
“Scappiamo adesso,” disse. “Ne parliamo dopo.”
I Raadiani fecero come gli era stato detto, facendosi strada verso le colline. Ahsoka rimase indietro. Con la sua copertura ora sventata del tutto, non aveva più remore a deviare l’artiglieria pesante lontano da loro. Ci volle più di quanto non avrebbe voluto, ma alla fine lei e gli agricoltori raggiunsero la base sicura tra le colline e sarebbero rimasti nascosti in una delle grotte fino a quando non avrebbero ideato un piano migliore.
Non appena Ahsoka entrò nella grotta, tutti gli sguardi si rivolsero verso di lei. Kaeden, che era seduta accanto a sua sorella su una branda, si voltò e le rivolse uno sguardo duro.
“E così,” disse, con gli occhi fiammeggianti di rabbia, “c’era qualcosa che avevi intenzione di dirci?”

 
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– CAPITOLO 14 –



POTEVA ANCORA GESTIRE QUELLA SITUAZIONE. Aggiustare le cose. Jenneth avrebbe potuto rielaborare i suoi calcoli, tenendo conto di tutte le nuove variabili, trovare una soluzione praticabile. Doveva solo sapere quali fossero le risorse attualmente disponibili. Richiamò gli ufficiali Imperiali in modo da farsi fare rapporto sugli incidenti in modo da poter elaborare il più velocemente possibile una soluzione.
La perdita dei camminatori fu un duro colpo. Erano più recenti rispetto ai Tank, costruiti alla nascita dell’Impero e molto più pratici per il pattugliamento, dato che potevano essere gestiti da equipaggi ridotti e ricoprire maggior terreno. Senza di quelli, gli assaltatori avrebbero dovuto cercare a piedi, mentre i carri armati venivano riparati. Almeno le torrette erano ancora operative. Il composto Imperiale non era rimasto totalmente privo di difese.
Quello di cui aveva veramente bisogno era ben più di una semplice unità di stormtrooper. Anche se non erano adatti al lavoro agricolo attuale, dovevano comunque essere in grado di sovrintendere la manodopera locale. Il piano iniziale aveva funzionato bene, ma ora necessitava di misure più severe. Il coprifuoco, che era stato forzato solo in un ultimo momento, sarebbe stato strettamente monitorato, e coloro che avrebbero disobbedito sarebbero stati puniti. E in pieno giorno. Preferibilmente al centro della città. Avrebbe anche dovuto assicurarsi che i campi venissero svuotati nel mentre. I malandrini non sarebbero stati giustiziati – la cosa avrebbe solo fatto arrabbiare gli agricoltori – ma la tortura pubblica e la visione della sofferenza poteva fare meraviglie per affievolire il morale.
Avrebbe dovuto lavorare su quell’aspetto.
Quello su cui non avrebbe potuto farlo era anche il suo più grande problema. Non aveva visto l’incursione, dal momento che dormiva, ma c’era stato un elemento comune in tutti i rapporti che aveva ricevuto. Qualcuno aveva fatto uso della Forza durante la rivolta. Lei, era spuntata fuori dal nulla, e dopo tutto era abbastanza grande da poter aver susseguito una formazione dei vecchi Jedi. Jenneth voleva negare il tutto, respingere quell’idea. Tutti i Jedi erano morti. E anche se alcuni fossero in un qualche modo riusciti a sfuggire, perché in tutta la galassia una di loro avrebbe deciso di stabilirsi proprio su un posto desolato come Raada?
Si concentrò su quella domanda, cercando di trovare una risposta. La Jedi si trovava lì proprio perché quello era un posto desolato. Pensava che l’Impero non si sarebbe espanso fino a Raada, e lui, Jenneth Pilar, l’aveva colta di sorpresa. Questo lo faceva sentire molto meglio riguardo a tutta quella faccenda.
Non aveva idea di come segnalare il sospetto della presenza di un Jedi. Avrebbe dovuto lasciare che fosse il comando imperiale ad occuparsene. Doveva solo presentare la sua nuova relazione e analisi, e avanzare altre proposte il più presto possibile per mantenere la sua buona reputazione. Jenneth sfogliò uno schermo bianco sul suo datapad e cominciò a stendere le sue nuove tabulazioni.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Alla fine, avevano dovuto sedare Neera per impedirle di farsi del male. Ahsoka l’aveva avvolta con una coperta, nascondendo le mani di Neera al di sotto, e controllando il suo respiro. Neera inspirò ed espirò in silenzio, fino a tranquillizzarsi. Non sarebbe stata una soluzione a lungo termine, ma per il momento, avevano bisogno di tranquillità e tempo per pensare. E Ahsoka aveva delle spiegazioni da dare.
Si sedette al tavolo dove Kaeden e Miara stavano già costruendo altri esplosivi. Nessuna delle due sorelle osarono guardarla, neanche una singola occhiata di sbieco. Ahsoka sospirò. Non sarebbe stato facile.
“Il mio vero nome è Ahsoka Tano,” cominciò. “Mi dispiace non avervelo detto.”
Ahsoka aveva sempre pensato che fosse meglio cominciare con lo scusarsi e poi di lavorare a ritroso fino alle spiegazioni. Era qualcosa che non aveva affatto appreso da Anakin.
“Non è molto sicuro essere come me,” continuò. “L’Impero paga profumatamente chiunque possa condurlo da dei Jedi, e non mostra alcuna pietà.”
“Lo abbiamo notato,” disse Miara in tono secco. Perseverò a non alzare lo sguardo, ma le sue mani tremavano per la rabbia, e probabilmente anche per la paura.
“Non ho mai avuto l’intenzione di mettere qualcuno di voi in pericolo,” spiegò Ahsoka. “Non pensavo che qualcuno potesse scoprirlo, e speravo che così sareste stati al sicuro.”
“Al sicuro?” sbottò Kaeden. Abbandonò completamente il suo lavoro per guardare Ahsoka dritta negli occhi. “Non siamo arrabbiati perché la tua presenza qui ci ha messi in pericolo, Ash–Ahsoka. Siamo arrabbiati perché non hai fatto tutto il possibile per aiutarci prima.”
Fu come se Kaeden l’avesse colpita in pieno viso. Ahsoka aveva fatto tutto quello che aveva potuto pensare. Aveva istituito un posto dove nascondersi. Aveva raccolto cibo e acqua, e forniture mediche. Li aveva aiutati ad organizzarsi.
Ma non aveva usato la Forza per salvare Hoban.
“Kaeden,” disse nel modo più delicato che poteva riuscirle, “Anche un Jedi non può fare più di tanto. E ti prometto che farò del mio meglio per aiutare i tuoi amici e la tua famiglia.”
“Che cosa ne sai tu della famiglia?” replicò Kaeden. “Non ne hai mai avuta una. E probabilmente non hai neppure mai avuto degli amici. Avevi probabilmente solamente dei cloni a cui dire tutto quello che dovevano fare, perché eri al loro comando.”
Si allontanò prima che Ahsoka potesse pensare ad una risposta. Miara raccolse tutti i pezzi con cui stava lavorando e si trasferì su di un altro tavolo, lasciando Ahsoka completamente sola. Nessuno arrischiò a guardarla o parlare con lei, anche se rispetto alle due ragazze, gli altri agricoltori sembravano più esausti che arrabbiati. Ahsoka si alzò ed uscì dalla grotta principale. Strisciò attraverso uno dei tunnel che la condusse ad una delle altre camere, quella con la porta d’ingresso che dava verso la città, e poi si sedette lì da sola, a fissare le luci in lontananza.
“Una parte a voi, e una per me,” disse in un sussurro. Non era sicura del perché le fu di aiuto a pensare al tabellone del crokin. Era sempre stata in grado di visualizzare perfettamente i piani. Ma era stato differente con i suoi compagni. I cloni sapevano combattere. Faceva parte di loro. Gli agricoltori conoscevano il crokin. Era stato più semplice spiegare loro che cosa fare facendo degli esempi con quel metodo, e ora era diventata un’abitudine.
Se ne sarebbe andata presto, confermando tutti i peggiori sospetti di Kaeden su di lei. Se l’Impero era interessato alla luna anche prima, ora che sapeva ci fosse un Jedi avrebbe attirato l’attenzione imperiale ancora di più. Sarebbero stati rallentati dalla perdita dei loro camminatori, ma sarebbero comunque venuti a cercarli. E anche coloro che erano rimasti in città non erano al sicuro, specialmente una volta che gli ufficiali avrebbero realizzato che gli agricoltori avevano usato i loro sottoposti per organizzare la rivolta.
Ahsoka chiuse gli occhi e inspirò un respiro profondo. Intendeva meditare, ma invece della serenità che trovava solitamente, la prima cosa che vide fu la faccia solenne di una bambina di quattro anni, Hedala Fardi. Fu quasi peggio del vuoto che provava per la mancanza di Anakin. Almeno il suo ex-maestro avrebbe potuto prendersi cura di sé stesso. La piccola Fardi meritava meglio di essere dimenticata.
Sbattere le palpebre per recuperare la sua concentrazione, fece prendere ad Ahsoka la sua decisione. Non poteva tornare indietro per Hedala, non ora, ma sarebbe potuta rimanere per Kaeden, Miara e gli altri il più lungo possibile. La sua nave era ancora nascosta al sicuro, e ora che il suo segreto era stato svelato in ogni caso, non sarebbe riuscita a scappare da lì in modo circospetto. Sarebbe rimasta su Raada e avrebbe continuato ad aiutare i contadini a resistere, ammesso che glielo avrebbero lasciato fare, naturalmente. Dopo quella notte, c’era una possibilità abbastanza alta che potessero cacciarla via. Sarebbe almeno rimasta lì abbastanza a lungo per scusarsi adeguatamente e per vedere se c’era qualcosa che potesse fare per Neera.
“Ahsoka!” Il grido giunse da dietro alle sue spalle. Era stata Miara, la voce rotta dalla preoccupazione e le lacrime, ma non vi era più nessun segno del risentimento di dover parlare con lei.
“Che cosa è successo?” domandò lei.
“Si tratta di Kaeden,” Miara sussultò, senza fiato per la corsa che aveva appena intrapreso per i tunnel. Doveva averlo fatto di fretta. “Si è allontanata dopo averti urlato contro, e ho pensato che fosse andata di nuovo nella zona medica a sedersi assieme a Neera, ma non lo ha fatto. La guardia all’ingresso ha detto che l’ha lasciata uscire, ma che non è rientrata.”
Ahsoka si voltò, fissando le colline erbose tra le grotte e la città. Era troppo buio per poter scorgere qualcosa, e c’erano troppe persone nelle vicinanze perché Ahsoka potesse contemplare accuratamente la Forza.
“Se dovesse andare in città, potrebbero catturarla?” chiese Miara.
“Non aveva il volto nascosto, e potrebbe venire riconosciuta,” disse Ahsoka. “Sanno com’è fatta. La cattureranno sicuramente.”
Non aggiunse che gli Imperiali l’avrebbero anche torturata. Avrebbero assunto che sapesse dove si trovassero gli altri insorti; avrebbero ipotizzato che sapesse dove si trovasse Ahsoka, e loro avevano davvero molta voglia di catturare Ahsoka.
“Che cosa facciamo?” chiese Miara.
“Tu rimarrai qui con Neera,” le impose Ahsoka. “Avrà bisogno di avere una figura amica quando si sveglierà, e tu sei l’unica a poter rivestire quella figura in questo momento.”
Miara deglutì, ma annuì.
“Vai da lei?” domandò. “Anche se Kaeden è così arrabbiata con te?”
“Sì,” confermò Ahsoka. “Ci vado.”
Non controllò, ma ipotizzò che Miara l’avesse seguita attraverso il tunnel dalla grotta principale. Si fermò solo il tempo necessario per recuperare i pezzi di metallo che aveva nascosto, nel caso non fosse stata poi in grado di tornare a riprenderli, e per recuperare il blaster imperiale che aveva rubato durante la battaglia. Nessuno provò a fermarla, e scomparve nel buio.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Kaeden si rese conto del suo errore non appena mise piede in città. Ovvio che ci sarebbero state più pattuglie, visto che quella notte erano stati attaccati su più fronti. Ovvio che sarebbero stati alla ricerca dei colpevoli ora, senza limitarsi a lasciarli andare via senza fare nulla per risolvere la situazione. Era ovvio che sapessero che aspetto avesse. Perlomeno aveva avuto la prontezza di prendere il cappuccio di Miara per coprirsi la fronte ferita. Le pulsava, ma perlomeno l’emorragia si era fermata, e il medico improvvisato che le aveva messo a posto il braccio aveva detto che probabilmente non aveva avuto una commozione cerebrale. In ogni caso, era troppo tardi per tornare indietro ora.
Non tornò a casa. Andò da Vartan, ma lui non si trovava lì. Doveva essere da Selda, ad attendere di ricevere qualche notizia. Non voleva provare a cercarli fino alle prime luci del giorno. Almeno, una volta che il coprifuoco sarebbe finito, sarebbe stato più facile muoversi. Aveva appena finito di disattivare la serratura della porta di Vartan quando otto stormtrooper girarono l’angolo marciando. Si stavano chiaramente dirigendo verso la casa di Vartan, ed erano sorpresi di trovarla lì tanto quanto lei era sorpresa di vedere loro, ma non gliel’avrebbero lasciata passare liscia.
“Prendetela,” disse quello con lo spallino.
Kaeden pensò di combattere, ma con otto contro una non c’erano buone probabilità per una sua vittoria. Fece un po’ di resistenza, ma loro non ci misero molto ad avventarsi completamente su di lei.
“Fate attenzione con questa,” disse il capo delle truppe. “Avranno un po’ di domande da farle alla base.”
Il modo in cui lo disse fece raggelare il sangue a Kaeden. Ahsoka, pensò, chiedendosi se i Jedi potessero veramente leggere la mente, mi dispiace, Ahsoka. Poi il comandante la colpì di nuovo, e il mondo divenne completamente nero.

 
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AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 15 –



