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[STAR WARS]AHSOKA - E.K. Johnston, [TRADUZIONE ITA]

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STAR WARS - AHSOKA - E.K. Johnston - Traduzione italiana
[Canone: Ufficiale ~ The Clone Wars // Star Wars Rebels]

foqltKI
CANONE: UFFICIALE

Alla Royal Handmaiden Society.
Siamo coraggiose, Vostra altezza. 



INDICE:

- 00 -
- 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 05.5 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 10.5 -
- 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 15.5 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 20.5 -
- 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 25.5 - 26 - 27 - 28 - 29 - 30 - 30.5 -


[DOWNLOAD PDF ITA]


La seguente è una traduzione amatoriale del libro Ahsoka di E.K. Johnston
(supervisionato da Pablo Hidalgo e Dave Filoni).
L'uscita non è al momento prevista in Italia.

Ahsoka - Ahsoka Tano - Star Wars - Guerre Stellari - Libri Guerre Stellari - Ahsoka


Edited by Pandora_Key - 26/1/2018, 13:09

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Star Wars,
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38 replies since 17/10/2017, 09:57
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STAR WARS

AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 00 –



MANDALORE BRUCIAVA.

Non del tutto, ovviamente, ma abbastanza perché il fumo riempisse completamente l’aria intorno a lei. Ahsoka Tano prese un respiro. Sapeva quello che doveva fare, ma non era sicura che avrebbe funzionato. Peggio, non era sicura per quanto avrebbe funzionato, se ci fosse riuscita. Ma non aveva altre opzioni, e questa era l’unica possibilità che le rimaneva. Era già stata lì con l’armata e in missione, come faceva quando era ancora la Padawan di Anakin Skywalker. Probabilmente sarebbe andata meglio se solo Anakin fosse stato lì con lei.
“Fa attenzione, Ahsoka,” le aveva detto, prima di consegnarle le sue spade laser e correre a salvare il Cancelliere. “Maul è subdolo. Ed è spietato.”
“Me lo ricordo,” replicò lei, cercando di racimolare un po’ dell’insolenza che aveva imparato ad avere la prima volta che l’aveva chiamata Furbetta. Non pensava che il tentativo fosse particolarmente riuscito, ma lui le sorrise comunque.
“Lo so.” Le voltò le spalle, già pensando alla sua personale battaglia. “Ma sai che mi preoccupo.”
“E che cosa potrebbe succedere?” Cercare di agire come avrebbe fatto la vecchia sé risultò più semplice, e si accorse di stare ricambiando il sorriso.
Ora, il peso delle sue spade laser era rassicurante, ma le avrebbe scambiate a mani basse entrambe con la presenza di Anakin.
Poteva vedere Maul, non troppo lontano da lei adesso. Il fumo gli avvolgeva il viso nero e rosso, ma la cosa sembrava non infastidirlo. Si era già disfatto del mantello, la sua postura trasudava sicurezza. Si trovava in una delle piazze che non erano ancora bruciate, camminando mentre l’attendeva. Se lei non avesse saputo che le sue gambe fossero artificiali, non avrebbe mai potuto immaginare che non erano gli arti con cui era venuto al mondo. Le protesi non lo rallentavano o impedivano per niente. Lei gli si pose davanti, determinata. Dopo tutto, lei sapeva qualcosa che era abbastanza sicura lui non sapesse.
“Dov'è la tua squadra, Lady Tano?” esordì lui non appena lei fu a portata d’orecchio.
“Occupati ad uccidere i tuoi,” rispose lei, sperando che fosse davvero così. Non gli avrebbe dato il permesso di quanto le fece male sentirla chiamare Lady Tano da lui. Lei non era più comandante, anche se il battaglione continuava a trattarla con la stessa cortesia di sempre, per via della sua reputazione.
“È stato molto gentile da parte dei tuoi maestri mandarti qui da sola e darmi la possibilità di provare l’ebrezza di un combattimento leale,” disse Maul. “Non sei nemmeno un vero Jedi.”
Da ogni sua parola trapelava della malizia, e scoprì i denti verso di lei. Lui era il tipo di pericolo da cui Maestro Yoda le aveva insegnato a stare in guardi, quel tipo di persona corrotta dall’odio fino al diventare irriconoscibile. Ahsoka rabbrividì al pensiero che Maul avesse sofferto per diventare così. Ma ancora, era abbastanza intelligente da usare la cosa a suo vantaggio: aveva bisogno che lui si arrabbiasse tanto da credere di essere in vantaggio.
“Avremo un combattimento alla pari, allora.” Lei indietreggiò, guardandolo da testa a piedi. “dal momento che tu sei solo metà Sith.”
Era stata irriverente senza nessuna ragione, il tipo di cosa per cui il Maestro Kenobi avrebbe alzato gli occhi al cielo, ma Ahsoka non riuscì a pentirsene. Provocare il nemico era una consuetudine, e Ahsoka aveva intenzione di usare tutte le sue carte, anche se sarebbe dovuta finire per risultare scortese. Lui aveva ragione, dopo tutto: Lei non era un Jedi.
Maul si spostò lateralmente con un’oscura grazia felina stranamente ipnotica e facendo roteare l’elsa della spada laser nella mano. Ahsoka strinse la presa sulle sue e si costrinse a rilassarsi. Aveva bisogno che lui si avvicinasse. Quell’attesa era un po’ come meditare. Sapeva che il piano aveva già funzionato contro di Maul prima, su Naboo, quando Obi-Wan lo aveva battuto la prima volta. Allungò la mano verso la Forza, e poi la aspettò fino a trovarla, provando conforto e un senso di potere. Cercò di aprire la mente per accogliere questa sensazione, ascoltando ogni parte di sé che poteva. Poi si spostò, circumnavigando Maul e finendo dall’altra parte della piazza costringendolo a retrocedere ogni volta che lei avanzava.
“Non sei un Jedi, ma comunque una vigliacca,” disse lui. “Oppure Skywalker ha dimenticato di insegnarti come si rimane al proprio posto prima di abbandonarti?”
“È stata una mia decisione andarmene,” rispose lei. In quel momento, sentì che quelle parole fossero la verità, nonostante il dolore che vi si celava dietro. Lei lo ignorò e si concentrò sul suo senso di equilibrio, su di Maul.
“Ma certo. E io mi sono gettato volontariamente in quel mucchio di immondizia, e quelle prime gambe mostruose,” disse Maul beffardamente. Lei sentì la rabbia farsi largo dentro di lui, quasi al punto di rottura, ma non era ancora sufficiente.
Lui attivò la sua spada laser e accelerò il passo. Fu facile per lei fingere che l’avesse colta di sorpresa, inciampare indietro, allontanandosi dalla sua carica vendicativa.
“Scommetto che anche tu lo abbia fatto di tua volontà, Lady Tano,” la canzonò. Aveva ragione, ma lui poteva percepire solo la sua debolezza. La sua rabbia lo rendeva cieco su tutti gli altri fronti. “Un ultimo tentativo di gloria per impressionare un maestro che non ha più bisogno di te.”
“Non è vero!” gridò lei. Ancora un po’ più in là. Lui era quasi in trappola.
Lui si lanciò su di lei, una crudele risata raschiò fuori dalla sua gola, e lei continuava ad aspettare. Poi, proprio prima che lei fosse alla sua portata, lei azionò la trappola.
La familiare energia verde scattò non appena attivò le sue spade laser ed entrò in azione, per un ultima finta. Maul si scagliò in avanti mentre Ahsoka fece un passo indietro, attirandolo oltre il punto di non ritorno. Lui si girò verso il basso, diretto alla testa di lei, e lei rispose con tutta la forza che aveva. Le sue armi si bloccarono con le sue, tenendolo fermo esattamente dove lei voleva che fosse.
“Ora!” commando ai suoi alleati invisibili.
La risposta fu veloce, troppo veloce per la distratta difesa di Maul. Ahsoka si lanciò al sicuro appena in tempo.
Lo scudo si attivò, intrappolando la sua preda con la spada laser ancora alzata contro di lei.