AHSOKA RIMASE AD OSSERVARE. Tentennò. Ma non aveva paura.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Kaeden aveva sentito per tutta la vita delle storie riguardo a quanto potevano diventare crudeli gli uomini bramosi di potere. Essere orfani in un mondo remoto, e con nulla più del proprio nome, le avevano permesso di vedere più volte avverarsi storie del genere nella vita reale. Conosceva delle coppie sposate che tendevano a colpirsi. Aveva visto lividi sugli occhi di alcuni dei suoi compagni di giochi. Una volta, uno dei sorveglianti aveva cercato di impegnarsi in una attività secondaria riguardante le razioni, controllando tutto quello a cui potevano avere accesso i propri sottoposti. Fallì abbastanza velocemente – Vartan gli ruppe tutte le dita – ma Kaeden ricordò quei pochi giorni in cui aveva dovuto prestare attenzione a tutto quello che faceva, e anche quello che faceva Miara, per cercare di tenersi alla larga dalla questione.
Dopo averla catturata e gettata in una cella, la lasciarono sola per quelle che le erano state sembrate ore. Sapeva che non ne sarebbero potute passare più di quattro, perché c’era una finestrella nella sua cella, e fuori faceva ancora buio. Ma fu un tempo più che sufficiente per rivivere ogni storia terribile che aveva sentito e per lasciare viaggiare la sua mente. Non si premunì di nascondere le lacrime. Sapeva che gli imperiali le avrebbero viste comunque – oltre che procurargliene altre, probabilmente.
La prima interrogatrice non le fece alcuna domanda. Le premette una macchina contro il petto, e quando questa venne attivata, tutto quello che Kaeden poté fare fu urlare di dolore. Avrebbe detto qualsiasi cosa, si sarebbe arresa, solo per far smettere le sofferenze, ma la donna non chiese nulla, né lasciò tempo a Kaeden di parlare. Quando finalmente rimosse il meccanismo, Kaeden crollò di lato sul pavimento, la gola troppo secca per poter urlare ancora o proferire qualcosa.
La seconda serie di interrogatori fecero domande, più che altro, sulla sua salute. Volevano sapere se avesse problemi di cuore e se fosse pienamente umana, o se avesse qualche bizzarria genetica. La voce di Kaeden era lenta a dare una risposta, quindi la maggior parte delle volte si limitava a rispondere con un cenno del capo o scuotendo la testa, e quando furono soddisfatti, la legarono ad una sedia, con i palmi delle mani rivolti verso l’alto. Kaeden si rese conto che in questo modo tutte le vene del suo braccio si ritrovavano esposte. Uno degli interrogatori andò nel corridoio per recuperare il vassoio medico e non perse l’occasione per mostrarle gli aghi e le fiale che aveva intenzione di usare su di lei. Dopo tutte le iniezioni, Kaeden sentiva troppo freddo e troppo caldo allo stesso tempo, e sentiva la testa pesante.
“Lasciatele qualche minuto,” sentì dire da uno di loro che doveva trovarsi nel corridoio. “Avremmo dovuto tenere conto del suo peso. Sono tutti pelle e ossa nell’Orlo Esterno. Il che rende difficile medicarli.”
Kaeden sbatté le palpebre stupidamente desiderando davvero tanto di poter avere un bicchiere d’acqua. Poi rise ad alta voce. Acqua! Perché non desiderare di avere le braccia libere, o di stare meglio oppure una nave che l’avrebbe potuta portare in salvo. Quello che realmente desiderava più di ogni alta cosa, era che la prima interrogatrice e che quella terribile macchina non tornassero mai più nella sua cella.
La porta si aprì di nuovo. Kaeden cercò di guardare, ma la sua testa era ancora troppo pesante per il suo collo. Una luce potente invase la stanza, e qualcuno canticchiò a voce alta, pericolosamente vicino al suo orecchio. Si voltò lentamente e un droide interrogatore nero volò dentro, mostrando diversi aghi. La minaccia era chiara: o parli, o soffri. Kaeden era sinceramente indecisa su quale opzione avrebbe scelto.
Un’altra sedia raschiò contro il pavimento, e una figura si sedette di fronte a lei. Era vestito in una divisa imperiale grigia, e aveva un cappello tirato sugli occhi. Kaeden non riuscì a decifrarne il rango, ma lui si atteggiò come se fosse abituato a dare ordini senza ricevere obbiezioni.
“Kaeden Larte,” disse. Lei fu un po’ sorpresa che conoscesse il suo nome, ma cercò di non darlo a vedere. “Femmina, umana, legalmente adulta, tutrice di Miara Larte, una sorella. Non sei nata qui, ma qui sei diventata orfana, e non ti sei mai contraddistinta, lo schedario dei tuoi record è completamente spoglio. Il capo del tuo gruppo pensa che tu possa sostituirlo, quando deciderà di ritirarsi.”
Quella fu una sorpresa. Vartan non ne aveva mai fatto parola, e Kaeden non aveva mai considerato la cosa. Fu in un qualche modo rassicurante che riponesse così tanta fiducia in lei, anche se non sentiva di aver fatto nulla di buono in quel momento.
“Più recentemente, tuttavia, le tue prospettive si sono un po’ offuscate,” continuò l’uomo. “Vandalismo, furto, cospirazione, omicidio e tradimento. Questo probabilmente porrà fine alla tua prova di scalare la vetta lavorativa.”
Avrebbe voluto avere qualcosa di intelligente da dire, come il personaggio di uno di quei romanzi olografici, ma la sua lingua era troppo pesante e il suo cervello troppo lento. Inoltre, era troppo spaventata.
“L’unica decisione che ti resta è come decidi di portare a termine la tua condotta.” Si tirò su il cappello, e Kaeden raggelò allo sguardo spietato nei suoi occhi. “Morirai per i tuoi crimini, naturalmente, ma se dovessi decidere di collaborare con noi, potremmo fare in modo che questa fine, come dire, non ti pesi sul petto.”
Kaeden si ritrasse così di scatto che quasi non si strappò via le braccia serrate nelle loro cinghie. Le articolazioni delle spalle gridarono, ma prima che potesse rendersi conto completamente del dolore, la sedia si rovesciò verso terra. Il suo braccio si mosse appena sufficientemente perché venisse schiacciato sotto il metallo della sedia, e fu doloroso, in modo vero e concreto, che alla fine smosse la nebbia che le stava offuscando il cervello. Due stormtrooper irruppero nella cella e la raddrizzarono.
“Vedo che ci siamo capiti,” disse lui, come se non fosse successo nulla. “Ho bisogno che tu mi dica due cose, Kaeden, due piccole cosette, e poi morirai con un solo colpo di blaster dritto al cuore. Dove si nascondo i tuoi amici? Sappiamo che sono scappati e hanno lasciato che tu venissi catturata, ma tu sai dove si sono diretti. Dimmelo.”
Lei provò a rispondere, ma le uscì solo un gracido.
“E qual è il nome del Jedi?” Questa volta, lo sguardo nei suoi occhi era quasi demoniaco. Non voleva catturare o torturare Ahsoka. Voleva ucciderla – per ottenere una promozione o per il potere o per avere la possibilità di poter dire anche lui di aver personalmente ucciso un Jedi. Voleva Ahsoka morta.
Kaeden gracchiò più forte questa volta. Se lui avesse pensato che davvero non riuscisse a parlare, magari le avrebbe dato un altro po’ di tempo.
“La tua mancanza di volontà a collaborare è un vero peccato.” Schioccò la lingua. “Ma la cosa non mi sorprende. Ripensaci, Kaeden Larte, e tornerò qui quando il sole sarà alto in cielo. O forse, verrà uno dei miei colleghi invece.”
Kaeden riuscì a controllare meglio il suo sussulto. Il dolore al braccio la aiutò, dandole qualcos’altro su cui concentrarsi. Era decisamente rotto.
La lasciarono lì, sola e legata alla sedia.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Ahsoka se ne stava appollaiata sul tetto del palazzo dell’amministrazione imperiale. Scalarlo era stato facile. Ora che non si curava più di nascondere quello che in realtà era, le erano bastati due semplici salti. La parte più difficile era attendere un’apertura nella difesa delle pattuglie e trovare il posto migliore in cui agire. Anche il retro del composto era ancora sotto protezione.
Le sue osservazioni dell’edificio di prefabbricato condussero a dei risultati interessanti. Ahsoka aveva visto i Tanks, ovviamente, ma l’edificio stesso era dello stesso tipo di stile utilizzato durante le Guerre dei Cloni, il che significava che poteva immaginare la disposizione degli interni senza doverli vedere. Si concesse un piccolo sorriso all’idea che la monotonia imperiale la stesse supportando.
Attraversò il tetto verso il lato sinistro, aveva scelto bene salendo dal retro, dato che aveva subito i maggiori danni durante l’attacco della giornata precedente. Notò anche, però, che il numero di guardie erano quadruplicate. Non le sarebbe stato facile accedere. Ahsoka si lasciò scivolare lungo la parete sul tetto inferiore, ancora sul retro dell’edificio. Se il progetto fosse stato coerente con quelli repubblicani, le cellule di mantenimento della struttura avrebbero retto comunque.
Guardò di lato, le pareti scendevano giù ripidamente, e notò delle strette finestrelle che le ricordavano quelle usate per le celle. Nel progetto erano inclusi anche dei condotti per l’areazione che conducevano lì, ma il rischio che qualcuno potesse fuggire da lì era minimo, dal momento che erano troppo piccoli e stretti. Ahsoka rifletté che però che quei progetti erano stati pensati per degli adulti umanoidi. Questo avrebbe potuto concederle una qualche possibilità di riuscire ad accedere.
Una delle finestre emetteva una luce particolarmente brillante, il genere di quella che produceva un droide-interrogatore per far stare un prigioniero il più a disagio possibile. La luce si spense improvvisamente, e Ahsoka si costrinse a contare fino a cento prima di lanciarsi a capofitto, ad aggrapparsi al cornicione, per poter controllare la stanza. Non c’era motivo di farsi scoprire a causa dell’impazienza.
Guardò attraverso l’oscurità e sentì qualcosa rivoltarlesi nello stomaco. C’era Kaeden lì dentro, e sembrava essere viva e seduta dritta su di una sedia. Ahsoka raggiunse la sua tasca e ne tirò fuori l’ultima dose di liquido corrosivo che le aveva dato Miara. Non poteva rischiare di fare rumore, anche se in quel modo ci sarebbe voluto più tempo. Appesa a testa in giù, le cariche furono piuttosto difficili da sistemare, e Ahsoka quasi non si bruciò le dita, ma riuscì a farcela, alla fine, e si raddrizzò per aspettare.
La sua testa sbatté contro il vetro, ma questo era abbastanza fragile per frantumarsi e lasciarla accedere nella cella. Fece più rumore di quanto avrebbe voluto, ma le spesse mura riuscirono in un qualche modo ad attutirlo. Si mise sulle ginocchia, mordendosi la lingua mentre sfiorava i prodotti chimici rimasti, e poi si alzò in piedi.
“Kaeden,” sussurrò. “Kaeden, svegliati.”
Kaeden sobbalzò e la guardò, con la testa ciondolante da un lato. Dovevano averla drogata, dunque, oltre a qualsiasi altra cosa che dovevano averle fatto. Aveva un braccio rotto, e la ferita sulla fronte si era riaperta, lasciandole gocciolare il sangue sull’occhio. Ahsoka si mise a lavorare sulle cinghie che la tenevano stretta. Non si preoccupò di rompere le serrature; distrusse le cinghie con l’uso della Forza.
“Kaeden, ho bisogno che tu sia sveglia,” disse Ahsoka. “Ho bisogno del tuo aiuto per la prossima parte del piano.”
“Ashla–Ahsoka, non saresti dovuta venire,” disse Kaeden. Sembrava come se stesse farfugliando in un sogno, ma perlomeno teneva la voce bassa. “Vogliono farti del male, Ahsoka. Ti vogliono uccidere.”
“Shhh, lo so,” rispose Ahsoka. “Va tutto bene. So prendermi cura di me stessa. Ma prima devo occuparmi di te. Puoi aiutarmi a farlo?”
Kaeden provò a rispondere, ma i suoi occhi rotearono indietro, e Ahsoka perse qualche secondo prezioso per cercare di decidere se scuoterla o meno. Tirò Kaeden sui suoi piedi. Quello che avrebbero dovuto sarebbe stato difficile, ma non impossibile. Si portò il braccio sano di Kaeden sulle spalle, delicatamente, e tirò un sospiro di sollievo quando vide che la ragazza si stava riprendendo.
“Okay,” disse Ahsoka. “Ho intenzione di uscire dalla finestra e di portarti con me. Farà male, ma ho bisogno che tu sia il più silenziosa possibile.”
Kaeden azzardò un gesto con il capo, ma nient’altro. Avrebbero dovuto fare il tutto un passo alla volta, in modo da agire con la massima attenzione.
Ahsoka lanciò uno sguardo fuori dalla finestra, poi tornò indietro per Kaeden. Non era messa molto bene. La sua testa era gonfia, e le sue spalle erano in un’angolazione innaturale. Usò la Forza per aiutarla ad infilarsi attraverso la stretta apertura, e poi la fece scivolare lentamente verso terra prima di saltare giù dopo di lei.
“Riesci a correre?” le domandò.
Kaeden si portò il braccio contro il petto, la testa sembrò giovare dell’aria fresca. Ahsoka non poteva portarla di peso per tutta la strada verso un posto sicuro, ma qualcosa – forse il panico, o la determinazione – aveva rinvigorito Kaeden. Era ferma sui suoi piedi, e i suoi occhi sembravano più concentrati. Avevano solo tre minuti prima che la pattuglia tornasse lì svoltando l’angolo, e avevano anche un sacco di strada da fare.
“Non credo di avere molta scelta,” disse Kaeden, e si incamminarono, spostandosi nel tempo più breve possibile. Ahsoka aprì loro la strada. Non c’era tempo per potersi concedere una sosta, e non vi fu nessuna necessità di doverlo fare, così giunsero in fretta alla sua piccola casa ai margini della città. Era incustodita, e la serratura era ancora intatta. Lei e Kaeden entrarono proprio come il sole iniziò a spuntare. Era il massimo di tragitto che Kaeden avrebbe potuto sostenere per il momento.
“Aspetteremo che sia di nuovo buio,” disse Ahsoka, “e poi ci dirigeremo alle caverne.”
“No, Ahsoka,” ribatté Kaeden. Era sdraiata nel suo letto, completamente inerme. “Devi andartene subito.”
“Non ti lascio,” si rifiutò Ahsoka. Riempì una borraccia con dell’acqua e la porse a Kaeden mentre lei si sforzò di mettersi seduta e bere.
“Sì, invece,” insistette Kaeden mentre Ahsoka la aiutava a coricarsi di nuovo. “Ho visto che faccia aveva quello mentre parlava di te, il comandante Imperiale. Ahsoka, ti vuole morta solo per piacere personale, e non sarà gentile nel farlo. Devi prendere la tua nave e andartene. Subito.”
La cosa peggiore era che Kaeden aveva ragione, e Ahsoka lo sapeva fin da prima di tirarla fuori da quella cella. Restare non avrebbe messo in pericolo solamente Ahsoka, ma anche tutti gli altri.
“Tornerò. Lo prometto.” Le disse Ahsoka, con la voce più ferma e decisa che le potesse uscire. Non stava solo abbandonando dei suoi amici; lo stava facendo, di nuovo. Questa volta, per lo meno, era stata in grado di fare qualcosa di ardito, prima di essere costretta ad andarsene. Kaeden era al sicuro.
“Hai fatto a sufficienza per noi,” la incoraggiò Kaeden. “Siamo solo stati troppo stupidi per capirlo.”
“Tornerò,” ripeté Ahsoka. Poi si bloccò. “Grazie. Per avermi accetta quando sono giunta qui. Anche se ci sono state cose che vi ho tenuto nascoste.”
“La galassia è molto più grande di Raada,” disse Kaeden. “Mi ci è voluto un po’ per rendermene conto.”
Ahsoka portò la mano alla tasca, nella quale vi erano ancora i vari pezzi metallici strettamente avvolti nel loro sacchetto. Era vicina a qualcosa, ma non ancora abbastanza.
Ahsoka non aveva bisogno dell’oscurità per nascondere i suoi passi, come invece sarebbe stato per Kaeden. Era più veloce e poteva occuparsi di qualsiasi eventuale attacco. Poteva raggiungere la sua nave e fuggire. Doveva scacciare via le emozioni. Guardò Kaeden un’ultima volta, e poi andò.

 
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– CAPITOLO 15.5 –


IL BEL MEZZO DI un campo di battaglia era un luogo tutt’altro che ideale per un’approfondita auto-riflessione, ma Anakin Skywalker era un Jedi ben addestrato e più che all’altezza della sfida. Da quando aveva cessato di essere il Padawan di Obi-Wan, aveva cominciato ad apprezzare l’indipendenza del gestirsi da solo. Ovviamente, doveva ancora seguire le regole del tempio e andare dove sceglieva il Consiglio dei Jedi, ma era un generale adesso. E i cloni erano al suo comando.
Era tutto molto diverso da come lo aveva immaginato, quando era ancora il ragazzino venuto da Tatooine che guardava in alto verso le stelle sapendo che vi fosse qualcosa di meglio per lui là fuori. La galassia era ormai molto più complicata di quando Qui-Gon l’aveva lasciata, e nonostante fosse grato ad Obi-Wan per i suoi insegnamenti, alle volte Anakin non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbero state diverse le cose se Qui-Gon fosse sopravvissuto. I Jedi disapprovavano i legami affettivi, ma non vi era effettivamente nulla nella galassia che non fosse legato in un qualche modo ad altre. Il ritorno non ufficioso sul suo pianeta natale lo aveva dimostrato abbastanza bene.
E ora Anakin sentiva un legame: ai giuramenti che aveva fatto al Tempio e a Padmé, e le promesse mai dette ma sincere verso Obi-Wan, la sua responsabilità nel comandare le truppe nell’Armata Repubblicana. I cloni erano stati progettati come un oggetto senza volto, ma stavano già mostrando segni caratteristici, e Anakin non dubitava che avrebbero continuato a farlo.
Forse questo nuovo Padawan che Obi-Wan aveva richiesto lo avrebbe aiutato a vedere le cose sotto una nuova prospettiva. Anakin era riluttante a portare qualcuno senza alcun addestramento al combattimento pratico in un posto così lontano nel bel mezzo di una guerra. Christophsis era un luogo pericolo, anche per due Jedi del grado di Anakin e delle competenze di Obi-Wan, e avevano già dimostrato di riuscire a prendere il controllo del pianeta solo per poi perderlo immediatamente dopo. Allo stesso tempo, Anakin sapeva che non vi era alcuna garanzia di sicurezza ormai da nessuna parte per un Padawan, e sapeva per esperienza personale che Obi-Wan Kenobi era il migliore tra gli insegnanti. Inoltre, questa volta, avrebbe avuto lui ad aiutarlo. Sempre che Obi-Wan avesse voluto.
Anakin non era del tutto sicuro di quale posto avrebbe assunto accanto ad Obi-Wan una volta che al suo amico fosse stato assegnato un nuovo studente. I Jedi non avevano lo stesso concetto dei ‘due’ come i Sith, ma la maggior parte di loro prediligeva agire in solitaria o in coppia. Era uno dei motivi per cui Anakin non aveva ancora mai richiesto di farsi assegnare un Padawan. Non voleva far sentire Obi-Wan spinto da parte. Ora, Obi-Wan aveva deciso di farlo lui per primo, e Anakin non era ancora sicuro di come dovesse sentirsi a riguardo.
Studiò il campo di battaglia sotto di lui per l’ennesima volta da quando l’attacco era cessato. Sarebbe stata solo una questione di tempo prima che i Separatisti cercassero un braccia per assaltare l’armata Repubblicana, e Anakin voleva essere sicuro di essere pronto a tutto, quando quello che sarebbe dovuto succedere avvenisse, dovesse trattarsi anche del coinvolgimento del Padawan di Obi-Wan nella sua strategia.
Forse sarebbe stato meglio. L’aggiunta di un Jedi più giovane avrebbe ricordato costantemente ad Obi-Wan che Anakin era abbastanza grande per prendersi le proprie responsabilità, che era molto vicino a diventare maestro a sua volta. E ottenere incarichi diversi rispetto ad Obi-Wan non sarebbe stato neppure poi così male. Gli avrebbe dato la possibilità di trascorrere più tempo con Padmé. Per affari puramente ufficiali, ovviamente.
Anakin guardò verso l’alto mentre un nuovo suono divideva l’aria sopra di loro. Una nave messaggero della Repubblica aveva sfondato il blocco separatista. Sperava che fosse lì per portare alcuni dei rinforzi, abbastanza da poter iniziare a girare dalla loro le sorti della battaglia sulla superficie del pianeta. Anakin disse al suo gruppo di cloni di tenere le loro posizioni e poi andò ad incontrare Obi-Wan. Non riusciva a scacciare la sensazione che la sua vita stesse per cambiare.