 
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AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 01 –



ERA DA SOLA, qualcosa a cui non era mai stata destinata ad essere. La sua gente si organizzava in tribù, tutti erano legati dal sangue, e la sua capacità di utilizzare la forza la legava ad un sacco di membri di altre specie da tutta la galassia. Anche dopo aver lasciato il Tempio dei Jedi, aveva sempre potuto vedere gli altri, se avesse voluto – il loro flusso nella Forza che la circondava.
Ma adesso, ovviamente, non era più così.
Ora tendeva a preferire la solitudine. Se si ritrovava ad esserlo, non si ritrovava più a scegliere cose che interessassero nessuno al di fuori di sé. Se aggiustare un malfunzionamento o meno, se mangiare o meno, se dormire o meno – se sognare o meno.
Cercava di sognare il meno possibile, ma quel giorno, in particolare, non ci riuscì. Il giorno dell’Impero. Dall’altra parte della galassia, nel Nucleo dell'Orlo Esterno – anche se con un po’ meno entusiasmo per i festeggiamenti – si sarebbe tenuta una festa per commemorare la creazione dell’ordine grazie al governo dell’Imperatore Palpatine. Sarebbe stata la prima volta che si celebrava. Il nuovo Impero era in piedi solamente da un anno, ma l’idea di celebrare quel giorno la nauseava. Lo ricordava come una ragione completamente differente dalla creazione della pace.
Mandalore che bruciava, anche se lei, Rex e gli altri erano riusciti a salvarne la maggior parte, la loro vittoria era stata immediatamente annullata con tale violenza che Ahsoka ancora aveva difficoltà a pensarci. Quindi non lo fece.
“Ashla!” La voce suonò forte ed allegra, strappandola dai suoi pensieri. “Ashla, ti perderai la parata!”
Vivere nell'Outer Rim (l'Orlo Esterno) aveva i suoi benefici. Le popolazioni planetarie erano piccole e non altamente organizzate, rendendo più semplice vivere sotto falso nome. Si riusciva anche a rimanere facilmente lontano dalle principali rotte dell’iperspazio. La maggior parte dei pianeti di Outer Rim non aveva nulla per attirare l’attenzione e l’interesse imperiale, e l’ultima cosa che voleva Ahsoka era attirare l’attenzione.
Quello che non aveva calcolato era l’attenzione dei suoi vicini, i Fardi, una famiglia locale che sembravano interessarsi un po’ troppo di quello che accadeva su Thabeska. L’avevano presa sotto la loro ala – nonostante Ahsoka tentasse di tenere quante più distanze. Stava ancora soffrendo, a modo suo, e nonostante si dicesse che non voleva stringere dei nuovi legami, nuove amicizie, la cosa la aiutò.
Thabeska le si addiceva. Era polverosa e tranquilla, ma c’erano abbastanza via-vai che le avevano permesso di non dare troppo nell’occhio. Il pianeta aveva un commercio piuttosto attivo di acqua e tecnologia, ma niente di particolare.
Nemmeno le merci di contrabbando – beni di lusso e cibo difficile da trovare sul pianeta – attiravano il relativo piccolo numero di persone. Nessun pirata di rispetto, che Ahsoka sapesse, si sarebbe abbassato a tanto. Era un buon posto come un altro per ‘Ashla’ da chiamare casa.
“Ashla, sei qui?” urlò nuovamente la ragazzina. Troppo allegra, pensò Ahsoka scuotendo la testa. Il giorno dell’Impero non era poi così eccitante, anche se si credesse nella propaganda. Le ragazze stavano nascondendo qualcosa, qualcosa di cui non era a conoscenza.
Ahsoka considerò le sue opzioni. Era risaputo che uscisse presto per andare passeggiare da sola. Non c’era niente di pericoloso lì, e di certo niente di pericoloso per lei. Avrebbe potuto benissimo rimanere in silenzio, facendo finta di non essere in casa, e se qualcuno le avesse fatto qualche domanda in seguito, avrebbe potuto dire di essere andata a fare una passeggiata.
Si alzò e attraversò il pavimento della sua piccolo casa. Non era particolarmente elegante, ma uno dei lati positivi dell’essere cresciuta in un Tempio Jedi era che preparava le persone ad ogni tipologia di situazione. Se Ahsoka possedeva poche cose, sarebbe stato più semplice portarle con lei quando sarebbe giunto il momento di andarsene. Trovava molto difficile non pensare alla cintura per le armi vuota che possedeva, anche se non la indossava.
Aveva sentito il calore e l’allegria della ragazza quando l’aveva chiamata, ma aveva bisogno di più dettagli. E l’unico modo per ottenerli era quello di aprire la porta.
“Arrivo, arrivo!” disse, sperando di sembrare entusiasta.
Ahsoka aveva conosciuto il clan Fardi ai cantieri navali, quando era arrivata sul pianeta. Gestivano la maggior parte delle spedizioni, legali o meno. Ahsoka avrebbe volentieri evitato qualsiasi contatto, se non fosse stato per il fatto che i piccoli del clan avessero continuato a seguirla come degli anatroccoli e lei non fosse mai riuscita a dissuaderli dal farlo. Aprì la porta e trovò quattro di loro a fissarla, con un paio di ragazze più grandi dietro di loro. Le più anziane non sembravano spensierate quanto i piccoli. Ahsoka si sentì piuttosto tesa, ma si costrinse a rilassarsi.
“Ashala, devi venire con noi subito,” disse la più grande. C’erano così tanti piccoli Fardi che Ahsoka aveva davvero difficoltà a ricordarsi i nomi di tutti. Li guardò, avendo la sensazione di essersi dimenticata di qualcosa di importante.
“Già!” disse un altro dei piccini. “Papà ha ricevuto degli ospiti-vestiti-strano che hanno detto di voler incontrare tutte le persone nuove del posto, e tu sei nuova, quindi dovresti venire! Potrai sederti con noi alla cerimonia per il lancio.”
Un anno di residenza lì, e Ahsoka era ancora considerata ‘nuova’, anche se era il pianeta in cui era rimasta più a lungo da quando era diventata la Padawan di Anakin Skywalker.
“Ci sono un sacco di navi al cantiere proprio adesso,” disse con attenzione uno dei più grandi, come se qualcuno stesse ascoltando ogni sua singola parola. “Per il lancio. La gente sta arrivando da ogni dove. La sicurezza sta facendo un disastro nel registrare tutto.”
Da queste parti, ospiti-vestit-strano era usato per indicare le persone con dei vestiti puliti.
Nonostante la famiglia Fardi fosse benestante, indossavano comunque dei vestiti sempre pieni di polvere, dato che questa finiva ovunque dentro agli appartamenti. Ahsoka si immagino nitidamente i colori spenti delle uniformi imperiali. Di certo avrebbero impressionato gli abitanti di Thabeska.
Ahsoka sapeva che cosa avrebbero fatto i Fardi. Avevano le loro attività a cui pensare, per non parlare dei numerosi membri della famiglia di cui dovevano prendersi cura. Avrebbero detto agli imperiali tutto quello che questi avrebbero voluto sapere, e Ahsoka non poteva biasimarli. A quanto pareva aveva fatto su di loro una buona impressione, tanto da farli correre ad avvisarla. Fu più di quanto Ahsoka potesse aspettarsi.
“Perché voi ragazzi non andate avanti?” disse, annuendo solennemente alle ragazze più grandi. Non sapeva se i loro genitori fossero a conoscenza del fatto che i piccoli fossero lì, ma voleva far sapere loro che aveva apprezzato il rischio che si stavano assumendo. “Potrete tenermi un posto, mentre io mi do una ripulita. Ho dormito poco questa mattina, e non posso venire alla sfilata del Giorno dell’Impero messa così.” Fece un gesto per indicare i suoi vestiti. Erano gli unici che possedeva, e tutti lo sapevano, ma era comunque una scusa funzionale per guadagnare un po’ di tempo.
I piccoli la supplicarono in coro di sbrigarsi, ma promisero di andare avanti e tenerle un posto. I più grandi rimasero tranquilli e spinsero i loro fratelli di nuovo verso il centro cittadino.
Ahsoka non li osservò andarsene. Non appena si voltarono, lei chiuse la porta e si prese un momento per raccogliere le idee.
Non aveva molte cose. La sua unica camera era completamente spoglia, tranne per il letto ed un tappetino sul quale avrebbe potuto far sedere gli ospiti, anche se non ne aveva mai ricevuti. Spostò il tappeto, scoprendo un vano dove teneva nascosti un po’ di soldi ed il suo blaster. Gettò tutto in un sacchetto e si avvolse una sciarpa intorno alla testa per coprire il viso. Avrebbe dovuto prenderne presto uno nuovo: era cresciuta ancora, e le sue montrals erano diventate quasi troppo alte per riuscire a coprirle con quel cappuccio.
Mentre chiudeva la porta della sua casa per l’ultima volta, l’aria si riempì di un gemito fin troppo familiare. La parata era cominciata, e sembrava che l’Impero stesse mostrando la manovrabilità dei suoi migliori combattenti.
Le strade erano deserte. Ahsoka riusciva a sentire la musica, rauca e guerresca allo stesso tempo, mentre la sfilata passava lungo il viale principale diversi livelli più in alto. Non riusciva a capire perché ci fossero così tanti imperiali tutto ad un tratto. Sicuramente il Giorno dell’Impero non doveva essere l’unica ragione. Ma il pianeta non aveva molte particolarità oltre alla polvere e i Fardi. E una sopravvissuta all’Ordine 66.
Due imperiali armati girarono l’angolo. Ahsoka trattenne il respiro e si bloccò. Non avevano nulla di familiare. Non erano cloni. Erano delle nuove reclute, gli Assaltatori [Stormtroopers]. Nulla di cui preoccuparsi.
“Che cosa ci fai qui?” Sollevarono le loro armi. “Perché non sei alla festa?”
“Ci stavo andando,” disse Ahsoka, attenta a tenere il volto chinato verso il terreno. “Ero fuori dal quartiere questa mattina, a cacciare, e ho perso la cognizione del tempo.”
“Muoviti,” disse lo stormtrooper, anche se abbassò il suo fucile. L’altro sussurrò qualcosa al suo compagno, ma Ahsoka non riuscì a sentire.
“Felice Giorno dell’Impero,” disse, e svoltò l’angolo in direzione della musica.
Non attese di vedere se l’avrebbero seguita. Balzò su una delle finestre del primo livello e risalì l’edificio arrampicandosi fino a raggiungerne il tetto. Era vicina al complesso dei Fardi, un insieme di casette molto più carine della sua piccola capanna. Erano alte e avevano dei tetti piani. Cosa più importante, erano costruite tutte molto vicine tra loro, per risparmiare i costi di costruzione.
Non fu un percorso facile, ma per qualcuno con le abilità di Ahsoka, non fu neanche troppo difficile.
Sperando che nessuno potesse vederla, corse lungo le cime delle case. Nonostante la situazioni di pericolo, Ahsoka si sentì meglio di quanto si fosse sentita da molto tempo. Non utilizzò nemmeno la Forza per correre – sarebbe stato un rischio non necessario – ma la utilizzò per essere sicura di poter attraversare con un salto le strade sottostanti senza troppi problemi. Ogni volta che guardò verso il basso, vide altri Assaltatori di pattuglia. Però non sembravano essere alla ricerca di un obbiettivo preciso. I due con cui aveva parlato non dovevano aver dato l’allarme.
Ahsoka raggiunse il confine della fila delle case più alte e si accovacciò, osservando dall’alto il cantiere. C’erano due punti di controllo dei Fardi, e quello era quello più piccolo. Quello più grande avrebbe avuto una selezione più ampia, ma anche una più alta probabilità di buchi nel sistema della sicurezza, ma quello più piccolo era più vicino e approcciabile, quindi Ahsoka decise di tentare la fortuna con quello.
Le navi presenti erano per lo più quelle degli imperiale, e quindi non degli obbiettivi proprio ottimali. Probabilmente erano registrati e contrassegnati, e probabilmente anche muniti di un qualche sistema di tracciamento. Ahsoka guardò il trasporto truppe con un certo rammarico. Di tutte le navi tracciate presenti, quella era la quale con cui aveva più familiarità, ma non poteva correre il rischio. Invece, si concentrò su di una piccola nave da carico nascosta proprio in fondo al piazzale.
Era una delle navi dei Fardi, una di quelle legali, ma Ahsoka sapeva che sarebbe potuta diventare molto meno legale in fretta. I Fardi l’avevano pagata per contraffarla. Era una brava meccanica, e aveva imparato a guadagnarsi la loro fiducia facendo il lavoro in modo diligente. La nave era anche incustodita. Ahsoka non sapeva se fosse un invito o meno, ma non aveva intenzione di farsi sfuggire quell’opportunità.
C’erano forse una ventina di stormtroopers nel piazzale. Prima , quando aveva potuto usare apertamente la Forza, non ci sarebbe stato nessun problema. Ma adesso, con solo il blaster, Ahsoka avrebbe dovuto pensarci bene.
Anakin ci si sarebbe fiondato dritto incontro, indipendentemente dal rischio che avrebbe comportato. Anche senza la sua spada laser, sarebbe stato abbastanza veloce e forte da poterlo fare. Ma sarebbe anche stato molto visibile, però. Le esplosioni la tentarono di seguire l’esempio del suo vecchio maestro. Le mancava quell’emozione, ma quello non era il momento giusto per farlo. Il Maestro Obi-Wan avrebbe cercato di farsi strada in modo più elegante, ma il risultato finiva sempre per essere rumoroso quanto quello di Anakin.
“Quanto ci metterai ad ammettere il fatto che sei rimasta da sola?” mormorò Ahsoka tra sé e sé. “Loro non ci sono più. Sono morti, e ora ci sei solamente tu.”
I discorsi motivazionali non erano il suo forte, ma si spronò comunque ad andare all’azione. Tentò un salto rischioso dal tetto al vicolo sottostante, puntando sulla velocità. Estrasse il blaster dalla sacca. Rapidamente, estrasse tutte le munizioni dalla confezione e lasciò il fucile a terra. Ora doveva muoversi. Corse lungo il vicolo e balzò sopra il muretto di un giardino. Qualche passo ed un altro salto la condussero in un vicolo diverso, e corse verso il piazzale.
Raggiunse l’area aperta proprio mentre il blaster esplodeva. Gli Assaltatori reagirono immediatamente, rompendo le linee pulite e correndo verso il rumore con ammirevole dedizione.
Non abbandonarono tutti il posto, ma fu comunque abbastanza per gli scopi di Ahsoka.
Ahsoka corse negli angoli dove sapeva potersi nascondere, e poi dietro a delle casse per celarsi dalla vista degli imperiali rimasi. Raggiunse la rampa della navetta dei Ferdi e salì a bordo prima che qualcuno potesse notarla.
“Spero di non stare rubando qualcosa di necessario,” disse ai suoi benefattori assenti. “Ma grazie per la nave.”
Il motore ronzò prendendo vita mentre gli Stormtroopers tornavano nel piazzale, ma oramai era troppo tardi. Ahsoka fu in aria prima ancora che potessero configurare l’armamento pesante e prima che potessero sparare. Se ne andò, nuovamente in fuga, e non aveva idea di dove si sarebbe diretta.