 
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– CAPITOLO 16 –



BAIL ORGANA si sentiva oppresso dalla burocrazia. Il suo studio nel palazzo reale di Alderaan era spazioso, e non lo aveva mai fatto sentire tanto sopraffatto prima. C’era spazio più che sufficiente per diverse sedie, la sua scrivania, e l’acquario pieno di colori e vivaci creature marine che aveva fatto installare per intrattenere la figlia quando lo andava a trovare durante il lavoro, ma si sentiva come se nemmeno l’intera galassia avrebbe potuto accogliere neppure la metà della responsabilità che aveva in quel momento. Faceva quello che poteva per rappresentare la gente del settore di Alderaan nel Senato Imperiale, e cercava aiutare il popolo della galassia come poteva quando era sicuro di non essere osservato.
Era quasi sicuro che nessuno lo stesse facendo al momento, adesso.
Si arrischiò a lanciare uno sguardo fugace alle sue spalle, per assicurarsi che sua figlia fosse distratta dal pesce e poi aprì l’ultimo dei suoi documenti segreti. Era criptato, naturalmente, ma riuscì a decodificarlo abbastanza velocemente. Diede un’altra occhiata. Il problema dell’adottare la figlia di due persone di spicco era che c’era una buona probabilità che la pergola si potesse rivelare particolarmente dotata. Era ragionevolmente certo che Leia non avrebbe imparato a leggere nel mentre lui si sarebbe trovato a Coruscant per l’ultima sessione senatoriale, ma con lei, non si poteva mai essere troppo sicuri di niente. Non sarebbe riuscito a tenerla fuori dai guai per sempre, ma lui e Breha avevano accettato di tenerla fuori dalla guerra, almeno fino a quando non avrebbe imparato che cosa avrebbe potuto dire, e quello che sarebbe stato meglio evitare di riferire a qualcuno.
Iniziò a leggere e quasi non si dimenticò che Leia si trovava proprio lì nella stanza.
La luna si chiamava Raada, un piccolo satellite di un pianeta inabitabile che dovette ricercare su di una mappa stellare. Non aveva idea del perché l’Impero fosse andato lì, ma lo avevano fatto, e i popolani – per lo più contadini, secondo il rapporto – non avevano reagito bene all'occupazione. Durante la loro residenza, molti di loro erano morti o erano stati catturati. Tutte quelle informazioni gli fecero accelerare il battito cardiaco, fino a quando il suo cuore non si fermò di colpo: Attività Jedi Confermata.
Ancora sognava di quella ultima sera, quando il Tempio era stato bruciato. Alle volte era stato in grado di far salire quel Padawan sul suo speeder in tempo. Altre volte i cloni avevano sparato sia a lui che al ragazzo. Ogni tanto riusciva a salvare Yoda e a risvegliarsi madido di sudore freddo, con il suono di blaster e spade laser che gli riecheggiavano nelle orecchie e la visione di un piccolo corpo verde accasciato che lo perseguitava. Quando gli capitava di avere quell’incubo su Coruscant, non c’era nulla che potesse fare a riguardo, se non accettare la sua sconfitta per l’ennesima notte di sonno perduto. Quando faceva quel sogno su Alderaan, si avvicinava al lettino di Leia, la prendeva in braccio e se la stringeva forte al petto, sperando con più volontà possibile che prendesse dalla madre biologica, piuttosto che dal padre. Se ne stava lì, a cullarla, fino a quando Breha non scopriva che fosse lì e non lo faceva tornare nuovamente a letto.
L’idea che ci fosse qualche sopravvissuto là fuori gli pervase il petto con parti uguali di impazienza e terrore. Terrore, perché l’Impero non avrebbe mai smesso di cacciare i Jedi, ed impazienza perché un Jedi era un potenziale buon alleato per la sua causa. Non c’era la descrizione del Jedi in questione, quindi non sapeva chi stessero cercando. Sapeva che non poteva trattarsi di Obi-Wan, almeno. C’erano migliaia di Jedi prima della spurga. Era probabile che potesse non conoscerlo e che non si sarebbe probabilmente fidato di lui nel caso gli avesse proposto la sua alleanza.
Chiarito questo, avrebbe dovuto essere qualcuno relativamente potente per essere riuscito ad essere soppravvissuto tanto a lungo, il che valeva la pena di fare qualche sforzo per trovarlo.
Pensò di inviare ad Obi-Wan un messaggio a riguardo, ma respinse praticamente subito quell’idea. Avevano concordato di non scambiarsi nessun contatto, se non nel più grave dei casi, per delle emergenze, e per quanto la conoscenza di un Jedi sopravvissuto avrebbe potuto far sentire meglio il suo vecchio amico, Bail sapeva che non valeva la pena di rischiare in questo caso. Un giorno, se avesse avuto una qualche ragione per contattarlo, glielo avrebbe riferito. Ma la bambina nel suo ufficio gli dava una forte motivazione per tacere l’informazione, e c’era anche un altro bambino, che aveva incontrato solo per pochi istanti, che aveva altrettanto bisogno della sua discrezione.
Baiò cancellò il rapporto e ripulì il disco. Ad un certo punto, sarebbe stato utile trovare un modo per salvare quei file, ma in quel momento aveva semplicemente modo di assicurarsi di eliminarne ogni traccia una volta che li aveva decifrati. Attualmente si sarebbe basato sulla divulgazione verbale e la memoria umana, cosa un po’ scomoda, ma in generale più sicuro nel caso vi fossero più soggetti coinvolti. Guardò fuori dalla finestra, vedere le montagne verdi e bluacee del suo pianeta natale fu così confortante, così come lo era sempre stato.
Avrebbe dovuto rimandare l’unità R2 dal Capitano Antilles. Il droide era affidabile e capace di difendersi da solo. Bail avrebbe dovuto fare solo in modo di non lasciare il droide da solo con la figlia, nel caso in cui qualcuno avrebbe potuto ricollegare le idee.
Pensare a lei fece lanciare a Bail un’altra occhiata verso l’acquario. Leia era in piedi, le mani e il naso premuti contro il vetro, mentre osservava una creatura tentacolare viola e aranciata che si spostava attraverso l’acqua come se stesse ballando. Di tanto in tanto la piccola rideva quando la creatura cambiava direzione, emettendo un flusso di bolle. Non poteva immaginare la sua vita senza sua figlia. Non poteva immaginare di non fare nulla per creare una galassia nella quale sarebbe potuta crescere. Non era ancora del tutto sicuro di come avrebbe potuto farlo e allo stesso tempo tenerla al sicuro.
Chiuse tutti i file sulla scrivania una volta inviato il messaggio al Capitano Antilles. Avrebbe ottenuto una risposta al più presto, ma fino ad allora avrebbe avuto bisogno di pensare al passo successivo da fare e di discutere delle varie opzioni con la moglie. Bail attraversò la stanza silenziosamente, contando sul fatto che i tentacoli mantenessero l’attenzione della figlia, e poi la afferrò all’improvviso, facendola oscillare tra le sue braccia. Le sue risatine riecheggiarono attraverso l’ufficio, il perfetto contrappunto alla sua profonda risata.
“Fuori,” disse lei, senza distaccare lo sguardo dall’acquario nonostante se ne fossero allontanati.
“Fuori,” accettò lui, e la portò sul balcone, dove l’aveva presentata per la prima volta a sua moglie e al pianeta dove sarebbe cresciuta e avrebbe imparato a chiamare casa.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Il problema principale era che dopo ad un certo punto, nonostante la sua formazione come Inquisitore e capacità osservativa, al Sesto Fratello tutti quei bambini sembravano uguali. Quel punto insorse abbastanza presto nella sua indagine di quel periodo, a causa del gran numero di bambini che quella famiglia aveva sfornato. Escluse i più grandi; il Tempio Jedi ne sarebbe entrato a conoscenza prima della sua caduta, ma ce ne erano almeno una dozzina di quelli più giovani, e sembravano correre ovunque.
Il rapporto non era molto affidabile come punto di inizio. Gli ologrammi di sorveglianza del cantiere navale non erano stati molto più utili, e non aveva nemmeno potuto vedere il replay prima che qualche inetto subalterno fosse riuscito a rovinarla. Tutto quello che aveva erano le dichiarazioni di quattro stormtrooper e un tenente che aveva visto la registrazione prima che venisse distrutta, e nessuno di loro era stato in grado di dire con certezza quale fosse la ragazzina nella riproduzione. Nessuno aveva effettivamente visto una ragazzina fare qualcosa, o almeno non aveva trovato nessuno che glielo avesse riferito. La famiglia non sembrava essere consapevole del fatto di stare nascondere una possibile traditrice in mezzo a loro.
Quindi si era ridotto a fare questo: a starsene seduto su di un pianeta arretrato, ad osservare una folla indisciplinata di bambini fino a quando uno di loro non si sarebbe mostrato sensibile alla Forza, cosa che sarebbe anche potuto non succedere mai. Più di una volta, avrebbe voluto solo pianificare un incidente per abbatterli tutti in una volta e risolvere il problema. La famiglia Fardi era importante a Thabeska, ma erano praticamente sconosciuti nel resto della galassia. Nessuno si sarebbe lamentato se un’intera generazione del clan fosse andato in contro ad una morte prematura. Purtroppo, questo andava contro le sue attuali direttive. Non poteva uccidere i bambini. Poteva al massimo comprarli dai propri padroni.
La console suonò per ricevere un messaggio in arrivo. Era un holorecording proveniente da una luna ancora più arretrata del pianeta su cui si trovava, quindi lo ignorò del tutto. Poi notò il codice del messaggio. Era uno nuovo, creato appositamente per lui, per i suoi fratelli e le sue sorelle. Sarebbe potuto trattarsi un altro inseguimento per un Mynock, ma sarebbe anche potuto essere qualcosa che invece avrebbe dovuto vedere.
“Attenzione, Imperiali,” così, iniziava il messaggio. Era un comandante di un basso livello, anche se il suo rango era insolitamente alto per stazionare su di una luna così lontana. Ci doveva essere qualcosa su quella luna che l’Imperatore doveva volere davvero tanto. “Abbiamo rilevato la presenza di un essere sensibile alla Forza. La sua identità non può essere determinata, ma la sua capacità nell’uso della Forza è stata confermata da più fonti. L’età ipotizzata indica un certo livello di addestramento Jedi. Si suppone essere un padawan, non un livello superiore. Fate rapporto secondo la procedura pre-stabilita mentre attendiamo ulteriori istruzioni. Siete pregati di rispondere.”
Questo era molto meglio che cercare una marmocchia. Un bambino poteva essere catturato, sfruttato per le sperimentazioni e corrotto. Un Jedi, anche se un misero Padawan, poteva invece ucciderlo. Per di più, gli era concesso il completo sostegno imperiale nel caso si trattasse di rintracciare un Jedi, e aveva sempre desiderato rispolverare le sue tattiche interrogatorie. Ora tutto quello che avrebbe dovuto fare era assicurarsi di arrivarci per primo.
Registrò immediatamente una risposta rapida, usando lo stesso codice, in modo che il comandante del distretto non sarebbe stato impreparato al suo arrivo inaspettato. Anche se non era stato detto chiaramente nel messaggio, dedusse che il Jedi fosse già riuscito a scappare e che il comandante avesse bisogno di tutto l’aiuto che poteva ottenere prima che la sua incompetenza venisse portata alla luce. L’Inquisitore inviò un messaggio più lungo, anche se comunque piuttosto conciso, alla propria sede, specificando dove fosse diretto e perché. Nessuno degli altri aveva risposto, il che significava che la sua proposta per andare era l’unica. Nessuno lo avrebbe privato di quella missione, anche se non si aspettava che gli altri ignorassero la cosa e basta. Doveva raggiungere quella piccola ed inutile luna, il prima possibile.
Senza alcuna esitazione, chiuse il file del monitoraggio e lo contrassegnò come niente di critico. Se uno dei bambini avesse avuto effettivamente qualche potere, non era comunque abbastanza forte perché lui potesse avvertirne qualche traccia, onde per cui non doveva essere nulla di cui preoccuparsi. L’Impero avrebbe sempre potuto inviare un altro Inquisitore se lo avrebbe ritenuto necessario in futuro, ma lui ne aveva abbastanza di quel mondo polveroso. E un adulto era una preda di certo migliore. Si alzò, si calò il copricapo sul viso dalla pelle grigiastra, e attraversò il cantiere dove era ormeggiata la sua elegante piccola navetta. Non aveva effetti personali, se non l’arma che portava sempre legata alla schiena, quindi non passò molto tempo prima di ritrovarsi in orbita a calcolare il salto nell’iperspazio.
Nella polvere della superficie del pianeta, Hedala Fardi giocava con i suoi cugini nel cortile vuoto dove vi erano ancorate le navi della sua famiglia. La brutta sensazione che l’aveva infastidita negli ultimi giorni, così come un mal di denti, tutto ad un tratto svanì, proprio mentre il sole sbucava da dietro le nuvole. Venne il suo turno di giocare ad acchiapparello e fu perfetto come al solito, senza dover fare il minimo sforzo. Sua sorella maggiore ed i cugini non mettevano in discussione la sua abilità in quel gioco. Era da tempo che non era più una novità per loro.

 
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AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 17 –



LA SITUAZIONE ERA MOLTO PEGGIORE di quanto Ahsoka non si fosse aspettata. In ogni sistema per cui era passata aveva riscontrato la presenza degli imperiali, e non semplici basi discrete e di poco conto, ma vere e proprie organizzazioni per monitorare i governi locali. Erano opprimenti, perpetui a controllare le risorse dei pianeti e le sue popolazioni, senza alcun riguardo per i diritti personali di questi o dei loro bisogni. Qualsiasi possibile resistenza doveva essere stata evidentemente schiacciata. Ad Ahsoka quasi non scendeva una lacrima nello scoprire quello che era successo su Kashyyyk, mentre lei era lontana da ogni contatto su Raada. Si chiese che fine avesse fatto Chewbacca, lo Wookie con il quale era riuscita a scappare dalla prigionia di Hunter Moon. Sperava fosse sopravvissuto e che non fosse riuscito a riconquistare la propria libertà solo per poi perderla nuovamente, ma stava iniziando a perdere le speranze.
I pianeti al di fuori del controllo dell’Impero erano stati invasi dai peggiori signori del crimine, nessuno dei quali era particolarmente amichevole. Ahsoka credeva che Jabba the Hutt non si sarebbe sentito in dovere di ricompensare i favori che gli aveva fatto ed ospitarla nel suo territorio sotto un discreto anonimato. Prese in considerazione per qualche nano secondo Takodana, un mondo composto prettamente da acqua e natura, posto nel quale si sarebbe probabilmente sentita a suo agio, ma decise di no senza neppure farci un sopraluogo. Sarebbe stato comunque troppo rischioso.
Dopo il settimo sistema dell’Orlo Esterno che constatò essere diventato di dominio Imperiale, Ahsoka prese la sua decisione. Non poteva fare ritorno a Raada, non ancora. Sarebbe stato molto più sicuro per tutti, più sicuro per Kaeden, se fosse rimasta alla larga dal pianeta. Gli imperiali la stavano probabilmente ancora cercando, e sarebbe stato meglio per i suoi amici non sapere dove si trovasse.
Inoltre, non poteva avvicinarsi troppo al Nucleo Interno. Anche nell’Orlo Esterno sarebbe stata troppo esposta. Per quanto avrebbe voluto trovare una valle nascosta in mezzo ad una montagna su un qualche pianeta come Alderaan o Chandrila, non poteva rischiare. Quando era stata un Jedi, aveva conosciuto troppe persone provenienti da quei pianeti.
Cosa sarebbe successo se fosse tornata dai Fardi? L’Impero probabilmente si era già instaurato lì, quindi le cose sarebbero state ormai stabili, ma quel pianeta non dava molta importanza alla politica galattica. Non era nemmeno sicura che ci fosse un senatore, o se vivesse sul pianeta o meno. Le corporazioni e le federazioni che avevano sostenuto i Separatisti erano state in buona parte spazzate via, così come i Jedi. Questo aveva permesso ai Fardi di poter fare un passo in più verso il potere invece che allearsi con una famiglia potente come quella degli Hutt. Avrebbe potuto evitare le pattuglie, e sapeva di riuscire a non sollevare sospetti fino a quando avrebbe tenuto un basso profilo e si fosse assicurata di non usufruire della Forza per nessun motivo. Mai.
In fondo al suo cuore, era disposta ad ammettere di avere una motivazione secondaria. Aveva bisogno di controllare come stesse Hedala Fardi. L’aveva abbandonata già una volta, e dal momento che non poteva aiutare Kaeden, avrebbe per lo meno aiutato qualcun altro che aveva bisogno di lei. Se avrebbe dovuto organizzare un altro salvataggio, aveva bisogno di saperne di più il prima possibile. Doveva a quella famiglia più di quanto non volesse ammettere.
Era abbastanza vicina, quindi il salto nell’iperspazio fu breve – un calcolo semplice, e fu subito nell’orbita. Guardò giù verso il paesaggio polveroso e familiare che aveva considerato per pochissimo tempo come casa e sospirò. Stava per andare ad affrontare un veloce discorso con i Fardi per convincerla a riprenderla con loro, anche se era stata lei ad andarsene senza dire niente.
Poteva anche limitarsi a starsene nascosta. Sotterrare la testa sotto la sabbia, mangiare solo quello che riusciva a procacciarsi, e scomparire del tutto dalla vita civilizzata. Non sarebbe stato facile, ma perlomeno sarebbe stata al sicuro. Sarebbe stata anche completamente rimasta tagliata fuori. Nascondersi non l’avrebbe costretta a dover proteggere anche altri se non sé stessa. Se ne sarebbe rimasta in disparte, da sola. Sarebbe stato meglio che dover mentire, per lo meno fino a quando non avrebbe capito che cosa fare poi. Strinse la sacca con i vari pezzi di metallo, ma la cosa non la fece sentire meglio. Non avere una missione da compiere non era una cosa semplice.
L’ultima volta che era atterrata nel cantiere dei Fardi, le ragazze le erano venute incontro. Questa volta, fu il capo famiglia, l’uomo che aveva comprato la sua nave della Repubblica, e non sembrava particolarmente entusiasta di vederla.
“Sei tornata, vedo,” disse mentre lei scendeva dalla nave. “Mi hai riportato una cosa di mia proprietà?”
“Credo che la terrò per un altro po’, se va bene,” ribatté Ahsoka. “Se hai bisogno di altre riparazioni, però, sono disponibile.”
Lui la guardò, come se stesse soppesando quelle parole. Sapeva che lui non poteva essere a conoscenza di chi fosse, ma sapeva che se ne era andata quando aveva avuto l’occasione di farlo, invece di rimanere e affrontare il controllo imperiale. Forse avrebbe deciso che non valesse la pena di rischiare.
“C’è sempre posto per un buon meccanico,” disse dopo una lunga pausa. “O per uno competente, come te.”
Ahsoka sorrise. Competente andava più che bene.
“Hai anche meno bagagli questa volta,” commentò Fardi.
“Mi piace viaggiare leggera,” rispose Ahsoka.
“Beh, potresti tornare a casa con me,” disse lui. “Attrarremmo troppo l’attenzione se rimanessimo qui fuori troppo tempo. Di solito, veniamo ignorati, perché gli imperiali non possono dirci nulla, ma tu sicuramente non sei compresa nei loro limiti, quindi è meglio se andiamo via. Sei mancata molto alle ragazze, e poi c’è da mangiare.”
Ahsoka lo seguì lungo la strada polverosa. I sobborghi erano differenti dall’ultima volta che li aveva visti, prima di andarsene – era più silenziosi, si respirava un aria di tensione ad ogni angolo. La gente camminava a testa bassa, e Ahsoka avrebbe dovuto fare lo stesso, ma non riusciva ad ignorare quello che le stava attorno, né aveva intenzione di ignorarlo. Doveva controllare lo stato di Hedala, riappianare i rapporti con i Fardi, e poi ragionare su che cosa potesse fare per Kaeden, ancora su Raada.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Hedala Fardi aveva avvertito l’arrivo di Ahsoka. Era l’unica spiegazione del perché la ragazzina fosse apparsa sulla porta d’ingresso della casa da sola, lontana dal gruppo di bambini con cui usava andarsene in giro di solito. Anche suo zio notò quella stranezza, anche se si limitò a passare senza dire nulla. Forse si erano abituati al fatto che Hedala si comportasse in modi bizzarri.
La bambina si avvicinò ad Ahsoka e le strinse la mani attorno alla vita. Ahsoka fu felice di constatare che fosse viva e vegeta. Si inginocchiò per darle un abbraccio per bene.
“Sono felice di vederti,” le sussurrò.
“Anche io,” rispose Hedala. La ragazzina aveva giusto un anno in più rispetto all’età media in cui il Tempio avrebbe potuto trovarla, sempre che non fosse stata così lontana dal Nucleo. “C’è stata un’ombra strana mentre eri via.”
Ahsoka avrebbe voluto chiederle di che cosa stesse parlando, ma prima che potesse farlo, le cugine Fardi fecero capolino nella stanza. Già a terra, Ahsoka si ritrovò sommersa da abbracci e domande riguardo la sua assenza.
“Siamo felici che tu stia bene, però, Ashla,” disse la ragazza più grande. Ahsoka non riusciva a ricordarsi il suo nome. Avrebbe dovuto sforzarsi però.
“Anche io sono felice che tutti voi stiate bene,” disse. “La galassia sembra essere diventata un così brutto posto.”
“Shhhh, non farti sentire dalla Mamma,” disse un’altra ragazzina. “Non le piacciono le cose politiche, e devia i nostri discorsi verso temi molto più noiosi. Aspetteremo di essere da soli.”
Ahsoka annuì, felice di essere stata coinvolta in una cospirazione tanto innocente, e si sforzò per alzarsi lottando contro tutti gli abbracci.
“Mi dispiace davvero,” disse Ahsoka, “Ma ho dimenticato quale nome si ricollega a chi di voi.”
Immediatamente, vi fu uno scoppio di risatine e nomi. Ahsoka alzò le mani per quietare la situazione. “Una alla volta,” disse. “Altrimenti non riuscirò mai a ricordarli.”
“Nessuno se li ricorda mai,” commentò una ragazza poco più grande di Hedala. “E così non finiamo mai nei guai.”
“State rivelando troppi segreti, mie care,” disse il signor Fardi. Era rimasto dietro a tutto il gruppo a ridere. “Ma non c’è nessun problema se dite i vostri nomi ad Ashla. Però credo che non rimarrò qui con voi mentre lo farete. Sapete essere anche più chiacchiericce delle mie sorelle.”
Le ragazze reagirono male all’insulto velato rivolto alle loro madri, e il signor Fardi venne costretto ad una ritirata fugace verso il suo ufficio. Mentre le ragazze si prestavano ad inseguirlo, Hedala se ne rimase in silenzio vicino ad Ahsoka. Lei colse l’opportunità per ammonire la ragazzina di stare attenta.
“Ho bisogno che mi parli di quell’ombra,” le disse. “Ma non devi parlarne con nessun altro, d’accordo?”
Hedala annuì, solo un piccolo cenno solenne.
“Ne parliamo più tardi,” disse Ahsoka. Prese la mano della bambina. “Dai, andiamo a salvare tuo zio.”
Ci volle ben poco per distrarre le ragazze. Condussero Ahsoka fuori in cortile, dove si sedettero tutte su dei cuscini colorati. Le alte pareti fecero sentire Ahsoka al sicuro, anche se sapeva che un Camminatore Imperiale avrebbe benissimo potuto scavalcarle. La ragazza più grande dei Fardi comparve con un vassoio da tè che trasportava una dozzina di piccole tazze ed un vaso enorme.
“Io sono Chenna,” informò, passando una delle tazze ad Ahsoka. Nonostante già il posto fosse caldo, il te era ancora più caldo e Ahsoka vi ci soffiò sopra prima di berne un sorso.
Chenna diede le tazze alle altre ragazze, dicendo il nome di ognuna mentre lo faceva. Era davvero terribile il fatto che si assomigliassero tutte. Tutta colpa della genetica.
Ahsoka cercò di catalogare ogni nome che sentiva, collegandolo con qualche particolarità di ognuna delle ragazze. Infine, Chenna presentò Hedala.
“E questa è Hedala,” concluse. “Ma lo sai già, perché tutti si ricordano del suo nome.”
“Rischia di mettersi nei guai,” commentò Makala canzonandola.
“Tu ti creerai dei problemi,” l’avvertì Chenna, “Se non presti più attenzione alle tue lezioni di pilotaggio.”
Makala mise il broncio, mentre il resto delle ragazze risero. Cominciarono a parlare degli addestramenti sul volo, una tradizione di famiglia, e tutte le altre cose che avevano fatto mentre Ahsoka era via. Infine, quando il sole stava ormai calando, cominciarono a tornare alle rispettive case per la cena, e solo Chenna, Ahsoka e Hedala rimasero sedute nel cortile. Hedala era seduta in grembo a Chenna, e la ragazza più grande le stava pettinando i capelli neri con le dita. A quel punto, Ahsoka capì che le due dovessero essere sorelle, e che era per questo che Chenna si prendesse particolare cura di lei.
“Devi aver visto cose terribili là fuori, Ashla,” suppose Chenna. “Puoi parlarmene anche davanti a Hedala, non c’è nulla che riesca a spaventarla.”
“Sì,” ammise Ahsoka. Era importante che Hedala sapesse, ma anche Chenna doveva sentire, se voleva sopravvivere. “Le persone che ho incontrato hanno sofferto, e non c’è stato nulla che abbia potuto fare.”
“Quindi li hai abbandonati?” domandò Chenna. Tenne stretta Hedala, e la bambina si agitò per liberarsi.
“È complicato,” rispose Ahsoka. “Si sono dovuti nascondere, ma io non mi potevo nascondere assieme a loro.”
“E perché no?” chiese Chenna.
Ahsoka ci rifletté un attimo e poi selezionò una bugia che si avvicinasse abbastanza alla verità da poter risultare ragionevole.
“Non ci sono molti Togruta rimasti in giro per la galassia con cui io possa ricongiungermi,” disse. “Sarebbe diverso se fossi una Twi’lek, e sarebbe ancora più differente se fossi umana, ma non lo sono. Non mi vergogno di quello che sono, ma devo stare molto attenta per via di questa cosa.”
“Tutti noi in famiglia ci assomigliamo,” commentò Hedala. Lo disse come se stesse recitando una strofa, cosa che Ahsoka suppose fosse un suggerimento che stesse cercando di sembrare improvvisamente più matura. “I nostri capelli lunghi, la nostra pelle scura. Le persone cercando di distinguerci, e noi li inganniamo. Ci ha aiutate a confondere l’ombra, e ci tiene al sicuro. Vorrei tanto che assomigliassi anche tu a noi.”
“Mia sorella è una bambina intelligente,” interpretò Chenna. Il tono della sua voce era piena di calore, e provocò una sorta di dolore dentro ad Ahsoka. Hedala era troppo giovane per essere così saggia, e non avrebbe mai potuto arrivare a poter dimostrare la sua bravura al Maestro Yoda, così come sarebbe dovuto essere. “Probabilmente è grazie alla mia influenza su di lei.”
Ahsoka rise, e le ragazze Fardi risero con lei. Era abbastanza al sicuro per adesso.