 
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(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 02 –



DALL’ORBITA, Raada non sembrava poi un granché. Nemmeno la lettura del navicomputer non era particolarmente coinvolgente, ma era per quello che Ahsoka aveva scelto quella luna. Era piccola, e lontana anche per i normai standard dell’Orlo Esterno, e aveva una sola risorsa. Ahsoka sarebbe passata inosservata qui. Non le piaceva cadere nello stesso errore due volte, e ne aveva commesso uno enorme su Thabeska, farsi coinvolgere con una delle famiglie più incidenti del pianeta.
Ahsoka impostò la nave verso il basso, diretta a quello che poteva essere chiamato a malapena ‘spazioporto’. Durante un transito, apportò qualche modifica alla navetta, nella speranza di nascondere la sua provenienza, e scoprì che vi era stato già installato un sistema di anti-localizzazione. Ricodificarlo fu relativamente semplice, anche senza il supporto di un droide astromeccanico come R2-D2. Fece un ultimo controllo, gli occhi attratti da una coppia di anelli metallici che serravano una valvola di pressione sulla console dell’alimentatore. Gli anelli non avevano alcuno scopo di essere lì se non quello di donare al pannello un aspetto più pulito ed ordinato. Ahsoka li svitò e se li infilò in tasca senza pensarci su più di tanto. Fatto questo, si mise la borsa in spalla e scese dalla rampa.
Sceda a terra si accorse che Raada avesse un odore caratteristico, anche se non particolarmente sgradevole. C’era della vita sulla superficie della luna di cui il computer non aveva tenuto conto: verde ed in crescita. Ahsoka poté percepirla senza alcuno sforzo e fece un respiro profondo. Dopo un anno a viaggiare nello spazio o di polvere di Thabeska, quello era stato un cambiamento positivo. Forse se si fosse messa a meditare qui, sarebbe riuscita a comprendere chi le stesse dando la caccia sin dall’Ordine 66.
C’era qualche altra persona allo spazioporto, a caricare delle casse su di una grande nave da carico, ma ignorarono completamente Ahsoka mentre lei si faceva strada davanti a loro. Se ci fosse qualcuno da dover pagare per il posto, lei non lo trovò, quindi decise di preoccuparsene più tardi. Un posto come Raada probabilmente neanche ce lo aveva un governo, così come Thabeska o lo spazio controllato dagli Hutt, ma Ahsoka era in grado di gestire dei teppistelli locali che avrebbero potuto pensare che fosse una facile preda. Quello di cui aveva bisogno era un posto dove stare, e sapeva da dove voleva iniziare a cercare.
Raada aveva un solo ed importante insediamento, e Ahsoka non pensava che fosse poi tanto differente da una città.
Secondo gli standard di Coruscant, quel posto era praticamente inesistente, e anche i Fardis avrebbero storto il naso a vederlo. Non c’erano case alte, niente autostrade sui tetti, e vi era un solo mercato vicino ai fatiscenti edifici amministrativi nel centro cittadino. Ahsoka andò dritta verso la periferia, dove sperava ci potesse essere qualche casa abbandonata che potesse prendere in prestito. In caso contrario, avrebbe dovuto cominciare a cercare anche fuori città.
Mentre camminava, Ahsoka prese atto del nuovo ambiente. Anche se le architetture erano monotona e prettamente dei prefabbricati, c’erano degli elementi decorativi che personalizzavano ogni struttura. In quella zona non ci vivevano dei lavoratori temporanei: c’erano persone che erano lì per rimanere su Raada. Inoltre, a giudicare dai vari stili, Ahsoka capì che le persone che vivevano lì provenissero da tutto l’Orlo Esterno. Questo rendeva quella luna un posto ancora migliore in cui nascondersi per lei, dato che le sue caratteristiche da Togruta sarebbero stati irrilevanti.
Dopo pochi isolati, Ahsoka si ritrovò in un quartiere con delle case molto piccole che sembravano essere state messe vicino a caso. La cosa le piaceva, si mise a cercarne una che fosse disabitata. La prima che trovò non aveva il tetto. La seconda era proprio accanto ad una cantina – abbastanza tranquilla nel bel mezzo della giornata, ma presumibilmente rozza e sgradevole durante la notte. La terza, ad un paio di strade più avanti, proprio ai bordi della città, sembrava promettente. Ahsoka ci si mise davanti, osservandola e riflettendo.
“Non c’è nessuno dentro,” disse qualcuno da dietro le sue spalle. Le mani di Ahsoka si serrarono sulle prese inconsistenti delle sue spade laser che oramai non c’erano più mentre si voltava.
Era una ragazza con all’incirca la stessa età di Ahsoka, ma con più rughe attorno agli occhi. Ahsoka aveva trascorso la maggior parte della sua vita su navi spaziali o nel Tempio Jedi. Quella ragazza sembrava averla passata lavorando tutto il tempo, cosa che aveva avuto delle ripercussioni sul suo fisico. I suoi occhi erano taglienti, ma non viziosi. Erano più spensierati di quelli di Maestro Windu, ma più cupi di quelli di Rex, e aveva più capelli di tutti e due messi insieme – cosa non troppo difficile – raccolti in due trecce castane combinate insieme e fissate dietro la testa.
“Come mai è abbandonata?” domandò Ahsoka.
“Cietra si è sposata, e si è trasferita,” fu la risposta. “Non c’è niente di male, se stai cercando un posto.”
“Devo comprarla?” chiese Ahsoka. Aveva alcuni crediti, ma preferiva tenerli da parte il più lungo possibile.
“Cietra non l’aveva fatto,” disse la ragazza. “Non vedo perché dovresti farlo tu.”
“Beh, allora credo che possa andare,” commentò Ahsoka. Fece una pausa, non del tutto sicura di che cosa fare poi. Non voleva infilarsi in discussioni su informazioni personali, ma si era preparata una storia decente, nel caso qualcuno le avesse fatto domande.
“Mi chiamo Kaeden,” disse la ragazza. “Kaeden Larte. Sei qui per il raccolto? È per questo che la maggioranza delle persone viene qui.”
“No,” disse Ahsoka. “Non mi intendo molto di coltura. Sto solo cercando un posto tranquillo per aprire un negozio.” Kaeden le lanciò uno sguardo penetrante, e Ahsoka si rese conto di dover fare chiarezza sulla questione, a suo malgrado. Sospirò.
“Riparo droidi e altri apparecchi meccanici,” spiegò. Non era brava quanto Anakin, ma lo era abbastanza. Lontano dal Tempio e dalla guerra, Ahsoka aveva scoperto che la galassia fosse piena di persone che erano semplicemente bravi a fare delle cose, non prodigiosi. Questo le aveva fatto cambiare modo di vedere le cose.
“Si può fare,” disse Kaeden. “Quello è tutto ciò che hai?”
“Sì.” Tagliò corto Ahsoka, nella speranza di scoraggiare ulteriori domande. Funzionò, perché Kaeden fece un passo indietro.
“Farò sapere ad un paio di persone che ti sistemerai qui quando torneranno dai campi questa sera” avvisò, prima che calasse un silenzio imbarazzante. “Domani ti troveranno un’occupazione. In qualche giorno, sarà come se non fossi mai vissuta da nessun’altra parte.”
“Ne dubito,” commentò Ahsoka, con un tono troppo basso perché Kaeden potesse sentirla. Si schiarì la gola e parlò più forte. “D’accordo.”
“Benvenuta a Raada,” il tono di Kaeden era beffardo, fece un sorriso forzato, ma Ahsoka le sorrise in risposta.
“Grazie,” rispose.
Kaeden tornò per la sua strada, trascinando la gamba sinistra mentre andava. La zoppia non era pronunciata, ma Ahsoka riuscì a capire che l’infortunio doveva essere doloroso. Significava che le cure mediche di Raada erano costose, o inaccessibili. Scosse la testa e si chinò per varcare la porta della sua nuova casa.
Cietra, chiunque fosse, non era di certo una malata di pulito. Ahsoka si aspettava che ci potesse essere della muffa da qualche parte, dato lo stato abbandonato della casa, ma vi trovò solamente della polvere. I pavimenti e il tavolo ne erano completamente ricoperti, e la fecero preoccupare per quale potesse essere lo stato del letto. Ahsoka passò un dito attraverso la superficie del tavolo e scoprì che la polvere era mischiata ad un qualche tipo di grasso per motore, che aveva reso il tutto appiccicoso.
“Questo è il genere di cose a cui l’addestramento Jedi non ti prepara,” rifletté, mordendosi la lingua. Anche se si trovava da sola, non avrebbe dovuto dire quella parola. Suonava come un tradimento, come se cercasse di negare da dove venisse, ma non era sicura di potersi permettere di lasciarsela sfuggire in pubblico.
Ahsoka trovò un armadietto con dentro un macchinino per le pulizie e lo mise al lavoro. Fu un lavoro facile, seppur noioso, e stranamente soddisfacente vedendo lo sporco scomparire. Certo, non era come avere un droide per le pulizie, ma il risultato fu comunque buono. Mentre questo ronzava in giro per casa, Ahsoka poté cercare il posto migliore nella casa in cui nascondere le sue cose.
Il pannello sotto la doccia si rivelò nascondere un vano abbastanza grande per la sua scorta di crediti. Tutto il resto andò sotto il letto, una volta terminata la disinfestazione. Poi si sedette a gambe incrociate sopra al materasso e ascoltò mentre il pulitore girava per la stanza. Il suo ronzio le ricordò quello delle sfere di formazione che utilizzava quando era piccola. Chiuse gli occhi e sentì che il suo corpo stesso era pronto a ricevere un viticcio di energia, anche se era piuttosto sicura di averlo sistemato abbastanza bene da evitare che potesse succedere.
Da lì, era facile concentrarsi e meditare. Per un attimo di esitazione, temette che cosa avrebbe potuto vedere – o non vedere – dalla purga dei Jedi, ma poi si lasciò andare. La meditazione era una delle cose che le mancava di più, e una delle poche che poteva fare senza temere di venire catturata, anche se qualcuno l’avesse vista farlo.
Avvertiva la forza in modo diverso ora, e Ahsoka non era sicura di quanto quella differenza dipendesse da lei. Allontanandosi dal tempio, dai Jedi, aveva rifiutato il suo diritto di interagire con la Forza – o perlomeno era quello che finiva per dirsi a volte. Sapeva che fosse una bugia. La Forza era sempre stata parte di lei, e anche se lei fosse stata addestrata o meno, sarebbe stato lo stesso parte di tutto. Non poteva rimuovere le sue parti sensibili ad essa, non più di quanto avrebbe potuto respirare dove non vi era ossigeno. La sua autorità era scomparsa; il suo potere era rimasto.
Ma c’era dell’oscurità nelle sue meditazioni ora, cosa che non le piaceva. Era come se un velo scuro si fosse avvolto attorno alle sue percezioni, impedendo la sua visione. Sapeva che ci fosse qualcosa che doveva comprendere, ma era difficile, e non era neppure del tutto sicura di volerlo sapere. La presenza familiare di Anakin era sparita. Ahsoka non lo percepiva più, così come era stato con tutti gli altri. Anche il suo senso di Jedi come un’unica cosa era scomparso, e non era stata in grado di comprendere come fosse possibile. Sentiva di aver perso qualcosa, come se avesse perduto un arto.
Il pulitore sbatté contro il letto per un paio di volte, rifiutandosi ostinatamente di cambiare percorso. Ahsoka si chinò per sistemarlo nella direzione opposta. Lo osservò per qualche istante prima di ritirarsi nella sua meditazione, questa volta non così lontano. Voleva trovare un senso a Raada, e quello era il momento per farlo.
La luna si stese intorno a lei. Era di fronte al centro della città, praticamente di fronte a dove era seduta ora. C’erano dei campi, per lo più con piantagioni come aveva detto Kaeden, pronti per la semina della stagione successiva. C’era un pietra, delle colline rocciose e delle grotte nelle quali non avrebbe potuto crescere niente di utile. C’erano dei grossi animali, anche se non capiva per quale motivo si trovassero lì – se per il lavoro, o per del cibo. C’erano anche degli stivali, decine di calzari, che stavano camminando verso di lei.
Ahsoka si scosse dal suo stato di trance e scoprì che il pulitore era finito contro lo sportello della doccia. Si alzò per spegnerlo, e un nuovo rumore raggiunse le sue orecchie: parlate, risate, lo scalpiccio. I suoi nuovi vicini erano tornati a casa dalla loro giornata di lavoro nei campi.