 
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– CAPITOLO 18 –



PASSARONO CINQUE GIORNI prima che Ahsoka riuscisse a rimanere da sola con Hedala. Aveva trascorso quel tempo a lavorare su uno dei trasporti pesanti dei Fardi, fece una messa a punto del motore ed installò un nuovo compressore. Non domandò quale sarebbe stato il carico che avrebbe richiesto un lavorio del genere. I Fardi l’avevano accettata tra loro perché sapeva rendersi utile, ma non le dicevano i segreti del modo in cui lavoravano. Francamente, Ahsoka non era neanche sicura di volerlo sapere.
Alla fine, fu Hedala a venire a cercarla, nella piccola stanza assegnata ad Ahsoka nel casato di famiglia dopo l’ora del coprifuoco, quando doveva già essere a letto. Ahsoka avrebbe voluto rifiutare quell’offerta, ma non era riuscita a pensare ad un modo educato per farlo. La sua vecchia casa era stata presa da qualcun altro, e non riusciva a dormire a bordo della nave. Non aveva poi così tante opzioni. La casa era chiassosa, ma per lo meno poteva tenere d’occhio la situazione.
“Siediti, piccolina.” Disse nello stesso modo in cui avrebbe potuto parlare ad una giovane Jedi.
Hedala si sedette sul letto di Ahsoka. Incrociò le gambe e pose le mani sulle ginocchia. Era la posizione privilegiata da Ahsoka per la meditazione, e lei si rispecchiò in quella bambina senza nemmeno pensarci.
“Hedala, ho bisogno che mi racconti dell’ombra,” la incoraggiò Ahsoka. “Qualsiasi cosa tu riesca a ricordarti a riguardo. Puoi farlo?”
“Sì,” disse Hedala. “Non l’ho mai vista, ma sapevo che c’era, in città.”
“Come lo sapevi?” chiese Ahsoka. “Voglio dire, come hai fatto a saperlo se non l’hai vista?”
“L’ho sentita così come sento che il sole è caldo, solo che era oscura, e non luminosa.”
“E se n’è andata all’improvviso?” domandò Ahsoka.
“Sì.” La ragazzina tamburellò le dita sulle ginocchia.
Ahsoka rifletté su quale fosse il modo migliore di procedere. Non voleva terrorizzare completamente la bambina, ma voleva che si comportasse in modo prudente. Avrebbe voluto aver passato più tempo con quelle ragazzine. Maestro Yoda era sempre sembrato bravo a parlare con i più piccoli. Provò ad immaginare che cosa le avrebbe potuto dire, e si ritrovò a dover scacciare via la voglia di ridere quando le tornò in mente la maniera unica che aveva di parlare il maestro Yoda. Forse era per questo che ai piccoli era sempre piaciuto così tanto.
“Sei stata molto coscienziosa a rimanere lontana dall’ombra,” le disse Ahsoka. “È sempre più saggio aspettare e saperne di più quando si percepisce qualcosa di sconosciuto e spaventoso.”
“Non ne ho mai parlato con nessuno,” disse Hedala. “Pensi che sia stato stupido? Non pensavo che qualcuno mi avrebbe mai creduto.”
“Ma sapevi che io lo avrei fatto?” domandò Ahsoka.
“Chenna dice che le persone che hanno viaggiato molto tendono a credere di più, rispetto che ad altri,” disse Hedala, come se fosse un dato di fatto. “Che hanno visto più cose, fatto più esperienze, e che questo li porti ad avere una più grande immaginazione.”
“Chenna potrebbe avere ragione,” affermò Ahsoka. “Penso che tu abbia fatto bene a tenere questa storia dell’ombra per te. È più facile tenersi nascosti da qualcosa come quella se nessun’altro ci presta attenzione.”
“Io sono molto brava a nascondermi,” disse Hedala.
“Sono felice di sentirlo,” rispose Ahsoka. “Ma credo che dovresti andare a dormire prima che qualcuno venga a cercarti, giusto per salvare la tua reputazione.”
Hedala ridacchiò e se ne andò per la sua strada, lasciando Ahsoka da sola con i suoi pensieri.
L’ombra era quasi certamente una creatura del Lato Oscuro. Ahsoka non aveva idea di che cosa potesse essere, ma qualunque cosa fosse, non poteva essere molto potente, dal momento che non era riuscita a rintracciare Hedala. Escluse che potesse essere Palpatine stesso, dato che l’Imperatore non poteva semplicemente presentarsi su di un pianeta senza causare un grosso allarme. Escluse anche che Palpatine stesso scendesse sul campo a rintracciare i Jedi sopravvissuti da sé. Ahsoka avevo sentito delle voci riguardanti un signore oscuro che serviva l’Imperatore, ma niente di concreto che potesse confermarlo. Come al solito, si sentiva piuttosto tagliata fuori senza i suoi vecchi canali informativi. Per lo meno, Hedala aveva detto che l’ombra non c’era più.
Ahsoka si prese un attimo per domandarsi dove questa ombra se ne fosse andata. Conteggiò i giorni sulle dita, calcolando quanto tempo avesse trascorso nell’iperspazio, cosa che rendeva il passare del tempo sempre un po’ impreciso, e si rese conto che l’ombra di Hedala se ne era andata poco dopo che Ahsoka aveva salvato Kaeden su Raada. Era probabilmente solo una coincidenza, ma allo stesso tempo Ahsoka si era fatta abbastanza esperienze da sapere che le coincidenze e la Forza raramente non combaciavano. C’era sempre una sorta di collegamento.
Tamburellò le dita sulle ginocchia, nello stesso modo in cui aveva fatto Hedala poco prima, e si chiese che cosa avrebbe fatto quell’ombra su Raada una volta appreso che Ahsoka se ne fosse andata. Non aveva fatto nulla ai Fardi, ma loro non erano obbiettivi di un’indagine imperiale. Forse sarebbe tornata di nuovo lì.
La cosa avrebbe messo in pericolo Hedala, così come Ahsoka. Ahsoka resistette all’impulso di sbattere la testa contro il muro. Era difficile rimanere concentrati e calmi. Le mancava la possibilità di rivolgersi al consiglio. Immaginare che cosa avrebbero fatto i suoi maestri fu utile, ma si sentì un po’ stupida a parlare da sola. Quando meditò e ripensò a quel dilemma, la risposta venne da lei con il suggerimento che le serviva, e un po’ prendendola di sorpresa, gliela comunicò la voce di Padmè Amidala. Come tutti i politici, la senatrice di Naboo prediligeva raccogliere più informazioni possibile per poterle sfruttare come suoi punti di forza.
In quel particolare momento, i punti di forza di Ahsoka erano tutti all’interno del complesso dei Fardi. Era abbastanza protetta lì, aveva accesso ad un sistema di notizie, e se fosse riuscita a trovare un po’ di tempo, sarebbe riuscita a fare in modo che i membri più anziani della famiglia si fidassero di lei, e probabilmente farsi suggerire qualche buona idea in grado di aiutarla con quella situazione. Non era esattamente il modo a cui ad Ahsoka faceva piacere pensare alla politica, ma con un po’ di fortuna, i suoi avversari non si sarebbero aspettati che avrebbe agito in quel modo.
Ahsoka si coricò, poggiandola testa sul cuscino continuando a pensare, come aveva sempre fatto, anche se quel capezzale era molto più morbido dei posti in cui era solita dormire quando era Padawan. Se il mattino seguente avrebbe dovuto davvero indagare sul commercio intergalattico, per lo meno sarebbe stata riposata.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Il signor Fardi fu sorpreso quando, a solo una settimana dal suo ritorno, Ahsoka fosse andata da lui a richiedere un nuovo lavoro. Aveva insistito per osservare qualche dimostrazione delle sue abilità come pilota, cosa che aveva senso dato che era il lavoro principale della famiglia. Ahsoka sapeva come impressionarlo, facendo un rapido giro intorno a Thabeska e un passaggio su un circuito apposito nel suo complesso.
“Non è che tu possa fare entrambi i lavori,” disse Fardi mentre Ahsoka faceva atterrare il cargo, la loro ultima prova era stata portata a termine. “Ti faremo sapere quando avremo bisogno di un pilota. Non cambierà altro.”
Cosa ad Ahsoka andava più che bene.
Iniziarono ad assegnarle dei piccoli lavori. Volò verso altre città di Thabeska, controllando gli altri rami della famiglia, e occupandosi di qualche consegna. A volte pilotava la sua stessa nave, e altre volte gliene veniva assegnata una più grande. Non aveva mai domandato quale fosse il contenuto delle casse che trasportava, e non sapeva se corrispondesse davvero a quello che le era stato detto. Dopo il suo decimo viaggio, iniziò a pensare che i Fardi contrabbandassero solo per rimanere a galla, solo che ogni volta che doveva scaricare qualcosa in un qualche vicolo buio o dietro ad un magazzino isolato le persone che dovevano ricevere il carico erano emaciate, disperate, e grate. Era comunque un lavoro stranamente appagante.
Comprese che l’arma principale dell’Impero, oltre alla paura, era la fame. Aveva visto quella strategia in azione su Raada, oppure durante le Guerre dei Cloni, ma vederlo applicato su una così ampia scala la fece sentire molto a disagio. L’Impero era ancora ai primi tempi, e stava ancora lavorando per affermarsi nei luoghi più esterni della galassia, eppure era già incredibilmente potente. E si rese conto del fatto che avesse contribuito alla sua costruzione. I meccanismi messi in atto durante le Guerre dei Cloni erano stati sfruttati affinché potesse usufruirne anche l’Impero, e le forze dell’Imperatore crescevano di giorno in giorno. Quasi ammirava Palpatine per la sua capacità di aver ideato un piano a così lungo termine – tranne per il fatto che fosse malvagio, e tutto il resto.
Con il tempo, i Fardi iniziarono ad affidarle delle commissioni fuori dal pianeta, e Ahsoka era più convinta che mai che l’Impero dovesse venire contrastato. Sfortunatamente, non aveva alcuna idea del come. Comprese, infine, come i contadini su Raada dovessero essersi sentiti quando erano stati costretti ad avvelenare i propri campi. Dovevano essersi sentiti frustrati e la cosa doveva averli spinti ad agire in modo incosciente. Avrebbe dovuto delle scuse appropriate a Neera quando sarebbe tornata lì, assumendo che Neera avesse accettato di ascoltarla.
Nel frattempo, la sua unica possibilità era quella di fare resistenza in modo passivo, e Ahsoka era grata per questo, mentre cercava altre possibilità, anche se pensare non era molto più di una distrazione.
Tutto questo cambiò molto freneticamente quando Ahsoka ricevette una richiesta di soccorso nel bel mezzo di uno dei suoi soliti percorsi fuori dal pianeta. Proveniva da una capsula di salvataggio, e Ahsoka esitò solo per un breve istante per considerare come agire. Il trasporto che stava portando aveva spazio a sufficienza per inserirvi altro, e la capsula non era molto lontana. Rapidamente si avvicinò, e in poto tempo fece salire a bordo tre nuovi passeggeri. Dalle loro espressioni allarmate pensò che il loro problema non fosse stato solo un errore tecnico alla loro nave principale.
“Sono stati i pirati,” disse la donna. Fu la prima a riuscire a calmarsi sufficientemente per parlare. “Hanno attaccato la navetta e ci hanno fatti prigionieri. Abbiamo fatto appena in tempo a raggiungere la capsula di salvataggio.”
“Perché vi hanno attaccati?” le chiese Ahsoka, parlando il più delicatamente possibile.
“Ransom, credo,” rispose la donna. Dondolò un po’ sul posto. Ransom era affiliato con un’organizzazione criminale chiamata il Sole Nero che saccheggiava in quel settore, e non erano noti per essere cortesi con i propri ostaggi.
“Non c’è bisogno che mi diciate i vostri affari,” li rassicurò Ahsoka. “Ditemi solo come mai siete stati presi di mira.”
“Siamo stati contattati da una società ben nota per collaborare ad un grosso progetto,” disse il più alto dei due uomini, dopo aver esaminato per bene le parole da dire. Gli unici grandi progetti erano quelli imperiali. “Stavamo contrattando per la ricompensa, quando siamo stati attaccati.”
“Pensi che dei vostri concorrenti abbiano voluto far fallire questo negoziato?” chiese Ahsoka.
La donna annuì.
“Se vi aiuto, voi proverete ancora a collaborare a quel progetto?” domandò. Era disposta ad aiutare le persone che ne avevano bisogno, ma era molto meno confortata all’idea di rendere più semplice i lavori dell’Impero. Il fatto che fosse costretta a fare quel genere di distinzione la fece rattristare.
“No,” disse la donna con enfasi. “Non ci sono crediti che valgono questo tipo di problemi. Vogliamo solo tornarcene dalla nostra gente e andarcene.”
Il modo in cui aveva detto la nostra gente fece supporre ad Ahsoka che non stesse parlando solo di dei dipendenti.
“D’accordo,” decise Ahsoka. “Datemi le coordinate.”
Dopo di ché, sembrò continuare a dover correre di continuo da persone che avevano bisogno di aiuto. Le missioni – se così poteva chiamarle – erano casuali e non organizzate, e qualche volta erano finite male. Più di una volta, era stata tradita ed era riuscita a scappare solo perché era stata addestrata a volare dal miglio pilota della galassia. Ma a poco a poco, si era costruita una solida fama. O per lo meno, Ashla se l’era fatta. Dopo quella prima volta, aveva fatto quello che poteva per evitare che quelli che aiutava potessero vedere il suo volto. Di solito loro accettavano la cosa, comprendendo la sua posizione. L’anonimato era la miglior difesa su cui potesse contare.
Se i Fardi sapessero quello che faceva quando portava le loro navi fuori dal pianeta, non dissero niente. Ahsoka si assicurava che le navi fossero difficili da monitorare, e si assicurava di eliminare tutte le prove possibili del fatto che fosse andata da qualche parte. Presto pensava di fare ritorno a Raada. Presto avrebbe trovato una nave abbastanza grande da poter trasportare tutti i suoi amici, e anche tutti gli altri contadini. Non era una città troppo grande. Avrebbe organizzato qualcosa.
Ad essere onesta, essere di nuovo un’eroina la faceva stare bene. Era stata addestrata per questo, per seguire la giustizia, e il fatto che stesse lavorando contro coloro che l’avevano ferita la faceva sentire ancora meglio. Stava attenta al fatto di resistere a sfruttare la sua natura spericolata. Senza contare che rendeva la vita della gente dell’Orlo Esterno un po’ più facile.
Il suo lavoro di omertà non passò inosservato.

 
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– CAPITOLO 19 –



IL SESTO FRATELLO riuscì a trattenersi alla notizia che il comandante del distretto non era riuscito a catturare la Padawan Jedi. Ma dopo tutto, se solo ci fosse stato qualcuno in grado di catturarlo, non ci sarebbe stato bisogno di richiamare gli Inquisitori. Si assicurò di farsi dare un rapporto dettagliato sulle mancanze del comandante in carico, ma non portò rancore nei suoi confronti. Era troppo professionale per cadere in quel genere di meschinità.
Venne molto meno impressionato da quel lacchè che si faceva chiamare Jenneth Pilar.
“Non eri esattamente quello che avevo in mente,” disse Pillar, esaurendo una lunga serie di lamentele sul quanto fosse carente quella base imperiale e sostenendo che i suoi suggerimenti dovessero essere seguiti per risolvere tale problema. “Sono sicuro che siate bravi a fare qualsiasi cosa richieda il vostro incarico, ma ho bisogno di uomini per le pattuglie, di far rispettare l’ordine, e assicurarmi che il lavoro sul campo venga completato entro i tempi previsti.”
“Allora dovrai cavartela da solo,” sentenziò l’Inquisitore. Gli piacque il modo in cui Pilar si ritrasse. “L’Impero ha altre priorità su Raada ora.”
Pilar sbuffò, ma alla fine si defilò quando l’espressione dell’Inquisitore si fece più nera e minacciosa. Quello era il modo più semplice per trattare con i burocrati dalle flebili menti. Non gli avrebbero dato retta in ogni caso, quindi era molto meglio intimidirli al punto da convincerli a rinunciare.
L’Inquisitore chiese di avere un rapporto sull’interrogatorio fatto ad una ragazza chiamata Kaeden Larte. Non aveva dato alcuna indicazione di sapere nulla riguardo al Jedi, ma ovviamente il suo interrogatorio non era stato attuato a dovere. Si erano spinti troppo in là, troppo velocemente, per cercare di spaventarla, e quindi non era stata fisicamente in grado di rivelare nulla prima del suo salvataggio; salvataggio chiaramente effettuato dal Jedi. Nessuno aveva visto niente, e la finestra era troppo in alto perché una ragazza con un braccio rotto potesse scalare il muro esterno da sola.
Una mappa della zona circostante prese il posto del rapporto sullo schermo dell’Inquisitore. Non c’era nessun posto dove potersi nascondere nella regione agricola del pianeta. Era troppo ben pattugliata, non vi era alcun buco di copertura, e sarebbe stato troppo lungo da attraversare. Gli insorti non potevano essersi nascosti nella città stessa. Sarebbero già stati scoperti ormai da un po’, anche dalla pattuglia di Assaltatori più inetta. Quindi restavano le colline. Senza poter usufruire dei Camminatori, i comandanti non si sarebbero spinti a cercare in quell’area, dal momento che avrebbe richiesto troppo tempo e mano d’opera. Forse quel disgraziato di Pilar aveva ragione a lamentarsi del fatto di essere a corto di personale.
Ma non aveva importanza. La Padawan Jedi era scomparso da ormai troppo tempo. La sua nave era stata vista abbandonare il pianeta dopo che la missione di salvataggio aveva avuto successo. Quello di cui aveva bisogno il sesto fratello era decidere l’ordine in cui seguire i suoi prossimi passi. Avrebbe trovato gli insorti e li avrebbe torturati, ma pensò che fosse più saggio rintracciare prima la Jedi, in modo da essere sicuri che fosse a conoscenza della sofferenza della gente che si era lasciata alle spalle. Poi sarebbe tornata a salvarli, e lui sarebbe riuscito a catturarla. Sapeva, o perlomeno sospettava, che dovesse fare così. Aveva ricevuto delle segnalazioni riguardo ad una serie di azioni eroiche apparentemente casuali che, considerandole insieme, sentiva potesse essere opera di un Jedi. Gli serviva semplicemente una conferma. Odiava doversi sforzare ad impostare una trappola senza assicurarsi prima che la sua preda sarebbe stata in grado di trovarla.
Una volta presa la decisione, si preparò a fare ritorno alla sua nave. Lasciò che l’Impero si occupasse delle risorse di Raada. Dopo tutto, quella gente non aveva altro posto dove andare. Avrebbe prima ottenuto l’attenzione del Jedi e avrebbe schiacciato tutti loro allo stesso tempo. Cancellò la relazione sul comandante del distretto prima di andarsene. Odiava dover ristabilire la sua autorità, e quell’uomo incompetente doveva venire sostituito prima che lui tornasse. Fu molto più facile lasciare Raada così com’era al momento, cotta a puntino prima del suo ritorno.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Un casuale osservatore avrebbe potuto pensare che quello fosse un normalissimo incontro tra un senatore e i propri collaboratori. Bail Organa era seduto dietro la sua scrivania discutendo della logistica mentre i suoi subalterni prendevano appunti, e sembrava tutto per nulla sospetto. Fuori dalla finestra alle sue spalle, il traffico di Coruscant scorreva freneticamente seguendo linee ordinate.
Quello che stava realmente facendo Bail, era una lista. C’erano state parecchie coincidenze fortunate nell’Orlo Esterno negli ultimi tempi che erano giunte alla sua attenzione. Era addirittura stato annullato un contratto imperiale nel mezzo. Un pianeta in disperato bisogno di aiuto, lo aveva ricevuto. Una nave pirata nota per eseguire operazioni di depredaggio per il Sole Nero, era stata fermata. Non c’erano collegamenti tra tempistiche e loghi, ma per ragioni che non sapeva spiegarsi, Bail era certo che fosse merito del Jedi che stava cercando.
Finora, nessuno dei suoi metodi di monitoraggio aveva dato i suoi frutti. Non ne era del tutto sorpreso. Il Jedi si stava probabilmente tenendo nascosto da possibili osservatori imperiali, e l’Impero era molto più portato ad utilizzare tipi poco raccomandabili per fare il lavoro sporco rispetto a Bail. Aveva recuperato R2-D2 dopo il rientro del Capitano Antilles, ma lasciava il droide con Breha su Alderaan quando era il momento di tornare al Senato. Anche se il droide era ansiasi di aiutare, Bail non aveva ancora trovato una missione da affidargli. Aveva lasciato il piccolo astromeccanico a lavorare felicemente al database storico di Alderaan sperando di trovargli un incarico più pratico al più presto.
“È complicato, Senatore, ma penso che dovremmo abbandonare questa zona ed iniziare a lavorare su queste linee, in modo da riuscire a trovare la fonte.” Chardri Tage era un pilota che Bail conosceva sin da prima dell’inizio delle Guerre dei Cloni. Si fidava di quell’uomo, sia per mantenere i segreti che per le pianificazioni stratefiche. Il fatto che Chardri tenesse il passo con il linguaggio in codice rinforzava solo l’istinto di Bail di aver chiesto al pilota di occuparsi della faccenda, e il fatto di averlo portato a pensare che fosse tutta una sua idea aiutava Bail con la sua copertura.
“Sono d’accordo,” la compagna di Chardri e sua copilota, Tamsin, era una donna di bassa statura che non era affatto riluttante a sfruttare il suo bell’aspetto per invitare i nemici a sottovalutarla per poi sferrargli contro un colpo di blaster.
“Avrete bisogno di una nave, o utilizzerete la vostra?” Chiese Bail. Non aveva molte risorse da sfruttare per le sue missioni ribelli, ma c’erano alcuni benefici nell’essere sposati con una regina di un governo planetario.
“Useremo la nostra,” assicurò Chardri. “Ho la sensazione che dovremmo affrontare un volo travagliato, ed è meglio farlo con un mezzo che si conosce.”
Bail non aveva detto loro che stavano cercando un Jedi. Si fidava di loro, ma non era stupido. Inoltre, ad essere completamente onesto, era un po’ diffidente a dirlo ad alta voce. Sapeva che i suoi uffici su Coruscant non potevano essere completamente affidabili. Ma anche se lo fossero stati, Bail non avrebbe comunque detto loro del Jedi. Il rischio era troppo alto. Per quanto sapessero Chardri e Tamsin, erano alla ricerca di una sorta di capobanda, una persona come Bail, ma su una scala molto più piccola e presumibilmente qualcuno che non era propriamente portata ad essere votata al Senato.
“Dove vuoi che ci ritroviamo per il prossimo incontro?” chiese Tamsin delicatamente mentre si alzava in piedi.
Bail rifletté. Alderaan era fuori discussione, così come Coruscant. In realtà, qualsiasi pianeta sarebbe stato un posto rischioso. Sembrava che avrebbe dovuto chiedere al Capitano Antilles un altro favore.
“Ci vedremo alla vostra nave,” sentenziò Bail. “Contattatemi quando vi sarete assicurati dell’obiettivo, e vi manderò le coordinate.”
Chardri e Tamsin si scambiarono un’occhiata, ma non protestarono.
“Se volete scusarmi, sono in ritardo per una votazione,” si assolse Bail. Entrambi i piloti lo presero come un invito ad andare. “Buona caccia,” disse loro mentre questi uscivano dal suo ufficio. E che la Forza sia con noi, pensò.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Ahsoka fece atterrare la nave, con le mani sui controlli e il collo tutto incriccato. Era stato un volo molto lungo, e nonostante nulla fosse andato storto, i suoi nervi erano a pezzi. Non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che stesse arrivando qualcosa, qualcosa che avrebbe cambiato tutto quello che stava costruendo. Aveva portato a termine la sua spedizione più veloce che poteva, desiderosa di poter mangiare finalmente del cibo vero, farsi una doccia decente per poi mettersi a dormire nel proprio letto.
Nessuno dei Fardi uscì a salutarla, il che era abbastanza insolito da sconvolgere ancora di più i suoi nervi. Si fece strada verso la grande casa, osservando con cura ogni angolo in cerca di qualche cosa che non andasse. Quando arrivò alla porta, la trovò aperta, così entrò.
Tutti i membri della famiglia residenti lì erano raccolti nel soggiorno, e c’erano quattro assaltatori con artificieri in piedi sulla soglia. La famiglia si accorse subito di Ahsoka, ma nessuno si mosse. Lei avrebbe anche potuto andarsene, ma i Fardi no. Le loro vite dipendevano da lei. Rifletté velocemente.
“La vostra nave è stata riparata,” disse. Non aveva idea di che cosa avessero detto di lei i Fardi agli Imperiali. Era meglio iniziare con una semplice bugia nella speranza che anche gli altri seguissero l’esempio. “Le ho fatto fare un giro intorno al sistema, e sembra che tutti i danni siano stati risolti.”
“Eccellente,” disse Fardi. Il sudore gli colava lungo la fronte, ma poteva essere per il calore che si era formato nella sala a causa dell’ingente numero di persone lì raccolte. “Lei è il meccanico di cui vi stavo parlando,” disse agli assaltatori. “Quando si hanno così tante navi così come ne ha la mia famiglia, il lavoro richiesto è costante. Vive qui con noi, in modo che possa essere sempre pronta a lavorare.”
“Non ci interessa il vostro meccanico,” disse uno degli assaltatori. “Stiamo solo conducendo una ricerca di routine nella casa.”
Ahsoka fece in modo di mantenere un’espressione neutrale, ma le parole del trooper la presero di sorpresa. Non c’era alcun motivo di mettersi a fare un controllo all’interno di una proprietà privata. Erano chiaramente alla ricerca di qualcosa di preciso, altrimenti non sarebbero stati lì.
“Certamente,” disse Fardi. “Qualsiasi cosa per poter aiutare.”
Ahsoka andò a sedersi accanto ad Hedala, la quale era seduta in grembo a Chenna. Ahsoka si sporse cautamente in avanti e sussurrò all’orecchio della ragazzina.
“Hai avvertito forse qualche ombra oggi?” le domandò.
“No,” replicò Hedala, silenziosamente. “Cieli sgombri, ottimi per il volo.”
Il respiro di Ahsoka si calmò. Anche lei non aveva sentito nulla, ma la ragazzina sapeva meglio di lei che cosa cercare, quindi pensò fosse meglio chiedere, per sicurezza.
Altri due soldati ed un ufficiale entrarono nella stanza, catturando l’attenzione dei soldati già presenti.
“Eravamo in una piccola stanza sul retro della casa,” disse l’ufficiale. “Di chi è quella stanza?”
“Mia,” disse Ahsoka, alzandosi di nuovo in piedi. Cercò di non calcolare se fosse più conveniente e veloce uscire dalla porta o saltare dalla finestra.
“Che cosa sono questi?” disse l’ufficiale, alzando il sacchetto con i pezzi di metallo che Ahsoka teneva sotto il cuscino. Le venne la pelle d’oca al pensiero che avessero controllato la sua camera a quel punto.
“Oh, sono solo pezzi andati che ho racimolato dai vari lavori,” spiegò Ahsoka, sottovalutando deliberatamente il valore della tecnologia che aveva raccolto. “Posso mostrarveli se volete.”
“Aprilo,” impose l’ufficiale.
Ahsoka tirò i fili. Gli imperiali dovevano aver pensato che era stato sabotato in modo da esplodere o qualcosa del genere. Il sacchetto era però solo sigillato da dei semplici nodi. La confezione si aprì in modo da rivelare i bulloni ed i vari metalli che Ahsoka aveva raccolto su Raada. Non sapeva ancora dire il perché sentisse che fossero importanti, ma sapeva che non li avrebbe voluti consegnare agli Imperiali.
“Non c’è niente qui, signore,” disse uno degli stormtroopers. “Solo metallo di scarto.”
L’ufficiale si raddrizzò, ponendosi di fronte ai Fardi. “Potrebbe essere saggio limitare l’esposizione alle persone al di fuori del vostro nucleo famigliare,” sogghignò. I suoi occhi passarono ad Ahsoka per poi tornare di nuovi sui Fardi. “Abbiamo notato un certo elemento criminale aggirarsi in questa città, e ci dispiacerebbe doverlo scoprire in casa vostra.”
“Lo prenderò in considerazione,” rispose il signor Fardi.
“Bene,” replicò l’ufficiale. Fece segno agli assaltatori, e marciarono tutti fuori casa.
Fardi sembrò sgonfiarsi non appena furono andati.
“Tutti fuori,” disse, in tono rassegnato. “Tranne Ashla. Dobbiamo parlare.”

 
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– CAPITOLO 20 –



“ALLORA VADO,” DISSE AHSOKA, alzandosi in piedi una volta che stanza fu svuotata. “Non mi ci vorrà molto per raccogliere le mie cose.”
“Ashla,” disse Fardi. "Mi dispiace che sia finita in mezzo ad un fuoco incrociato. Non volevamo che l’Impero desse la colpa delle nostre attività a te.”
Il che le risollevò leggermente il morale.
“Le vostre attività?” chiese. “Ma io –”
Lei e Fardi si scambiarono un’occhiata confusa in silenzio, e poi, tra tutte le cose, Fardi rise.
“Hai usato le nostre navi per attuare delle missioni di soccorso per conto tuo,” constatò, e Ahsoka realizzò che non lo avesse saputo per certo fino a qualche istante prima. “Hai pensato che gli Imperiali fossero qui per te?”
“Ehrm, sì,” rivelò Ahsoka. “Non è così?”
“Beh, sarebbero potuti essere qui per entrambi, a quanto pare,” disse Fardi. “Non so fino a che punto tu ti sia spinta, ma noi abbiamo stretto dei contratti per trasferire la merce imperiale la altre parti. Alcuni dei lavori che ti ho affidato, erano parti del progetto. Mia moglie era furiosa all’idea che ti mettessi in pericolo, ma a quanto pare sei stata in grado di gestire la cosa.”
“Pensavo fosse del comune contrabbando,” ammise Ahsoka. “E per un primo momento mi ha infastidita un po’ la cosa, ma poi ho visto come fossero necessari quei fornimenti nei settori in cui li portavo. Ogni volta che consegnavo qualcosa, mi sembrava di fare la differenza, ma non è stato sufficiente. La prima volta che ho ricevuto una chiamata di soccorso, sapevo che avrei potuto fare di più.”
“Non intendevo chiederti il perché deviassi dal programma in modo così casuale,” disse Fardi. “Ma forse, se ne avessimo parlato, e ci fossimo seriamente organizzati, forse avremmo potuto trovare un modo di farlo funzionare. Nella situazione attuale, credo sia meglio che tu te ne vada, e dovremmo starci vicendevolmente alla larga per un po’, per salvaguardare la nostra reputazione.”
“Sono di nuovo in debito,” disse Ahsoka. “Questa è la seconda volta che mi hai accettata tra voi quando non avevo nessun posto dove andare, ed è la seconda volta che mi lasci libera di andare senza chiedermi nulla in cambio.”
“Sei un buon meccanico,” Fardi sorrise. “Non ce ne sono così tanti in giro disposti a rischiare con l’Impero.”
“Grazie,” Ahsoka iniziò a spostarsi verso la porta e poi si fermò. Era un rischio dirlo ad alta voce, ma doveva fare tutto ciò che le era possibile prima di andarsene. “Fardi, devi prestare molta attenzione con Hedala.”
Lo sguardo dell’uomo cambiò immediatamente. La sua fronte si corrugò, e vi era un luce indecisa nei suoi occhi.
“Riguardo cosa?” chiese.
“Lei è…” Ahsoka tentennò. Non era sicura di come dirlo, senza rivelare troppo. “È speciale. Ma è importante che nessuno si renda conto di quanto lo sia.”
Fardi sbatté le palpebre, mettendo insieme i pezzi. Ahsoka si domandò che cosa avesse visto fare alla bambina, e se avesse mai trovato il suo comportamento bizzarro e se avesse respinto l’idea. Se mai lo avesse fatto, ora gli stava probabilmente tornando in mente.
“Pensi che crescendo possa diventare un meccanico?” propose, e Ahsoka sapeva che avesse compreso quello che lei non aveva osato dire.
“Non c’è più nessuno che possa insegnarle,” disse, scegliendo con cura le parole. Era più di quanto avrebbe voluto rivelare a sé stessa, ma finora i Fardi le avevano dato tutte le ragioni di potersi fidare di loro. “Non ne sarà totalmente estranea, crescendo potrebbe sviluppare qualche capacità.”
“La terrò d’occhio.” disse Fardi. “Promesso.”
“Grazie,” disse Ahsoka. “Mi dispiace non poter fare di più.”
“Sono consapevole di ciò che hai fatto, Ashla,” replicò Fardi. “E ora che so perché tu sia tornata, credo che siamo pari.”
Fardi tese la mano, e Ahsoka la scosse. Poi prese il suo sacchetto con i pezzi metallici e tornò nella sua stanza. Era in piedi al centro di essa, a guardare il suo letto e la piccola mensola dove teneva le sue poche cose. Si inginocchiò e riversò il contenuto del sacchetto sul materasso per esaminarlo ancora.
La sacca cominciava a sfilacciarsi, il che non era una sorpresa considerando tutti i pezzi che era finita per contenere. Li sparse, ne accoppiò alcuni in cui trovò una qualche corrispondenza. Le piacevano i colori di quei metalli e il fatto che pesassero tra le sue mani.
Ciò che avrebbe voluto veramente fare era chiudere gli occhi, usufruire della Forza, ed individuare comodamente tutti i pezzi che si sarebbero potuti incastrare insieme. La porta alle sue spalle era aperta, e poteva sentire i rumori nella casa. Si fidava del signor Fardi e della sua famiglia, ma c’era differenza tra il sospettare qualcosa ed il saperlo, e quella differenza era pericolosa. Non c’era motivo per cui Ahsoka dovesse mettere a rischio qualche membro di quella famiglia più di quanto non avesse già fatto. Si sarebbe ritrovata di nuovo sola molto presto. Avrebbe testato la sua teoria un’altra volta.
Accuratamente, fece scivolare i pezzi nella sacca e tirò i fili per richiuderla. Poi sistemò il tutto nella borsa che le aveva dato Neera e vi aggiunse altre cianfrusaglie che si era procurata nel tempo, soprattutto dai bambini, che a quanto pare avevano pensato che avesse bisogno di cose più carine con cui decorare la sua stanza.
Ahsoka fissò la borsa sulla schiena, aggiustandola vicino ai suoi lekku, e si voltò. Hedala era in piedi sulla soglia, a guardarla con un’espressione seria stampata sul volto.
“Non voglio che tu te ne vada,” disse la bambina.
“Devo, piccola,” rispose Ahsoka. “È pericoloso per tutti, se resto.”
“Ma l’ombra non è tornata,” ribatté Hedala. “Ma sento ci siano altre ombre.”
Ahsoka non fu troppo sorpresa che Hedala percepisse qualcosa che lei non riusciva. Succedeva spesso con i più giovani. Erano bravi a percepire la Forza, fino a quando non venivano addestrati. Obi-Wan diceva che Anakin fosse stato scoperto dal suo maestro, Qui-Gon, per via dei suoi rapidi riflessi. Lei invece era stata trovata per la sua capacità di percepire le emozioni e le intenzioni altrui. Hedala era apparentemente brava a percepire il pericolo da una certa distanza. Non era una capacità niente male da possedere, soprattutto quando non si era stati addestrati, in un momento in cui possedere tale abilità fosse un valido motivo per finire ad essere l’obbiettivo di qualcuno.
“Posso farcela, grazie per l’avvertimento,” ringraziò Ahsoka. Era quasi positivo il fatto che stesse dicendo la verità. “Il tuo compito è quello di evitare del tutto le ombre, capito?”
Hedala annuì e poi le gettò le braccia intorno alla vita, più in alto che potesse raggiungere. Presa di sorpresa, Ahsoka le appoggiò le braccia sulle spalle per un primo momento, e poi Hedala si allontanò.
“Addio, Ashla,” disse Hedala. “Mi mancherai.”
“Anche tu mi mancherai,” rispose Ahsoka.
Hedala le tenne la mano fino a raggiungere la porta d’ingresso e poi la sventolò per salutarla fino a quando Ahsoka non fu scomparsa dietro l’angolo. Ad Ahsoka non piaceva l’idea di stare lasciando di nuovo la bambina, ma non c’era nulla che potesse fare a riguardo. La sua posizione era troppo debole per poter includere la custodia di dei bambini. Era meglio per Hedala rimanere con la sua famiglia. Almeno i Fardi avrebbero saputo di tenerla d’occhio ora, anche se non avrebbe avuto nessun posto dove andare per un’eventuale formazione. E l’Impero stava cercando quelli come loro. Era un’altra voce nella lista delle cose per cui Ahsoka non poteva fare nulla.
Stava cominciando davvero a detestare quella lista. Si stava allungando a dismisura, e si ritrovava sempre ad aggiungervi punti senza la possibilità di poterne toglierne.
Risalì la rampa della sua nave – sia lo scafo che il computer della nave erano stati ripuliti dai rimasugli della sua ultima missione – e ripose la borsa. Quando si sedette alla postazione del pilota, la sua mente si sgombrò. Questo, perlomeno, era una cosa che poteva concedersi di fare. Fece una rapida verifica dei controlli, anche se non aveva particolarmente fretta. Senza avere una reale idea di una meta in mente, impostò la velocità e si diresse verso uno dei pianeti nel sistema vicino. Era scarsamente popolato e composto prevalentemente da montagne. Non poteva rimanere in isolamento per molto tempo, ma pensò che prendersi un paio di giorni per schiarirsi le idee e formulare un nuovo piano di azione fosse una buona idea. Non c’era bisogno di correre in giro a destra e a manca.
Mentre la nave filava dritto, Ahsoka fece una scansione dello scafo per rilevare eventuali sistemi di tracciamento. L’improvvisa apparizione degli Imperiali a casa Fardi era troppo allarmante per trascurare qualunque possibilità. Non era rimasta lontana dalla sua nave troppo a lungo, ma abbastanza tempo perché qualcuno avesse avuto il tempo di installare un qualche dispositivo. Non trovò niente, ma non riuscì ad allontanare quella sensazione di disagio che le avevano suscitato gli avvertimenti di Hedala riguardo ad altre ombre. Almeno il blaster imperiale che aveva rubato era ancora lì a bordo, in modo da avere qualcosa con cui poter combattere, se fosse stato necessario. Lo tirò fuori dal suo nascondiglio, in modo da averlo a portata di mano.
La sua nave entrò nell’atmosfera planetaria con solo una piccola scossa, e iniziò la ricerca di un buon posto dove atterrare e dove restare per un paio di giorni. Alla fine, trovò un posto con uno spiazzo abbastanza ampio da tenere la nave. Si trovava piuttosto in alto, quindi l’aria soffiava forte. Il pianeta era più piccolo rispetto a quello dove vivevano i Fardi, ma più grande di Raada, quindi si abituò piuttosto in fretta a quella forza gravità. Tutto sommato, non era poi così un brutto posto in cui aprire un negozio e controllare la navetta. Sembrava andare piuttosto bene, ma dal momento che aveva un po’ di tempo da sprecare, avrebbe potuto anche dare un’occhiata più approfondita.
Da quanto poté udire, doveva stare atterrando qualcosa sul pianeta, un collettore di plasma forse: un ronzio inconfondibile di motori in avvicinamento. Il blaster era ancora disposto sul sedile del copilota, quindi dovette correre su per la rampa e poi di nuovo dentro la nave per poterlo recuperare. Se lo legò al fianco con cautela e tornò giù per la rampa.
Ahsoka vide una navetta avvicinarsi. Si stava abbassando, sfiorando le cime delle montagne, e cercando di evitare le vette più alte. Doveva averla sicuramente seguita. Se fosse stata lì per caso, si sarebbe fermata in un punto molto più in alto. Si chiese come avessero fatto a trovarla, e poi si rese conto che dal momento che non aveva utilizzato l’iperspazio, chiunque avrebbe potuto semplicemente tracciarla vedendola.
La nave non era nuova, ma sembrava essere stata tenuta bene. Anche da lontana, Ahsoka riuscì a riconoscerlo. Non era molto grande, non abbastanza da poter avere uno spazio per del carico. Forse vi era un singolo pilota. Forse uno o due membri come equipaggio. Cominciò a discendere verso di lei, cosa piuttosto interessante. Almeno, chi stava atterrando lì non sembrava essere venuto per saltarle addosso e poi fare domande.
Ahsoka aspettò, calma e raccolta, fino a quando la nave non atterrò. La rampa dell’altra nave si aprì, e ne emerse una singola figura. Ahsoka non riuscì a capire se fosse un uomo, una donna, oppure altro. L’armatura che lo ricopriva era cupa e lo ricopriva da testa a piedi. Portava almeno due artificieri che Ahsoka individuò immediatamente.
“Pilota Ashla,” La sua voce era fortemente modulata. “Congratulazioni. Sei riuscita ad attirare le attenzioni del Sole Nero.”