 
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– CAPITOLO 03 –



KAEDEN SÌ PRESENTÒ sulla soglia di casa di Ahsoka il mattino seguente con due razioni e un –
“E quello cos’è?” domandò Ahsoka, fissando i rottami che Kaeden teneva sotto il braccio. “Il tuo primo paziente, se sei interessata,” rispose Kaeden allegramente.
“Non posso risolvere il problema se non ne conosco le mansioni effettive,” protestò Ahsoka, ma tese comunque le mani per ricevere l’oggetto.
Kaeden lo prese come un invito ad entrare. Depose i pezzi rotti nelle mani di Ahsoka e poi si sedette sopra al letto, posando le razioni accanto a sé.
“È la trebbiatrice con cui ho combattuto, perdendo,” spiegò Kaeden. Se si sentisse strana a sedersi dove aveva dormito Ahsoka, non ne diede alcun senso. Ma comunque, quel letto era uno dei pochi mobili della casa, assieme al tavolino.
Ahsoka lasciò i pezzi sul tavolo e si sedette sul pavimento per osservarli più da vicino. Suppose che il congegno potesse essere effettivamente stata una trebbiatrice. Ma poteva benissimo anche essere un droide protocollare, per tutto il caos che si era creato.
“Non voglio proprio vedere che cosa saresti in grado di fare se dovessi vincere,” commentò Ahsoka.
“Non è stata colpa mia,” disse Kaeden come se lo avesse già ripetuto diverse volte. “Un momento prima stavamo facendo ognuno il proprio lavoro, e un attimo dopo… un disastro totale.”
“Come va la gamba?” chiese Ahsoka. Le sue dita si muovevano lungo il tavolo, cercando di mettere ordine tra i pezzi per cercare di capire che cosa si potesse salvare.
“Abbastanza bene per poter tornare a lavorare domani,” rispose Kaeden. “Otterrò un bonus dal raccolto, in particolare se non dovrò pagare per la riparazione della trebbiatrice.”
Ahsoka le lanciò un’occhiataccia.
“Ti ripagherò, voglio dire,” si affrettò a dire Kaeden. “A partire dalla colazione. Continua a lavorarci.”
Lanciò ad Ahsoka una razione. Ahsoka non riconobbe l’etichetta, ma sapeva che non fosse di provenienza Imperiale, né Repubblicana.
“Casa dolce casa,” commentò Kaeden, aprendo la sua confezione. “Non c’è molto senso nel vivere su un pianeta agricolo se devi importare il cibo. Questi rendono solamente più facile per tenere traccia della provenienza delle cose.”
“Immagino abbia senso,” rifletté Ahsoka. Aprì la sua razione e ne annusò il contenuto. Aveva sicuramente mangiato di peggio.
“Comunque, puoi riparare la mia mietitrebbia?” chiede Kaeden.
“Perché non mi dici cos’ha che non va, in moto tale che riesca a capire che cosa posso fare?” ribatté Ahsoka.
Si voltò di nuovo verso il tavolo e continuò a spostare i componenti meccanici lungo la sua superficie mentre Kaeden le raccontava dell’incidente. Il modo in cui parlava ricordò ad Ahsoka il modo in cui i cloni erano soliti raccontare storielle sulla guerra. A suo dire, la trebbiatrice aveva improvvisamente sviluppato una coscienza propria e Kaeden si era sentita in dovere di fermarla dal conquistare l’intera galassia.
“E alla fine ha smesso di muoversi,” disse Kaeden, tagliando corto, “mia sorella mi ha fatto notare che stavo sanguinando. Le ho detto che era giusto così, dal momento che anche la trebbiatrice stava perdendo olio, però poi si è rivelato essere più grave di quel che pensassi. Mi sono svegliata con questo medico che mi bendava e quella stupida macchina accanto alla mia branda.”
Ahsoka rise, sorprendendo anche sé stessa, e sollevò un pezzo ricurvo che una volta era stato il sistema di raffreddamento della macchina.
“Ecco qual è stato il problema,” constatò. “Beh, voglio dire, parte del problema. Se si può sostituire questo, posso ricostruirla.”
“Sostituirlo?” il sorriso di Kaeden scomparve. “Non pensi di poter riuscire a raddrizzarlo in un qualche modo?”
Ahsoka abbassò lo sguardo. Quel posto non era come il tempo, né tanto meno come le battaglie sul campo a cui era abituata. Non c’erano pezzi di ricambio a cui attingere facilmente e senza costi. La sostituzione completa doveva essere solo l’ultima risorsa.
“Posso provare,” disse. “Ma adesso dimmi, come funzionano le cose da queste parti?”
La notte precedente, Kaeden non era stata curiosa di sapere le ragioni per cui Ahsoka fosse giunta a Raada. Mentre la ragazza chiacchierava sui turni di lavoro e i cicli delle colture, Ahsoka si rese conto di non aver bisogno di una vera motivazione. Da come l’aveva descritta Kaeden, Raada era un buon posto per condurre una vita tranquilla: duro lavoro, cibo in abbondanza, tanto da essere praticamente autosufficiente. Nessuno faceva mai troppe domande, e fintanto che si adempiva alla propria parte, la propria presenza era quasi insignificante. Ahsoka Tano non ci sarebbe vissuta molto bene lì, ma Ashla sì.
Ahsoka cercò qualcosa con cui battere il metallo. Se voleva sistemare le cose in maniera professionale, le sarebbe convenuto investire nel comprare della strumentazione appropriata. Contò mentalmente i suoi crediti e cercò di capire quando ne avrebbe potuti spendere in vista dell’ignoto futuro. Avrebbe dovuto comunque utilizzarli prima o poi, e la strumentazione avrebbe contribuito a rendere più realistica la sua storia di copertura.
Finì per dover usare il tacco del suo stivale e di martellare il pezzo sul pavimento per evitare di rompere il tavolo. Quando ebbe finito non aveva fatto un lavoro grandioso, ma sarebbe andato bene lo stesso. Sistemò il pezzo al suo posto e ricomposte la trebbiatrice.
“Ho lasciato la mia nave allo spazioporto,” disse Ahsoka. “Devo registrarla da qualche parte?”
“No,” rispose Kaeden. “Basta che ti assicuri di serrarla bene. Ci gira qualche mascalzone da queste parti.”
Intendeva dire ‘ladri’, Ahsoka lo capì. Nessun posto era perfetto. “È per questo che ho lasciato la mia attrezzatura a bordo,” mentì. “È molto più sicuro che portarla in questa casa.”
“Possiamo aiutarti a questo riguardo,” propose Kaeden. “Io e mia sorella, voglio dire. Lei è brava a creare serrature, e io sono brava a convincere la gente a lasciarci in pace.”
“Nei momenti in cui non sei occupata a combattere contro le macchine, suppongo?” commentò Ahsoka.
“Molte persone qui perdono le braccia e le gambe quando le cose si mettono male,” disse Kaeden a sua difesa. “Io sono un sacco brava.”
Kaeden scivolò giù dal letto e si avvicinò per dare un’occhiata a quello che stava facendo Ahsoka. Canticchiò con approvazione ed indicò alcuni dei pezzi rimasti sul tavolo.
“A che servono quelli?” domandò.
“Non ne ho idea,” rispose Ahsoka. “Ma non sembrano avere un qualche ruolo nella macchina, quindi li ho lasciati da parte. Credo che possa andare, una volta che sarà ricaricata.”
“Lo farò una volta che avrò ri-agganciato la lama,” disse Kaeden.