 
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– CAPITOLO 20.5 –


OBI-WAN GIUNSE LÌ e non trovò nulla.
Gli ci volle un po’ per arrivare ad un livello di tale profondità, e ora che era lì, era riluttante a proseguire, anche se sarebbe stato un altro fallimento. Dovevano esserci altre cose che non era riuscito a notare, altri Jedi che avrebbe potuto trovare, e che lo avrebbero potuto eventualmente prestargli aiuto.
Diverse immagini gli guizzarono davanti. Padmé, morente, con al fianco i suoi bambini. Yoda, mentre gli elargiva una promessa e gli donava un nuovo obiettivo. Anakin, bruciare sulle pendici vulcaniche di Mustafar, accusandolo di tutto quello che era andato storto.
E tutto era andato storto.
Adesso era tornado nel posto in cui aveva iniziato una vita tranquilla ed ordinate. Non era una locazione precisa, ovviamente. La famiglia Lars viveva nel bel mezzo del nulla, e faceva parte di Tatooine, dove Obi-Wan non era mai stato fino a quando non vi aveva dovuto portare Luke. Ma quel pianeta e tutta la sua esistenza erano comunque stati alterati per sempre.
Era stato alla tomba di Shmi Skywalker per scusarsi di aver perduto suo figlio. Non l’aveva mai incontrata di persona, la conosceva solo tramite i racconti di Anakin, ma Qui-Gon le aveva fatto una promessa che Obi-Wan non era stato in grado di mantenere. Mentre era lì, a guardare la pietra, si sentì ancora più colpevole. Qui-Gon l’aveva lasciata lì da schiava, e Obi-Wan aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per impedire ad Anakin di farvi ritorno. Era stato l’amore di un brav'uomo, lì su Tatooine, ad averla salvata – il tipo di amore da cui i Jedi avrebbero dovuto astenersi. Eppure era riuscito qualcosa che i Jedi non erano stati in grado di fare.
Ma questo era il passato. Quello che doveva fare adesso, era per un futuro incerto e per la speranza. Provava fiducia nel lato chiaro della Forza da tutta la vita. Non c’era alcun motivo per smettere adesso. Trovò il contro della sua meditazione, un posto tranquillo in cui non vi era alcuna emozione, nessuna resistenza, nessun legame terreno. Si radicò in quel posto e provò a raggiungerlo ancora.
Ma di nuovo, niente.
Obi-Wan si scosse dalla trance, più frustrato che deluso per il suo fallimento, e scoprì di essere ancora seduto sul pavimento della casa di Ben Kenobi. Aveva scelto quel nome, giusto per necessità. Non era lì da molto, ma aveva la sensazione che, anche se fosse rimasto fino a quando Luke Skywalker avesse avuto una lunga barba grigia, non avrebbe riempito molto quel posto. Tatooine non era quel tipo di luogo.
Quando si alzò in piedi, le sue ginocchia scricchiolarono in un modo piuttosto allarmante. Di sicuro non era ancora così vecchio. Doveva essere a causa del clima del deserto che stava avendo su di lui un effetto strano. Prese una tazza e la riempì di acqua, e poi tornò al suo posto sul pavimento. Qualcosa attirò la sua attenzione, uno dei pochi pezzi della sua vita passata che aveva portato con sé per attenuare il suo senso di solitudine nel deserto.
La spada laser di Anakin Skywalker.
Era tutto ciò che gli restava dell’uomo che era stato, che allo stesso tempo era il più grande rimorso di Obi-Wan, suo fratello, il suo migliore amico. Se qualsiasi altra parte di Anakin fosse sopravvissuta, ora era comunque perduta nel male e tra le tenebre. Obi-Wan non avrebbe potuto salvarlo, più di quanto non avrebbe potuto salvare qualsiasi altro Jedi ancora in libertà nella galassia, cercando di trovare un appoggio nel nuovo ordine. Tutto ciò che Obi-Wan poteva fare era assicurarsi che il piccolo Luke sopravvivesse fino all’età adulta, e di tenerlo nascosto.
Si domandò brevemente come stesse la figlia, sotto la tutela di Bail Organa. Poi chiuse gli occhi ed espirò profondamente.
Si lasciò scivolare attraverso le memorie ei sogni. C’era il Comandante Cody, che gli restituiva la sua spada laser solo per poi sparargli con il blaster qualche momento dopo. C’era Anakin, che rideva come usava fare dopo qualche atterraggio difficile, dopo che aveva di nuovo salvato a tutti loro la vita. C’era Ahsoka, con le mani poggiate sui fianchi, e le sue infinite domande che lo sfidavano ogni volta che avevano affrontato un turno assieme. C’era Palpatine, quando era ancora il Cancelliere, un travestimento così complesso che Obi-Wan non era stato in grado di rilevare la sua scelleratezza, anche quando aveva saputo dove dovesse guardare.
Oltrepassò tutto ciò. Era più facile questa volta. Si faceva più facile, volta dopo volta. Questo lo feriva, a pensare di essere così volubile da poter voltare le spalle a tutti loro pur di poter raggiungere i propri scopi. Quando lo pensò, sentì Yoda ricordargli che il suo compito fosse importante, che avrebbe dovuto concentrarsi sul futuro in solitaria, oscurando il passato e ignorare anche lo stesso presente se si sarebbe rivelato necessario. Doveva farlo.
Scese ancora più in profondità, il luogo tranquillo dove i dubbi, gli affetti, ciò che temeva sparivano. Poi si rese conto che non si trattava del fondo, non completamente. Vi era un altro livello al di sotto.
Obi-Wan abbandonò la casa di Ben Kenobi, l’ultimo posto della galassia in cui vi era una parte di Anakin Skywalker, e sfondò il muro tra la vita e la morte.
Era buio lì per poter prendere qualcosa con lui o lasciarsi qualcosa alle spalle, ma non voleva alcuna di queste cose, così rimase fermo nella luce. I suoi sensi erano taglienti. Udì ogni suono in una volta sola, e anche nessuno. Gli ci volle un momento per concentrarsi sulla voce che più voleva sentire.
Sole, eppure connesse. Distaccate, e irrimediabilmente intrecciate. Obi-Wan ebbe solo un attimo prima di essere strappato di nuovo nel mondo fisico, ma era durato abbastanza a lungo per rinnovare la sua speranza.
“Obi-Wan,” disse Qui-Gon Jinn. Era sicuro che la voce gli avesse parlato più chiaramente questa volta. “Lascia andare.”


 
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– CAPITOLO 21 –



IL RITORNO DEL SESTO FRATELLO su Raada non era stato così trionfale. Non era stato in grado di identificare la Jedi, ma era abbastanza certo che qualsiasi notizia sulle sue prossime azioni sulla luna agricola avrebbe raggiunto l’attenzione della Padawan. Aveva rintracciato una serie di felici incidenti – felici, come le persone che aveva salvato dagli scontri con l’Impero. Quegli eventi avrebbero convinto la Jedi a tornare: qualche morto, civili riconoscenti, e niente documenti ufficiali. Tutto quello che avrebbe dovuto fare, era che qualcuno riuscisse a scappare da Raada per inviare una chiamata di soccorso nella giusta direzione e la Jedi sarebbe giunta lì da lui.
Il suo primo compito, dopo essere atterrato e sistemato la sua nave, era di leggere gli aggiornamenti della situazione gli insorti. Come aveva sospettato, le truppe locali avevano fatto alcune incursioni per catturare qualcuno, il che gli andava più che bene. Il comandante del distretto sembrava volerlo evitare, il che si adattava anche ai suoi scopi, quindi chiamò invece il capo interrogatore.
“Ho bisogno di informazioni sulla ragazza che è fuggita dalla tua custodia,” disse, tagliando dritto al sodo. Gli interrogatori di solito apprezzavano l’approccio diretto, lato di loro che ammirava. “Riguardo l’aspetto, piuttosto che il carattere.”
“Ha la pelle scura,” espose l’interrogatore. “E teneva i capelli raccolti in delle trecce, quando l’ho vista, e non credo se le sia potute sciogliere. Immagino che usi una sciarpa o qualcosa del genere per nascondersi, adesso.”
“Perché non credi se le sia sciolte?” domandò l’Inquisitore.
“Ha un braccio rotto,” rispose l’altro. “Il destro. Penso che possa aver riscontrato dei danni anche alla spalla, ma non ne sono sicuro.”
“Sono così insensibili i vostri metodi operandi?” era sempre bello poter scambiare delle informazioni professionali.
“No, la rottura del braccio è stato un incidente,” spiegò l’interrogatore. “I nostri sistemi di tortura prevedono prima di spaventare il soggetto, e l’abbiamo terrorizzata così tanto che anche solo menzionando la possibilità di ri-affrontare la situazione, si è ribaltata bloccando il braccio sotto la sedia.”
“Sei stato di grande aiuto,” disse l’Inquisitore. “Puoi andare.”
L’interrogatore fu abbastanza intelligente da non offendersi e non contestare i comandi di qualcuno di grado più alto. Quel tipo di personalità serviva probabilmente bene nella gerarchia imperiale, che richiedeva un certo grado di flessibilità. Il Sesto Fratello si prese nota di scrivere un encomio a riguardo. Il suo lavoro, il lavoro dei suoi fratelli e delle sue sorelle, sarebbe stato più facile se i ranghi superiori fossero stati popolati da persone che dessero loro ascolto.
Una volta solo, l’Inquisitore ritirò fuori la mappa della superficie della luna, per rinfrescare la memoria riguardo la geografia. Gli ci vollero solo pochi istanti per individuare i posti migliori per nascondere un grande gruppo di persone, e poi chiuse il terminale e si diresse verso la porta. Era giunto il momento di smettere di fare domande e di andare, invece, a caccia.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Kaeden, secondo una sua stima, aveva giocato almeno dieci miliardi di partite di crokin da quando Ahsoka l’aveva salvata e aveva lasciato Raada. Era stato un suggerimento di Miara. Con un braccio rotto e opzioni mediche limitate, Kaeden aveva bisogno di imparare ad usare anche l’altra mano, e il crokin era il modo più semplice per farlo. Di solito, giocava con la sorella, ma il suo avversario più frequente era Neera. Una volta che i sedativi smettevano di farle effetto, Neera si trascinava in giro per la grotta come se una parte di lei fosse andata dispersa, e Kaeden pensava che non si allontanasse poi tanto dalla realtà. L’unica volta che Neera riusciva a tornare in sé, era quando giocavano. Neera la sconfiggeva sempre, ma se la cosa la faceva sentire meglio, Kaeden era più che felice di perdere.
A parte il gioco da tavolo e il potere andare in bagno da sola, vivere in clandestinità dall’Impero non era molto diverso dall’essere imprigionati da esso. Il cibo era terribile. L’illuminazione era scarsa. Era nervosa e agitata, sobbalzando ad ogni minimo rumore. Perlomeno c’erano machine di tortura, quindi poteva farselo andare. Sua sorella era al sicuro assieme a lei, e anche questo la confortava.
Con l’aiuto della mano buona, Kaeden si aggiustò la sciarpa che la stava aiutando a contenere i capelli. Le sue solite trecce non avevano affrontato bene la sessione di tortura, e lei non era stata in grado di rifarsele con una mano sola. Miara aveva provato ad aiutarla, ma nonostante la sua capacità di elaborare piccoli circuiti che avrebbero potuto esplodere se innescati correttamente, Miara non aveva alcun dono per intrecciare i capelli. Kaeden aveva fatto del suo meglio per scioglierli del tutto e dovette fare del suo meglio per sistemare quella folta chioma. Forse avrebbe dovuto tagliarli, ma sapeva che il suo braccio si sarebbe aggiustato alla fine, e le piacevano le sue lunghe trecce. Poteva aspettare.
Essere paziente con i suoi capelli, quello poteva farlo. Essere paziente mentre ci si nascondeva dell’Impero era però una cosa completamente diversa. Nessuno ne parlava, perché era brutto parlare male dei morti, ma Kaeden sapeva che anche la testa più calda tra loro desiderava non aver dato retta ad Hoban. Mentre i loro rifornimenti iniziavano a scarseggiare, si parlava di chi sarebbe dovuto andare in città per recuperare qualcosa e aggiornarsi su come stessero andando le cose, sapere se avrebbero fatto meglio ad abbandonare il pianeta o meno.
“Non pensi che sia strano che gli Imperiali non ci abbiano ancora trovati?” disse Miara. Si sedette accanto a Kaeden, che stava disponendo le pedine del crokin al centro della tavola. Il suo obbiettivo si trovava in un posto migliore, ma non più di tanto.
“Abbiamo messo fuori uso i camminatori prima che le cose si mettessero male,” fece notare Kaeden. “Ma hai ragione. Devono sapere che non ci sono molti posti in cui ci saremmo potuti nascondere. Anche gli assaltatori più svogliati sarebbero dovuti giungere qui a controllare, ormai.”
“Cosa pensi stiano aspettando?” domandò Miara.
“Credo che siano impegnati a ricercare qualcosa di diverso,” disse Kaeden. “Noi non siamo una grossa minaccia per loro.”
“Ma Ahsoka se n’è andata,” sottolineò Miara.
“Ha detto che sarebbe tornata,” le ricordò Kaeden. Lo aveva ripetuto un centinaio di volte, anche se ogni volta perdeva sempre un po’ di più la fiducia in quella sua affermazione.
Miara le diede un’occhiata delusa. Era uno sguardo così anziano su di un volto così giovane, e a Kaeden non piaceva.
“Perché mai dovrebbe tornare?” chiese Miara. “Qui non c’è niente.”
“Ci siamo noi,” propose Kaeden, ignorando l’implicazione di Miara. “Magari tornerà per noi.”
“Lei e quale armata?” domandò Miara. “O vuoi lasciare alle spalle tutti gli altri per salvare te stessa?”
Kaeden non sapeva cosa dire, non poteva vedere lo sguardo di disgusto che sapeva avere sua sorella sul viso, ma la verità era che avrebbe abbandonato Raada in un batti baleno se solo avesse potuto. Se lei, o Miara si sarebbero potute salvare, e non dover più temere di poter riprovare la sensazione di quella macchina sul suo petto, allora lo avrebbe fatto. Il senso di colpa sarebbe stato attanagliante, ma sarebbe sopravvissuta a portare quel peso. Non era sicura di quanto tempo avrebbe potuto reggere nel caso fosse stata torturata di nuovo.
“Smettila,” disse Miara, e Kaeden realizzò di starsi strofinando una mano sul petto. La macchina non le aveva lasciato alcun segno. Tutto ciò che Miara poteva vedere era una Kaeden nervosa e costantemente spaventata.
Neera si sedette di fronte a Kaeden, dall’altro lato del tabellone del crokin, e cominciò a dividere i dischi in base al colore. Non chiedeva mai se Kaeden volesse giocare o meno; non usava più parlare molto spesso, quindi era così che iniziavano le partite ultimamente. Kaeden si stava preparando psicologicamente a perdere in qualche modo spettacolare ancora una volta quando Kolvin, che era di sentinella, strisciò dentro dal tunnel con un’espressione allarmata sul viso.
“Sta arrivando qualcuno,” annunciò.
“Assaltatori?” domandò Kaeden. “Carri armati?”
Con i camminatori fuori dai giochi, i carri armati erano l’unico trasporto utilizzabile dagli Imperiali. Erano lenti e goffi, e non andavano molto bene per le colline, ma gli assaltatori non sembravano eccessivamente appassionati del camminare.
“No,” disse Kolvin. “È una persona sola. Ma si muove molto velocemente. Sarà qui presto.”
L’ingresso principale era sempre chiuso. Avevano passato un po’ di tempo a migliorare il camuffamento degli ingressi. Era stata una delle poche attività che avevano potuto gestire in modo sicuro senza attirare l’attenzione. Il punto debole nella loro difesa era la porta della sorveglianza. Dovevano decidere se volevano nascondere anche quello, e perdere così la possibilità di poter controllare se qualcuno stesse arrivando, oppure rischiare lasciandolo aperto. Per Kaeden, non sarebbe stata una scelta così difficile, ma non era lei a capo delle operazioni.
Tutti si voltarono a guardare Miara. Neppure lei era al comando. Nessuno lo era, ma le cariche erano di sua giurisdizione. Se stavano per dover affrontare qualcuno, era lei a cui ci si doveva rivolgere.
“Mi ci vorrà qualche minuto per prepararmi,” disse Miara. “Kolvin, abbiamo un po’ di tempo?”
“Se ci mettiamo subito a lavoro sì,” rispose lui. I suoi grandi occhi neri luccicavano, anche nella fioca luce della grotta.
“Vengo con te,” enunciò Kaeden.
Miara fece una pausa. “Non puoi strisciare,” disse. “E non puoi aiutarmi con le cariche.”
“Non voglio che ci separiamo,” insistette Kaeden.
“Allora permettimi di andare da sola, in modo da poter fare più in fretta,” ribatté Miara.
“Tua sorella ha ragione,” fece notare Neera. “Possono uccidere una di voi due se andaste insieme, con la stessa facilità con cui potrebbero farlo da separate. Potresti invece restare qui e giocare a crokin con me. Comunque sia, è il tuo turno.”
Kaeden la guardò a bocca aperta, scioccata dal fatto che il dolore di Neera potesse farle dire qualcosa di così terribile. Miara approfittò di quella distrazione per infilarsi nel tunnel con Kolvin. Sembrò passare un’eternità, ma poi la terra iniziò a tremolare un po’, e Kaeden seppe che il punto di sorveglianza era stato preso sotto assedio. Avrebbe voluto poter vedere la figura che si stava avvicinando. Non le piaceva non sapere che cosa stesse succedendo.
Neera le batté una mano sulla spalla infortunata, facendola trasalire. La ragazza più grande indicò la scheda. “Tocca a te, Kaeden,” disse, come se fossero sedute al locale di Selda dopo il lavoro. Kaeden prese un disco e lanciò il suo colpo.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Jenneth Pilar stava raccogliendo le sue cose. Non c’era motivo per l’Impero di essere coinvolto con un usufruitore della Forza. Ognuno dei suoi calcoli accurati era stato ignorato e tutte le sue formule si erano sbilanciate per via della presenza di un’insulsa mitologia, e lui aveva perso completamente la pazienza. Colui che si faceva chiamare Sesto Fratello era tornato, il che avrebbe fatto in modo che tutte le metodologie ben pianificate di Jenneth venissero abbandonate a favore di uno schema che avrebbe coinvolto il cosiddetto Jedi.
Tutti sapevano che i Jedi erano morti. Finora nel Nucleo, c’erano poche persone che avevano mantenuto intatta la propria fede nei Jedi. Jenneth non apprezzava molto l’Orlo Esterno, ma poteva rispettarlo. La Forza non poteva mantenere l’ordine nella galassia. Semplicemente non poteva venire rappresentato nei calcoli matematici.
Fece una pausa per osservare la stanza, assicurandosi di non stare dimenticando niente. I suoi occhi si posarono sul datapad che aveva usato per calcolare esattamente quanto di quello di cui aveva bisogno l’Impero aveva bisogno poteva essere estratto dalla superficie della luna prima di distruggere tutto per le future generazioni. Tutto quel clamore per una pianta. Una semplice pianta che avrebbe servito da integratore alimentare per permettere alle persone che lavoravano in condizioni di scarsa gravità per elaborare ossigeno in modo più efficiente. Non avrebbe mai potuto immaginare i problemi contro cui l’Impero si era dovuto scontrare per farlo.
Gettò il datapad nella borsa e la chiuse. La situazione attuale non era un suo problema. Era stato pagato, e aveva supervisionato i lavori a lungo, più di quanto avesse dovuto. Non c’era alcun motivo per cui gli Imperiali dovessero offendersi, e non vi era alcun motivo per cui lui dovesse rimanere ulteriormente su quella luna. Sarebbe tornato su un pianeta con degli alberi veri, del cibo vero, ed un vero e proprio letto, senza il persistente odore di fertilizzante.
Nei campi, i contadini lavoravano come da ordine, e le piantine avevano iniziato a crescere. Ancora pochi giorni e avrebbero potuto iniziare la vendemmia.

 
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– CAPITOLO 22 –



FORTUNATAMENTE, faccia corazzata non aveva ancora brandito un’arma. Sembravano davvero voler solamente parlare. Il blaster di Ahsoka era ancora appeso al suo fianco, avrebbe potuto raggiungerlo senza problemi, in caso ce ne fosse stato bisogno. Non importava di quanto sarebbe stato rapido ad estrarre un’arma il personaggio lì presentatosi, Ahsoka sarebbe comunque stata più veloce. I suoi riflessi sviluppati grazie all'addestramento da Jedi sarebbero stati sufficienti. Nello stesso tempo, seppe che non aveva bisogno di cercare uno scontro a fuoco a meno che non venisse provocata. L’agente del Sole Nero era venuto alla ricerca di Ashla, e Ashla poteva benissimo ascoltare che cosa volessero da lei.
“Sono sorpresa che il Sole Nero abbia sentito parlare di me,” esordì Ahsoka. Rilassò le spalle, rimanendo però in allerta, i suoi occhi osservarono l’armatura del visitatore per trovarne possibili punti deboli da poter mirare in caso la situazione fosse precipitata.
“L’organizzazione di cui faccio parte veglia su tutto il settore,” spiegò l’agente. La voce modulata rendeva difficile comprendere le parole. Doveva trattarsi di una vecchia macchina. In ogni caso, quell’agente sembrava essere un novizio e forse non poteva permettersi ancora della tecnologia particolarmente buona, oro o attrezzi di valore. “Tendiamo a notare quando le nostre iniziative imprenditoriali vanno male.”
Iniziative imprenditoriali non era l’esatto termine che avrebbe usato Ahsoka. Considerava tutte le forme di traffico di esseri senzienti una cosa abominevole. Calcolò quanto tempo le sarebbe stato necessario a far riprendere il volo alla sua nave partendo da lì, contando anche lo spostamento sulla rampa. Il cargo non era progettato per i decolli rapidi, ma avrebbe potuto farcela.
“Beh,” disse lei. “Non ne so molto su quel genere di cose. Sono un semplice pilota.”
“La mia organizzazione sa anche questo.” Informò l’agente. “Sei molto meglio di quella feccia di Fardi. Qualunque feccia ti paghi, noi la raddoppieremo.”
“Mi stai offrendo un lavoro?” la voce di Ahsoka si appiattì.
“Noi. Noi te lo stiamo offrendo.” Specificò l’agente. “Un contratto lucrativo, e tutti i benefici che concerne a lavorare in un organizzazione di alto livello.”
“Con i Fardi potevo prendermi un bel po’ di libertà,” disse lei. “Dubito che i tuoi datori di lavoro mi permettano di essere così indipendente.”
“Ci sono alcune limitazioni che vorrebbero tu accettassi, effettivamente,” ammise l’agente. Spostò la testa, e Ahsoka notò che la protezione del ginocchio era incrinata. Sarebbe stato quello il suo obbiettivo, all’occorrenza. “E c’è anche la questione dei crediti che ci devi.”
“Io non vi devo proprio niente,” ribatté Ahsoka.
“Oh, invece sì,” insistette l’agente. “Devi al Sole Nero un migliaio di crediti, e li pagherai in un modo o nell’altro.”
“La questione suona sempre meno come un lavoro,” commentò Ahsoka.
“Anche il tuo cadavere può andare,” continuò l’agente.
“Posso avere un po’ di tempo per pensarci?” chiese Ahsoka.
“Non troppo,” puntualizzò l’agente. “Verranno altre persone a cercarti. Sono fortunato ad essere stato il primo a trovarti.”
Se il Sole Nero voleva un contrabbandiere dovevano aver mandato dei cacciatori di taglie alle sue calcagna, inoltre un possibile Jedi sarebbe stato un bersaglio ancora più succulento. Non doveva rivelare chi fosse davvero più di quando non avesse già fatto con gli Imperiali. Significava che un maggior numero di persone le avrebbe dato la caccia, e mentre adesso si sentiva di poterlo gestire, non sapeva quanti altri avrebbe finito per dover considerare poi. Ovunque fosse andata, sarebbe diventato un bersaglio, in virtù della sua presenza. Doveva stare attenta.
“Sono davvero lusingata,” disse infine. “Ma non credo di essere interessata.”
Bisognava dargli merito, l’agente del Sole Nero non esitò, ma fu comunque troppo lento. Ahsoka era già a metà della rampa della sua navetta quando la raggiunse il primo colpo di blaster, e chiuse il portello prima che ne arrivasse un secondo. L’agente avrebbe potuto continuare a sparare contro la rampa, ma scelse invece di fare ritorno alla propria nave. Sembrava che ora avesse molti meno scrupoli nel battersi con lei, e che volessero che lei si mettesse in volo.
Doveva esserci una buona ragione. Il cargo non era massiccio ed era stato progettato per essere veloce. La navetta dell’agente era rapida e spietata, una vera nave predatrice. Ahsoka avrebbe dovuto fare del suo meglio per uscirne. Diede inizio alla sequenza di decollo, anche prima che si fosse chiuso completamente il portellone. Appena fu in volo, fece voltare la nave. Guardò verso il basso, e vide l’agente risalire la rampa della propria nave. I cannoni della nave si stavano lentamente direzionando verso di lei. Tutto quello che doveva fare era evitare di venire colpita.
“Facile come bere un bicchiere d’acqua.” Si disse.
Avviò i motori, distanziandosi dall’agente del Sole Nero finché questo ancora si stava innalzando. Magari era un pessimo pilota, e sfuggirgli sarebbe stato facile.
“O forse no,” l’agente si mise subito al suo inseguimento.
Diede maggiore spinta ai motori e portò via la nave, spostandosi verso la cima delle montagne. Seminò il suo inseguitore, in un qualche modo. Una raffica di pietre esplose di fianco a lei, mentre l’artiglieria dell’agente faceva capolino da dietro un’altura. Schivò le macerie e volò verso il basso, provando di evitare la caduta delle rocce.
“Delle nubi di copertura non sarebbero male in questo momento,” disse tra sé, dal momento che non vi era nessuno che potesse ascoltarla. Nemmeno R2-D2 avrebbe potuto controllare il meteo.
Individuò un picco e vi girò intorno, ma le fu così difficile che il metallo stridette per lo sforzo. Ne valse la pena, però, anche per pochi secondi preziosi, e la navetta del Sole Nero schizzò attraverso la sua linea di fuoco. Ahsoka non perse quell’occasione. I suoi cannoni spararono rapidamente piccole raffiche contro l’obbiettivo. Uno dei cannoni si inceppò, e questo diede il tempo al suo nemico di voltarsi e riprendere l’inseguimento.
Usò quel breve tempo per dare inizio all’avviamento dell’iperspazio. Non c’era motivo di rimanere lì ancora, tutto solo per un paio di giorni per schiarirsi le idee!
Mentre continuava ad eludere l’agente, però, si rese conto di starsi schiarendo la mente. Nel bene o nel male, aveva fatto una scelta: aveva scelto di proteggere i suoi amici, quelli che già aveva e che avrebbe potuto farsi, anche se fuggire le sarebbe stato più complicato. Scegliere, anche se sotto pressione, le aveva fatto vedere cose che prima non era riuscita a cogliere. Aveva fatto bene a rivelarsi su Raada, anche se la cosa le aveva procurato alcuni problemi, e aveva fatto bene a rifugiarsi a Thabeska. Non c’era nessuna strada precisa che avrebbe dovuto seguire per forza. Avrebbe dovuto prendere decisioni del genere più e più volte, ancora, ma sarebbe rimasta sempre sé stessa. Ahsoka Tano. Era pronta ad abbandonare Ashla per sempre, anche se, non sapeva esattamente come sarebbe stata la nuova Ahsoka. Avrebbe dovuto mandare al Sole Nero una nota di ringraziamento.
“O forse no,” concluse, mentre l’agente colpì il suo motore di dritta. Ora sarebbe andata molto più lentamente, e il fumo l’avrebbe tradita ovunque avrebbe virato. Almeno l’iperguida era ancora funzionante.
Fece girare la nave. Era giunto il momento di prendere delle drastiche misure. L’altra nave stava puntando dritto verso di lei. L’agente neanche notò il suo cambio di direzione, né i colpi che lei gli aveva sparato contro. Ahsoka gli sparò tutti i colpi che aveva, mandandoli quasi tutti a segno.
Urlò, spingendo il timone di lato in modo da spostare la navetta dalla strada della nave avversaria. Le ci volle qualche tentativo per riuscire a ritornare in equilibrio, e l’agente ne approfittò per virare nuovamente verso di lei a tutta velocità.
Entrambi i collettori del motore dell’agente fumavano. Il motore di dritta di Ahsoka era quasi nelle stesse condizioni. Era solo una questione di tempo prima che smettesse completamente di funzionare, e poi le sarebbe stato impossibile spostarsi.
“Andiamo, andiamo,” incoraggiò il computer della navetta.
In quello stesso momento, successero un sacco di cose. La prima, era che il suo motore di dritta andò completamente fuori controllo. La seconda, era che l’agente del Sole Nero si innalzò, come se volesse osservare il suo schianto a distanza. La terza, c’era una terza navetta nel cielo con loro, ed era molto più grande della sua.
Ahsoka vide solo alcuni scorci mentre la nave girava inarrestabilmente. La nuova nave aveva un lucido scafo dorato. Era un po’ ammaccato, ma nessun punto a cui Ahsoka avrebbe potuto mirare per sconfiggerli. Quello che poteva fare era cercare di non attirare l’attenzione dei nuovi arrivati, e concentrarsi sul suo vero obbiettivo: la nave del Sole Nero.
Contro un attacco da parte di una nave di quelle dimensioni, l’altra rapida navicella non avrebbe avuto scampo. L’agente doveva saperlo, perché virò e fuggì via. Ahsoka gli diede una tregua e stabilizzò la nave sopra le cime degli alberi, iniziando a risalire, cercando un buon punto da cui poter fare il salto nell’iperspazio. Sarebbe stato lento con un solo motore funzionante, e avrebbe usare tutto il suo potenziale per tenere la nave in rotta.
Tra questo pensiero e l’adrenalina che svaniva, non riuscì a localizzare la nave più grande. Cercò di visionarla sul suo terso scanner, ma la cosa le avrebbe richiesto troppa concentrazione.
“Solo un altro po’,” disse, “Solo un altro po’.”
Irruppe verso lo spazio e spense il motore collassato prima che potesse bruciare altro. Fuori dall’atmosfera del pianeta, poté rilassarsi un po’ ed utilizzare i propulsori per mantenere la stabilità, mentre la navetta andava avanti per inerzia.
“A proposito dell’iperguida,” disse, rivolgendosi al navicomputer.
I suoi sensi andarono in allarme. La nave più grande era proprio sopra di lei. Dovevano aver aspettato che saltasse fuori dall’orbita per poi avventarsi contro di lei quando si fosse sentita più al sicuro e presa una pausa.
“Suvvia, andiamo!” incoraggiò il computer, ma ebbe la brutta sensazione che fosse troppo tardi. Com’era prevedibile, pochi secondi dopo, quando il computer stridette cercando di partire per il salto alla velocità della luce, non successe niente. Era stata catturata da un raggio traente.