Premette un interruttore e i repulsori si azionarono, sollevando la trebbiatrice dal tavolo all’altezza di un metro. Poi si spense, altrettanto velocemente.
“Eccellente,” commentò. “Proverò lo sterzo e le altre funzioni fuori, ma i repulsori erano la parte che più mi preoccupavano. Non serve a molto se non può volare.”
Ahsoka non era sicura che fosse la cosa più importante, ma dal momento che non ne era un’esperta, lasciò stare.
“Non c’è di ché,” disse. Prese il cibo rimanente nella confezione della razione e lo mangiò. Kaeden rimase lì ad osservarla.
“Ti ho pagata in cibo, dunque?” chiese la ragazza. “Voglio dire, il cibo è un buon inizio, e più tardi potremo concordarci per altri lavori.”
“Si possono scambiare delle razioni con degli attrezzi?” domandò Ahsoka.
“No,” rispose Kaeden. “Voglio dire, le razioni di cibo non valgono molto per quelli di noi che sono qui da molto.”
Ahsoka considerò le sue opzioni. Non aveva avuto il tempo di fare un inventario completo della nave, ed era possibile che ci fossero degli strumenti di cui avrebbe potuto avere bisogno. E lei aveva bisogno di mangiare.
“Solo per questa volta,” disse, sperando di non sembrare troppo insistente. La prossima volta negozieremo prima che io ripari qualcosa.“
Kaeden picchiettò sopra la trebbiatrice e sorrise. Sembrava ancora un po’ guardinga, cosa che andava bene ad Ahsoka. Dopo tutto, non stava cercando di stringere amicizia, in particolare non amicizie con persone che si sarebbero sedute a proprio agio sopra al suo letto. Quel genere di cose rivelava un livello di intimità nella maggior parte delle culture. Il Tempio Jedi non era un luogo in cui queste cose venivano incoraggiate, e Ahsoka non era abbastanza motivata da andare contro quelle regole anche se qualcuno lo aveva fatto di tanto in tanto in passato.
“Ho lasciato la cassa qui fuori,” disse Kaeden. “Puoi venire a prenderla.”
Ahsoka la seguì fuori dalla porta e vide il compenso promesso – cibo a sufficienza per un mese, probabilmente, e forse anche di più se ci sarebbe stata attenta. Chiaramente, la penuria non era un problema. Trascinò la cassa all’interno mentre Kaeden si incamminava verso il fondo della strada, zoppicando in modo molto meno evidente rispetto al giorno prima.
Nuovamente sola, Ahsoka pose la cassa sul tavolo, e combatté contro l’impulso infantile di fare il tutto con la forza della mente, invece che con le sole braccia. La Forza non doveva essere utilizzata con tanta leggerezza, e spostare le scatole non era considerabile un vero e proprio allenamento. Doveva concentrarsi su qualcos’altro.
Utilizzare la Forza era una sua naturale estensione. Non usarla per tanto tempo era strano. Avrebbe dovuto praticare, e praticarla con un’appropriata meditazione, o un giorno, quando ne avrebbe avuto bisogno, le sue abilità avrebbero potuto non risponderle in tempo. Era stata fortunata a riuscire a scampare all’Ordine 66, e la sua fuga non era avvenuta senza terribili perdite. Gli altri Jedi, quelli che erano morti, non erano stati in grado di salvarsi, per quanto potessero essere potenti o saggi.
Sentì una familiare morsa alla gola, lo stesso dolore che provava ogni volta che ricordava quello che era successo ai cloni. Quanti suoi amici erano stati abbattuti dagli stessi uomini che li avevano serviti per anni? Quanti apprendisti erano stati uccisi dagli stessi volti che poco prima avevano espresso loro fiducia? E come si erano sentiti i cloni dopo averlo fatto? Lei sapeva che il tempio era stato distrutto; che aveva ricevuto l’avvertimento di non tornare. Ma non sapeva dove potessero essere stati i suoi amici durante quel disastro. Sapeva solo di non essere riuscita a trovarli in seguito, di non aver più sentito la loro presenza, come se avessero cessato di esistere.
Ahsoka si sentì crollare in una spirale di dolore e allungò la mano per cercare di afferrare qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse ricordarle la luce. Vi trovò i verdi campi di Raada, i campi che non aveva ancora nemmeno visto con i propri occhi. Per qualche istante, si concesse di perdersi nel ritmo di crescita delle piantagioni, le quali necessitavano solamente di sole e acqua per poter vivere. Quella semplicità fu incoraggiante, anche se in quel momento non riuscì a ricordare esattamente che cosa le avesse detto il Maestro Yoda riguardo alle piante e alla Forza.
I pezzi in più della trebbiatrice di Kaeden erano ancora sopra al suo tavolo. Ahsoka si chinò per raccoglierli, soppesandoli distrattamente prima di infilarseli in tasca. Lì, tintinnarono contro gli anelli della console della nave che aveva tolto il giorno prima. Se avesse continuato ad accumulare così tanta tecnologia, avrebbe presto avuto bisogno di delle tasche più grandi.
Pensare a quello di cui aveva bisogno le fece ricordare che avrebbe davvero dovuto controllare la nave per cercare degli attrezzi e altre cose utili. Si guardò intorno frettolosamente: la cassa era sul tavolo, il pannello della doccia in cui aveva inserito i suoi crediti sembrava sicuro. E non sembrava che ci fossero ladri nelle vicinanze, ma Ahsoka si sentì a disagio mentre si richiudeva la porta alle spalle.
“Spero che Kaeden abbia bisogno di far riparare qualcos’altro al più presto,” disse a bassa voce, come se stesse parlando con un inesistente R2-D2. “Mi sentirei meglio se avessi qualche serratura.”
Uno dei problemi con il passare un sacco di tempo con un droide astromeccanico era quello che si tendeva a continuare a parlargli nonostante non vi fosse più lì per sentire.
Ahsoka camminò lungo la strada verso il centro della città, e poi verso lo spazioporto. Prestò maggiore attenzione a ciò che la circondava questa volta, notando delle piccole bancarelle arroccate sui limiti, in attesa di clienti. La maggior parte di loro vendeva gli stessi prodotti, articoli di cui Ahsoka non aveva bisogno. Le case più grandi nel centro della città non sembravano più intimidatorie, ora che Ahsoka aveva un posto tutto suo in cui potersi rifugiare. Due posti, se contava la nave, la quale era ancora posteggiata nello spazioporto, esattamente dove l’aveva lasciata. Aprì il portellone ed entrò.
Avrebbe attirato troppo l’attenzione se avesse sorvolato le colline limitrofe alla sua casa. Se voleva scoprire delle grotte, avrebbe dovuto farsi una bella scarpinata. La casa e la nave erano un buon inizio, ma sarebbe stato bello avere un altro posto in cui rifugiarsi in caso di emergenza.
“Cibo, attrezzi ed un posto sicuro in cui correre,” calcolò ad alta voce. Avrebbe dovuto davvero fare qualcosa per smettere. Le mancava davvero R2-D2.
Non era proprio come avere un piano, ma era sempre meglio di niente.


 
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– CAPITOLO 04 –



KAEDEN NON TORNÒ il giorno successivo, cosa che Ahsoka recepì come il segno che fosse tornata al suo lavoro. Alla luce del giorno, l’insediamento di Raada era quasi deserto. Quasi tutti gli abitanti di quella luna lavoravano nei campi. Coloro che non lo facevano – venditori di cibo e mestieri simili – seguivano solitamente i lavoratori nei campi fuori città al mattino presto. Aveva senso andare lì dove si poteva trovare del denaro, dopo tutto.
Questo significava che Ahsoka avrebbe potuto avere qualche giorno di tempo da dedicare a sé stessa, o almeno fino a quando Kaeden non avesse mantenuto la promessa portandole qualche cosa da aggiustare e del lavoro da fare. Quando quella quiete divenne fin troppo da sopportare, Ahsoka nascose la sua razione nella sua borsa, riempì la borraccia di acqua, e si diresse verso le colline.
Faceva abbastanza caldo che non ebbe bisogno di portarsi appresso il suo mantello, anche se sapeva che, quando sarebbe sceso il sole, il caldo sarebbe defluito rapidamente. Ahsoka era abituata al mutare della temperatura. Quando era ancora Padawan, raramente conosceva la tipologia di pianeta su cui doveva andare, e quello fu un buon allenamento per imparare ad adattarsi velocemente. Almenono non sembrava che sulla luna potesse venire così tanto freddo da dover aver bisogno di una giacca.
Non sembrava che ci fosse molta fauna selvatica su Raada. Ahsoka scorse solo qualche piccolo stormo di uccelli raggruppati intorno alle fonti di acqua.
Dovevano esserci stati degli impollinatori di qualche tipo, ma per quanto riguardava cose grosse – predatori o creature valide come selvaggina – Raada non offriva molta varietà.
Quel posto avrebbe sicuramente fatto distrarre Anakin, a meno che non fosse riuscito in un qualche modo una gara di sgusci. Non vi era alcun tipo di tecnologia da poter usare, niente di pericoloso da cui dover proteggere gli abitanti – solo casa e lavoro, lavoro e casa. Per lui non sarebbe stato niente di che, ma Ahsoka conosceva abbastanza il suo maestro da sapere che era cresciuto su Tatooine. Maestro Obi-Wan avrebbe detto che Raada sarebbe stato un buon posto dove rilassarsi e sarebbe in un qualche modo finito per scontrarsi con una ciurma di pirati, o un gruppo di contrabbandieri o in una cospirazione di Sith. Ahsoka – Ashla – sperava di trovarvi una via di mezzo: casa e lavoro, e un poco di entusiasmo sufficiente ad impedirle di finire per dover scalare dei muri.
Nel frattempo, era riuscita a risalire le colline. Ahsoka aveva ormai abbandonato le pianure per camminare sulle creste delle alture, tutte coperte di rocce ed erbe che nascondevano sentieri scivolosi, cavità e grotte. Anche se un’insediamento sarebbe stato indifendibile, l’area circostante sarebbe stata più che sufficiente a mettere in scena una rivolta, se si fosse rivelato necessario. C’erano dei buoni punti di osservazione sullo spazioporto, e le grotte avrebbero fornito una buona copertura da un attacco aereo. L’unico problema era l’acqua, ma se i contadini erano muniti di tecnologia come le trebbiatrici portatili, dovevano disporre anche di fonti di acqua potabile. Ahsoka si fermò su uno dei colli e scosse la testa mestamente. Non riusciva a smettere di pensare in modo tattico. I cloni – prima che avessero tentato di ucciderla – avrebbero detto sarebbe stata una buona cosa. Anakin sarebbe stato d’accordo con loro. Ma Ahsoka continuava a ricordare, vagamente, l’addestramento Jedi prima della guerra. Non si erano concentrati molto sulla tattica, e Ahsoka era ancora interessata a quello che stava imparando. Sicuramente, ora non aveva più nulla per cui combattere, qualcosa per cui voler tornare indietro.
“Non finché non sei al sicuro,” sussurrò. “Non finché non saprai per certo di essere al sicuro.” Anche mentre diceva quelle parole, sapeva che le cose non sarebbero mai più potute tornare come prima. Non sarebbe mai più potuta essere al sicuro. Sarebbe dovuta rimanere pronta a combattere. Immaginò che l’Impero non avrebbe fatto capolino a Raada molto presto, perché non vi era nulla su quella luna di cui potesse avere bisogno, ma sapeva come ragionava Palpatine. Anche quando era il Cancelliere, gli piaceva controllare. Come imperatore, come Signore dei Sith, sarebbe stato ancora più autocrate. Con gente come il Governatore Tarkin ad aiutarlo, ogni parte della galassia poteva essere raggiunta dalle mani dell’Impero.
Ma Raada era ancora sicura per ora, almeno. Ahsoka aveva abbandonato la collina per avventurarsi in una delle grotte. Era contenta di scoprire che fosse abbastanza asciutta per poterci conservare del cibo se ne avesse avuto bisogno, ed era anche abbastanza alta per poterci stare dentro in piedi senza che le punte delle sue montral sbattessero contro il soffitto. Non sarebbe voluta vivere permanentemente lì, ma con qualche tocco casalingo non sarebbe stato poi così male.
Verso il fondo della grotta vi era un basso ripiano naturale dove la roccia si apriva su una superficie piana. Parte della piattaforma si era incrinata ed era caduta sulla pavimentazione della caverna. Ahsoka lo raccolse, osservando il punto esatto in cui si era spezzato, sistemandolo contro il piano solido lasciando vedere solo una crepa sottile. Ahsoka prese il frammento di roccia e cercò nelle sue tasche tra i pezzi di metallo che si era procurata. Li posò, sotto alla roccia spezzata sarebbero andati bene, e rimise la lastra nuovamente al suo posto. Sembrava andare bene.
Non era proprio un nascondiglio perfetto, ma Ahsoka non aveva molto altro da nascondervi. Era comunque promettente, una possibilità, così come il giudicare il valore tattico dell’insediamento sulle colline circostanti. Se fosse stato necessario, avrebbe sempre potuto scavare nella roccia più in profondità e creare altro spazio.
Ahsoka si alzò in piedi, lasciando i pezzi di metallo sotto la pietra. Sarebbe potuta tornare a prenderli, se ne avesse avuto bisogno. Sospettava che questa non sarebbe l’unica grotta che avrebbe dovuto organizzare, ma sarebbe stata quella su cui si sarebbe concentrata. Era la più vicina all’insediamento, la prima che avrebbe potuto raggiungere in caso di attacco.
Sì, sarebbe potuta essere un inizio.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