 
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– CAPITOLO 23 –



MIARA SISTEMÒ il circuito nel modo più minuzioso possibile. In genere, non era una buona idea lavorare di fretta con gli esplosivi. Inoltre, aveva bisogno di agire con discrezione. Non avrebbe prodotto nulla di buono far saltare in aria la collina, solo per permettere a qualunque cosa ci fosse lì fuori di seguire la provenienza dell’esplosione. Doveva rimanere calma e concentrata per poter avere la mano ferma. Accanto a lei, Kolvin non sembrava essere allo stesso modo paziente.
“Smettila,” gli disse, quando l’agitarsi di lui divenne troppo da sopportare.
“Si sta avvicinando, Miara,” si giustificò Kolvin.
“Lo so, idiota,” commentò la ragazza. “Ma se mi deconcentro, potremmo saltare tutti in aria.”
“Giusto,” considerò lui. “Scusa.”
“Basta che resti qui da qualche parte, d’accordo?” richiese lei. “Mi stai coprendo la luce.”
Lui le diede un altro po’ di spazio, permettendole di tornare a lavorare. Un altro paio di interruttori e sarebbe stato tutto pronto. Per fortuna aveva preventivamente preparato qualcosa, in caso di attacco. Era già tutto quasi pronto. Aveva solo bisogno di collegare le ultime cose per permettere alla sequenza di funzionare.
“Ok, Kolvin, torna nel tunnel,” gli consigliò, collegando l’ultimo circuito rimasto.
“Mi stai cacciando via?” domandò lui, già in marcia per andarsene.
“No,” lo rassicurò lei. “Anche se sono tentata di farlo. Le cose si faranno polverose qui, tutto qui. La maggior parte di questa esplosione si concentrerà sotto terra.”
Kolvin strisciò nel tunnel e lei lo seguì. Quando furono entrambi interamente coperti dal soffitto più basso, innescò il detonatore. Ci fu un rombo e un clangore più forte dietro di loro mentre le rocce cadevano verso l’interno. Entrambi iniziarono a tossire.
“Andiamo,” disse lei, spingendo il compagno. Le sue settimane di fumo e sporco stavano per ricominciare.
Kolvin partì, e lei lo seguì. Pochi secondi dopo, emersero nella caverna principale. Kaeden giocava ancora scarsamente a crokin con Neera, ma si alzò e si avvicinò a loro non appena vide Miara, e iniziò a spazzolarle la schiena e le spalle meglio che poteva con un braccio solo.
“Ehy, ehy, falla finita,” disse Miara, anche se a dire il vero, si sentiva meglio sapendo che Kaeden fosse preoccupata per lei.
“Scusa,” commentò Kaeden. “Detesto aspettare, anche quando siamo assieme.”
“Lo so,” rispose la sorella.
Non ne parlavano mai, ma la notte ed il giorno in cui Miara aveva aspettato che Kaeden tornasse era stato il momento peggiore di tutta la vita di Miara. Anche se sapeva che Kaeden non sarebbe stata in grado di tornare prima del calare della notte, ogni minuto di luce sembrava schernirla. Quando aveva sentito la navetta di Ahsoka decollare, aveva quasi rinunciato all’idea di rivedere la sorella e avrebbe voluto correre fuori, sulla collina, e gridare il suo nome, così come aveva fatto Neera. Kolvin era rimasto tutto il tempo seduto con le ginocchia al petto per cercare di stare calmo. Ora che Kaeden era finalmente arrivata lì, con i capelli tutti in disordine e il braccio rotto sorretto dall’altro, erano passate ore da quando Miara si era data per vinta e si era convinta all’idea di doverle dire addio.
“Spero che Ahsoka torni,” disse Miara. “Voglio dire, mi piacerebbe che venisse a salvarci di nuovo, ma cosa più importante, vorrei scusarmi con lei.”
“Hai proprio delle strane priorità, sorellina,” commentò Kaeden. “Ma credo che anche io dovrei chiederle scusa.”
“Sì,” concordò Miara. “Non intendevo davvero darle la colpa di quello che è successo. So che ha cercato di aiutarci al meglio delle sue possibilità.”
Non avevano avuto modo di parlare con gli altri, di Vartan o Selda, o di nessun altro degli altri agricoltori che non avevano fatto parte della rivolta. Non sapevano come stessero, ma fare ipotesi a riguardo avrebbe solo peggiorato la loro emotività.
Aspettarono.
Neera perse interesse per il crokin e si andò a sedere in un angolo, borbottando sottovoce. Il resto degli insorti si era messo a controllare le proprie armi, anche se non era cambiato nulla dall’ultima volta che le avevano usate. Tutto questo per mantenersi distratti mentre aspettavano di vedere se il misterioso individuo sarebbe riuscito a trovarli.
Poi, da fuori la grotta, provenne una voce molto forte. “Kaeden Larte! So che sei qui.”
Kaeden si voltò di scatto, facendo scattare distrattamente il braccio rotto, che le causò una fitta. Gli occhi di Miara si spalancarono, e tutti nella caverna, Neera compresa, raggelarono.
“Vieni fuori, Kaeden Larte,” continuò la voce. “Arrenditi o farò crollare il vostro piccolo nascondiglio, e tua sorella e tutti i tuoi amici moriranno.”
Kaeden si alzò in piedi, ma Miara la fermò.
“Che cosa fai?” la rimproverò la sorella minore. “Non puoi andare lì fuori.”
“Non posso nemmeno rimanere qui!” ribatté Kaeden. “Sapevamo che ci avrebbero trovati in qualche modo, e sapevamo che non era giusto combatterli, nonostante abbiamo deciso di farlo. Il mio nome è l’unico che conoscono, tutto qui.”
“Potrebbe farci crollare tutto addosso comunque.” Neera si materializzò lì accanto a loro, il viso completamente fermo e gli occhi azzurri concentrati, per la prima volta dalla morte del fratello.
“Ahsoka ha scelto la fuga perché aveva dei problemi con loro, e nessun modo di poter contrattare,” ricordò Kaeden alla sorella. “Vado lì fuori, e tu potrai rimanere ad osservare la vicenda da qui, con gli altri. Magari riuscirai a trovare il modo di segnare un colpo sicuro.”
“Sempre che non abbia portato con sé degli amici,” suppose Kolvin.
“Kaeden Larte,” riprese la voce. “Inizio ad annoiarmi ad aspettarti.”
“Ascoltate, prendete posizione,” disse Kaeden. “Io vado.”
“Vengo anch’io,” insistette Miara. “L’hai detto tu stessa. Non dovremmo separarci.”
Kaeden si scambiò uno sguardo con Neera, sperando che la ragazza più grande avrebbe capito. Kaeden non poteva vedere la sorella torturata nel modo in cui era successo a lei. Avrebbe sicuramente detto all’interrogatore ciò che voleva sapere. Neera annuì e sollevò il blaster. Era il modello più recente, rubato ad uno Stormtrooper durante l’agguato, e aveva un’opzione di stordimento. Miara non avrebbe mai saputo chi l’avesse colpita.
“Dille che mi dispiace,” disse Kaeden, per poi andarsene.
Fu difficile strisciare attraverso il tunnel di collegamento, anche se scelse di percorrere quello più breve. Non riusciva a mettere il suo peso sul braccio destro, quindi fu come lasciarsi trascinare dalla polvere.
Fantastico, pensò. Non solo sto per essere catturata di nuovo dagli Imperiali, ma sarò anche completamente sudicia quando mi cattureranno. Se dovessero concedermi un ultimo desiderio, credo che richiederò un bagno. Alla fine, la sua lentezza diede agli altri il tempo di mettersi in posizione.
Studiò il figuro prima di uscire allo scoperto. Era alto, con le spalle larghe, e di una specie che non aveva mai visto prima. Il suo volto era di un grigio innaturale. C’erano altre marcature, troppo uniformi per essere cicatrici, che percorrevano le guance, il naso ed il mento. Dotavano il suo volto di uno sguardo malvagio, anche se Kaeden immaginò che senza di esse, e senza quei penetranti occhi azzurro come il ghiaccio, non sarebbe stato allo stesso modo intimidatorio. Così com’era, era comunque piuttosto minaccioso. Indossava una divisa grigia, ma non quella tipica da ufficiale. Non c’erano medagliette per segnalarne il rango. Era come se fosse stato progettato per sembrare il più insignificante possibile, tranne per una cosa: brandiva una massiccia spada laser rossa a doppia lama.
In un qualche modo, Kaeden trovò il coraggio di continuare a camminare.
Incespicò fuori dalla caverna, strizzando gli occhi contro la luce, e giunse fino davanti a lui, in attesa che lui le dicesse cosa l’avrebbe attesa.
“Sono Kaeden,” annunciò. “Ora lascia stare i miei amici.”
Il grigio figuro rise. Non era un suono particolarmente piacevole.
“Ma sono venuti tutti qui fuori a salutarci,” disse, allungando la mano.
Kaeden aveva visto Ahsoka usare la forza due volte. La prima, quando aveva scaraventato via i fulminatori degli Imperiali, e la seconda, quando aveva salvato Kaeden sollevandola fino alla finestra e facendola scivolare giù dalla cella della prigione. Questa potenza non era neanche lontanamente simile. Kaeden poté quasi percepire l’innaturalità, la scorrettezza del suo utilizzo. Poi Kolvin corse fuori dalla caverna alla sua sinistra, stringendosi la gola, mentre le ginocchia raschiavano lungo il terreno.
“Fermati!” pregò Kaeden. “Mi arrendo, mi arrendo, ma lascialo stare!”
Ma il grigio figuro non la stette ad ascoltare. Kolvin si fece visibilmente sempre più debole, mentre la vita se ne andava via da lui, e poi tutto si fece anche peggiore. Le colline attorno a Kaeden lanciarono il fuoco dei blaster, mentre gli amici rimasti cercavano di sparare alla creatura lì in basso.
Fecero del loro meglio, e scagliarono dei buoni colpi, ma nemmeno uno riuscì a colpire il bersaglio. Il grigio figuro era molto più potente di loro, e non sembrava avere alcuna pietà. La sua spada laser scattò così velocemente che sembrava essere un anello di luce rossa invece che una lama, deviando tutti i colpi indietro ai mandanti. Kaeden sentì le urla dei suoi amici mentre questi venivano feriti, e poi sentì il silenzio più totale mentre morivano. Quando la situazione si tranquillizzò, si rese conto di essere ancora in piedi e che Kolvin era lì a tenersi il collo di fianco a lei. Aveva smesso di lottare, e quasi tutta brillantezza era svanita dai suoi occhi. Non riusciva a smettere di guardarlo. Ahsoka l’aveva costretta a distogliere lo sguardo la prima volta che avevano ucciso qualcuno davanti a lei, ma ora non riusciva a guardare altrove.
“È questo ciò che accade a coloro che fanno resistenza all’Impero,” disse il grigio figuro.
Scagliò un ultimo fendente con la spada laser, tagliando Kolvin in due. Kaeden urlò, in attesa di una fontana di sangue, ma entrambe le metà del corpo caddero in modo pulito a terra. La spada laser tornò nelle mani della figura. Si spense e lui la ripose. Kaeden non pensò nemmeno di provare a rubargliela. Non sarebbe riuscita a fare neppure tre passi.
“Che cosa sei?” chiese Kaeden, sorpresa di avere ancora un po’ di fiato in gola per poterlo fare.
“Sono il futuro,” rispose il grigio figuro. “E l’unico motivo per cui sei ancora viva è che ho bisogno di te per fare in modo che il mio futuro continui.”
La afferrò per il braccio buono e la costrinse a camminare davanti a lui. Pensò di provare ad opporre una qualche resistenza, costringendolo ad uccidere anche lei lì, assieme agli altri, in modo da non poter essere sfruttata per attuare i fini di lui. Doveva centrare in un qualche modo con Ahsoka. Era l’unica ragione a cui riuscisse a pensare perché qualcuno volesse sfruttarla. Ahsoka l’aveva già salvata una volta. Doveva volere che lo facesse di nuovo. Se fosse morta oggi, Ahsoka non avrebbe avuto alcun motivo per tornare, e Kaeden sarebbe giaciuta in quel terreno per il resto dei suoi – Miara. Non poteva lasciarla andare. La sorella doveva essere ancora priva di sensi nella grotta, grazie alla rapidità di pensiero di Neera. Neera poteva essere morta, ma aveva salvato Miara, senza nemmeno saperlo. Kaeden avrebbe dovuto vivere un po’ più a lungo, per riuscire a portare quel terribile essere lontano da sua sorella.
“Va bene, d’accordo,” si rassegnò, liberandosi il braccio. Faceva male – l’intero corpo le doleva – ma avrebbe potuto farcela. “Posso camminare da sola.”
“Eccellente,” acconsentì il grigio figuro. “Vogliamo che tu sia nella tua forma migliore per quando la nostra piccola amica Jedi si presenterà a salvarti.”
Rise di nuovo, crudelmente, e spinse Kaeden tra le scapole. Lei inciampò, ma riuscì a non cadere. Tornarono verso la città velocemente, non sapendo quanto tempo ci avrebbe messo Miara a fuoriuscire da dove era. Era dispiaciuta per il fatto che si sarebbe risvegliata scoprendo che le morti dei suoi amici, soprattutto di Neera, ma per lo meno si sarebbe svegliata. Era intelligente, Kaeden lo sapeva. Sarebbe andata da Vartan, o da Selda, o da qualche altra parte, prima di rischiare di fare qualcosa di stupido, come cercare di trarla in salvo.
E per quanto riguardava Ahsoka, lei era un Jedi. Aveva combattuto nelle Guerre dei Cloni, e in qualche modo era riuscita a sopravvivere allo spurgo dei Jedi quando l’Impero vi aveva dato inizio. Ciò significava che aveva le risorse per cavarsela e che riusciva a pensare alla svelta. Avrebbe capito subito che doveva essere una trappola. Avrebbe lasciato Kaeden morire, o sarebbe giunta lì pronta per combattere.
Kaeden si aggrappò a quell’ultima speranza, come se avesse ambedue le braccia buone, strinse i denti fino a sentire male, e continuò a camminare.

 
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view post Posted on 22/1/2018, 19:32
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AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 24 –



IL RAGGIO TRAENTE sembrò prendersi il suo tempo per attirarla fino alla stiva. Fu quasi come se chiunque l’avesse catturata avesse voluto darle il tempo per prepararsi e armarsi a dovere per combattere. Cosa che fece. Lasciò il blaster lì dove si trovava, ma frugò le il cargo alla ricerca del casello con le armi presente in tutte le navi dei Fardi. Non ne aveva mai avuto bisogno fino ad allora, ma c’è sempre una prima volta per tutto. Trovò diversi piccoli blaster, un dardo stordente, e tre esplosivi. Nella parte inferiore della cassetta vi erano un paio di piccole canne. Niente di ché, ma erano la cosa che più si avvicinava alle sue vecchie spade laser. Poi scese fino al portello principale e attese.
Dopo quella che era sembrata essere un’eternità, il portellone si aprì. In piedi lì davanti c’erano due umanoidi, entrambi con dei caschi a coprire i loro volti e con le armi alzate. Non sapeva se fossero le uniche persone a bordo, e non volle aspettare tanto da scoprirlo. Saltò, lanciandosi giù dalla rampa e sferrò un calcio al copricapo dell’uomo più alto mentre colpiva l’altro con la canna che brandiva nella mano destra. Sembrava che fossero impreparati alla rapidità del suo attacco. L’uomo alto cadde a terra, ma quello più basso, una donna, riuscì a schivare il corpo del compare.
“Aspetta!” disse. “Siamo qui per conto di –”
Questo fu tutto quello che riuscì a dire prima che Ahsoka tirasse un colpo anche al suo casco. Si sarebbero ripresi entrambi molto presto, e a quel punto Ahsoka avrebbe fatto meglio ad essersene andata. Prima, però, doveva disattivare il raggio traente, e il posto più facile per farlo si trovava sul ponte.
Con i bastoni stretti in mano, si aggirò per la nave. Era un percorso breve dalla stiva al ponte, ma voleva assicurarsi che nessuno la prendesse di sorpresa, quindi fece una deviazione verso la sala macchine e controllò anche i vari sbocchi sul corridoio principale. Sembrava non esserci nessun altro a bordo, il che era strano, perché quella navetta avrebbe potuto ospitare molti più membri dell’equipaggio senza alcun problema. Forse ai suoi aspiranti rapitori piaceva la solitudine.
Ahsoka si strinse nelle spalle e aprì la porta che conduceva al ponte. La prima cosa che notò fu che nemmeno lì c’erano delle persone. La seconda cosa fu un segnale acustico di un droide astromeccanico, che suonava esattamente come –
“R2!” Non aveva intenzione gridare al piccolo droide, ma era così spaventata e sorpresa che non riuscì ad evitarlo. Aveva avuto una giornata davvero stressante.
Il piccolo droide blu e argentato si scollegò dalla console sulla quale stava lavorando e roterellò sul pavimento fino a lei così in fretta che quasi non prese il volo. Emetteva i suoi soliti bip così velocemente che riusciva a malapena a capirlo, ma capì dal suo tono che R2-D2 doveva essere felice di vederla almeno quanto lei era contenta di vedere lui.
“Sono felice che tu stia bene,” gli disse, lasciandosi cadere in ginocchio per dare al droide un abbraccio. Non le importava che sembrasse una cosa stupida da fare, e R2-D2 sembrò apprezzare quel gesto. “Non ti hanno nemmeno cancellato la memoria?”
Il droide le rispose che qualche allegro bip.
“Stai lavorando per un senatore? Ma non dovresti rivelarmi di chi si tratta?” tradusse lei. Il droide era sempre stato molto bravo a mantenere i segreti. “E i tuoi amici nella stiva? Puoi parlarmi di loro?”
R2-D2 roterellò indietro lungo il pavimento e avviò i loro ologrammi. Erano stati catalogati, e Ahsoka poté leggere i nomi del pilota e del copilota, entrambe le persone che aveva lasciato privi di sensi nella stiva della propria nave.
“Spero che i tuoi capi non siano delle persone rancorose,” disse. “Ma, seriamente, che cosa si aspettavano a catturare una persona usando un raggio traente?”
L’astromecca cinguettò con dolcezza e le tornò vicino. Se ne sarebbe dovuta andare presto, ma non voleva separarsi di nuovo dal piccolo droide.
“Qual era la vostra missione, comunque?” chiese Ahsoka.
R2-D2 le raccontò quello che gli era stato permesso di dire, in particolare che il pilota, Chardri Tage, e la sua partner, Tamsin, erano stati incaricati di condurla ad incontrarsi con qualcuno.
“Si tratta del senatore di cui non puoi rivelarmi l’identità?” domandò Ahsoka. “R2, devo saperlo.”
Il droide sembrò rifletterci per un momento, roteando in avanti ed indietro sulle sue tre gambe. Poi disse un nome.
“Bail Organa?” ripeté Ahsoka. “Non posso credere che lo abbiano lasciato in vita. È un risaputo simpatizzante dei Jedi. Dovrebbe essere in pericolo.”
R2-D2 le rispose che non conosceva parte della faccenda.
“E non me la puoi spiegare,” comprese Ahsoka. “Capito.”
Il droide le ricordò che anche Padmé Amidala si fidava dei Jedi, così come Bail.
Ahsoka sospirò.
“Ascolta, potresti interrompere il raggio traente che trattiene la mia nave?” gli chiese. “Così potrò scappare, e tu potrai dire a tutti che non mi hai mai vista, d’accordo? Però assicurati che io possa tracciare questa nave. Se mi piacerà quello che scoprirò, mi farò vedere. Promesso.”
R2-D2 fece avanti ed indietro sul pavimento per qualche secondo. Il piccolo droide era abituato alle missioni di spionaggio e all’alto rischio. Avrebbe compreso perché Ahsoka avesse intenzione di agire così. Dopo un momento, le comunicò di essere d’accordo e le disse il codice per poter tracciare la nave.
“Grazie, R2,” disse lei. Si voltò per andarsene, ma lui la seguì emettendo una serie di suoni tristi.
“Lo so, piccolo amico.” Il suo cuore si serrò intorno al posto vuoto in cui una volta risiedeva Anakin Skywalker. “Manca anche a me.”
R2-D2 fece ritorno ai controlli, e Ahsoka vide che stava eliminando ogni traccia della loro conversazione, ma avrebbe comunque dovuto trovare qualche scusa per i due piloti.
Ahsoka non perse altro tempo. Tornò nella stiva, trascinando i piloti in un punto sicuro, e poi salì sulla sua navetta e azionò i motori, tanto quanto permisero dato il loro stato danneggiato. Scivolò fuori sal carico e fece una scansione dei pianeti vicini per trovare un buon posto dove nascondersi e fare le riparazioni necessarie.
Alla fine, dovette accontentarsi di una delle piccole lune che orbitavano attorno al pianeta dove aveva incontrato l’agente del Sole Nero. Sperava che non si fosse nascosto pure lui lì a riparare la sua nave, ma onestamente, credeva di non poter avere così tanta sfortuna in un giorno solo.
Era quasi pronta ad iniziare le riparazioni quando captò il segnale inviatole da R2, dove le faceva sapere che lui e i due piloti se ne erano andati. Lo osservò mentre le raccontava che erano entrati nell’iperspazio, e poi si erano messi a fare un pisolino. Anche lei avrebbe dovuto riposare, dato che avrebbe dovuto anche lei parlare con Bail, comunque.
Si coricò, chiuse gli occhi e si addormentò.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Bail fece del suo meglio per non ridere quando Chardri Tage gli fece rapporto. Non erano riusciti a vedere nemmeno la Jedi abbastanza a lungo da riuscire a darne una descrizione. Li aveva sbaragliati immediatamente, messo fuori gioco l’unità R2, e disattivato il raggio traente senza sforzo alcuno. Bail si sentì un po’ in colpa, a dire il vero. Non aveva detto a Tage e a Tamsin a cosa stessero andando in contro, e a quanto pareva la Jedi era ben addestrata nel combattimento quanto qualsiasi altro veterano delle Guerre dei Cloni. Aveva anche eliminato buona parte dei video della sicurezza, in modo che non vi fosse nessuna traccia del suo passaggio.
Le era bastato un tocca e fuga nella sala macchine. Tutto era sembrato a posto ad un primo sguardo, ma vi era rimasto comunque un singolo fotogramma che, se fermato al punto giusto, mostrava un paio di montral mentre la Jedi controllava in giro per assicurarsi che la stanza fosse vuota. Bail trattenne un grido di puro trionfo. Aveva già visto quelle cornine da qualche parte. Ella non era una qualsiasi Jedi; si trattava di Ahsoka Tano, e lui doveva trovarla subito.
Fece una pausa. Ahsoka doveva aver riconosciuto R2-D2. Cosa più importante, l’astromecca doveva avere riconosciuto lei.
Non poteva biasimare Ahsoka per la sua prudenza. Non si era mai intrattenuto troppo con lei rispetto che con Skywalker e Kenobi, e a quanto ne sapeva non aveva mantenuto dei buoni contatti quando aveva abbandonato Coruscant. Inoltre, aveva mandato due persone a rapirla, essenzialmente. Doveva avere un piano, probabilmente, e l’unità R2 doveva senza dubbio esserne a conoscenza: il droide sapeva tutto, ma aveva deciso di non rivelargli niente, se non alcune specifiche.
Registrò un nuovo messaggio da inviare a Tage, assieme a delle coordinate per incontrarsi, anche se l’operazione per recuperare la Jedi non aveva avuto successo. Tage non mandò una risposta olografica, ma un semplice codice di conferma, ma Bail sapeva che i suoi ordini sarebbero stati seguiti alla lettera.
Ahsoka Tano sarebbe riuscita a trovarlo, e lui sarebbe stato pronto. Non sapeva che cosa le avrebbe detto, o quanto lei sapesse già, o quanto avrebbe dovuto sapere. Forse sarebbe stato meglio se non le avesse detto nulla. Pensò a sua figlia, al sicuro su Alderaan, e al fratello di lei, al sicuro nel deserto. Doveva mantenere il silenzio su di loro, ma avrebbe dovuto fare del suo meglio per sondare Ahsoka. Se già dovesse essere a conoscenza della questione, sarebbe potuta diventare un’ottima alleata. Non poteva dirle che Obi-Wan fosse vivo, ma poteva guadagnare la sua fiducia in altri modi, e avrebbe cominciato facendole avere il suo invito di persona.
Lasciò il suo alloggio sulla Tantive IV del Capitano Antilles e si diresse al ponte. Il capitano era in servizio, quindi non gli ci volle molto per trovarlo e fare la sua richiesta. Antilles era leale e fedele e sapeva bene che era meglio non parlare di questioni troppo private davanti all’equipaggio. Stavano lavorando, lentamente, per sostituire ogni membro di quell’equipaggio con un membro della ribellione o di convincere l’equipaggio esistente ad abbracciare causa, ma dovevano essere pazienti e prudenti. Così come doveva essere, erano tutti abbastanza fedeli ad Alderaan, più precisamente a Breha, e si fidavano abbastanza di loro. Il resto si sarebbe consolidato con il tempo. Era sicuro come un posto come un altro per incontrare un Jedi.
Il viaggio attraverso l’iperspazio fu piuttosto breve, e la nave di Tage li aspettava lì quando arrivarono. Non c’era alcuna traccia di Ahsoka. Il sistema in cui erano era quasi vuoto, ma c’era qualche pianeta popolato nelle vicinanze. Ad Antilles piaceva organizzare riunioni clandestine. Aspettarono qualche ora, senza alcun segno di un’altra nave. Alla fine, Bail ordinò Tage di restituirgli l’unità R2. Forse si era sbagliato sulla lealtà di Ahsoka. Forse si era già trovata una nuova vita e non voleva essere coinvolta in un’altra guerra. Non poteva di certo darle colpa di ciò.
Bail vide l’unità R2 tornare affianco alla sua controparte, il quale iniziò subito a rimproverarlo, e fecero ritorno al suo alloggio. Erano al centro della nave, accessibile dal corridoio principale. Non aveva mai pensato tanto a quanto fosse stata ben fatta quella struttura. Da lì era possibile raggiungere ogni suite, che il ponte collegava alla sala macchine come percorso alternativo nel caso fosse successo qualcosa per cui non sarebbe stato possibile percorrere il passaggio principale. C’erano anche diverse capsule di salvataggio, collegate sempre lì.
Bail giunse al suo ufficio improvvisato, accese le luci, e quasi non gli venne un attacco di cuore. Seduta alla sua scrivania, con indosso una tuta anti pressione con il casco appoggiato sul tavolo situato tra di loro, c’era Ahsoka Tano.
“Salve, Senatore,” disse compiaciuta. “Ho saputo che volevate parlarmi.”

 
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38 replies since 17/10/2017, 09:57   8,116 views
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