La trebbiatrice riparata di Kaeden stava svolgendo un ottimo lavoro. Una volta che l’aveva rifornita di carburante e aggiunto altro liquido refrigerante, il marchingegno funzionò anche meglio di quanto avesse mai fatto. Questo non era passato inosservato.
“Ehy, Larte,” disse Tibbola durante la pausa pranzo. “Dove l’hai presa quella? Sembra la tua vecchia bestiaccia, ma agisce come una nuova.”
Tibbola era uno degli agricoltori più anziani, celibe e prepotente quando era ubriaco. Kaeden cercava di evitarlo il più possibile, ma l’uomo aveva un occhio acuto per le modifiche, e una trebbiatrice più rapida era più che sufficiente per catturare la sua attenzione.
“L’ho fatta aggiustare dopo l’incidente,” spiegò Kaeden.
“E da chi?”
“Sai, non ho chiesto il nome,” realizzò Kaeden. Il che era strano. Lei e la nuova arrivata Togruta avevano parlato già un bel po’ di volte, e Kaeden si era presentata. Era anche stata dentro casa sua. “Si è appena trasferita nella vecchia abitazione di Cietra.”
“Chiaramente è una che è brava a fare quello che fa,” commentò Miara, la sorella di Kaeden. La ragazza più giovane si sedette a terra accanto a lei e tese le mani per prendere la borraccia di Kaeden.
“Prendi la tua,” disse Kaeden.
“Le riempirò entrambe sulla via del ritorno,” promise Miara. Kaeden roteò gli occhi e le passò bisaccia.
Avendo quattordici anni, tre anni più giovane di Kaeden, Miara non doveva lavorare a tempo pieno, anche se ne sarebbe stata benissimo in gado, così come avrebbe potuto Kaeden a quell’età. La necessità era un’insegnante severa ed efficace, e Kaeden era un po’ amareggiata che quelle stesse pressioni l’avessero spinta nei campi fin da una giovane età, così come avevano spinto Miara poco dopo di lei, anche se la ragazza più giovane non si lamentava mai. Di conseguenza, per Kaeden era piuttosto difficile negare la sua oppressione. Fortunatamente, Miara era abbastanza saggia da non premere troppo su quel tasto dolente.
“Se è stata in grado di aggiustare quella vecchia cianfrusaglia, magari, potrei chiederle di dare un’occhiata anche alla mia di macchina.” Tibbola era povero, e la sua trebbiatrice era così mal ridotta che Kaeden non era sicura che vi fosse qualche pezzo originale nel suo apparecchio.
“Non proverai mica ad ingannarla,” lo avvertì Kaedeno. “Sembra una persona piuttosto intelligente.”
“Forse so essere più convincente di quello che sembra,” disse Tibbola con un ghigno. Si alzò e se ne andò.
“Non con un alito del genere,” commentò Miara, sghignazzando. Anche Kaeden non potè trattenersi dal ridere. “Dobbiamo avvertirla. Da dove viene?”
“Non lo ha detto,” ammise Kaeden. “Per lo più abbiamo parlato di Raada.”
“Non puoi biasimarla per l’essere cauta, se è nuova sulla luna, ed essendo da sola,” sottolineo Miara. “Hai ragione sul fatto che sia intelligente. Probabilmente vuole tastare il terreno prima di aprirsi.”
“Chi si apre?” Quattro figuri le attorniarono – il resto del loro gruppo della trebbiatura che si univa a loro per il pranzo.
“Kaeden ha stretto amicizia!” disse Miara scherzosamente.
“L’ha stretta adesso?” Vartan, il capo del loro gruppo, agitò le scure sopracciglia verso di lei. Cosa che avrebbe avuto un maggiore impatto se solo non fossero state un tutt’uno con i capelli.
“È un meccanico, più o meno,” disse Kaeden, ignorando il suo tono. Ci voleva più di un’attitutine alla meccanica per farle cambiare idea, anche se lei era riuscita a convincerla a rivalutarla. Un altro elemento a favore era stata la sua intelligenza. “Non conosco il suo nome, ma ha aggiustato la trebbiatrice facendola funzionare addirittura meglio di quando l’ho acquistata.”
“Mi era sembrato che fosse un po’ meno minacciosa,” disse Malat, rovistando nella sua scorta di cibo con le lunghe dita delicate.
“Andremo lì dopo il turno e la poteremo da Selda,” decise Miara, riferendosi alla cantina dove si recavano quasi ogni serata. Si alzò e andò a riempire le borracce.
“Che cosa facciamo se non avesse voglia di uscire?” chiese Kaeden.
“E che altro potrebbe avere da fare?” domandò Hoban. Aveva finito di mangiare e ora se ne stava sdraiato a terra con il cappello sul viso per proteggere la sua pallida pelle dal sole. “Stare a casa da sola al buio?”
“Forse le piace fare proprio quel genere di cose,” suggerì Neera, la paziente sorella gemella di Hoban.
“Se Tibbola sta per presentarsi lì da lei, dobbiamo fare in modo che incontri altre persone,” insistette Vartan. “Oppure ne resterà così sconcertata che salterà sulla prima astronave per filarsela da qui.”
Kaeden quasi non disse che la sua nuova amica aveva una nave tutta sua, ma qualcosa la fermò. Nessun nome, nessuna storia… probabilmente Kaeden non avrebbe dovuto divulgare i suoi segreti. Kaeden poteva capire benissimo. C’erano un sacco di cose che non le piaceva condividere con la sorella, per non parlare del suo gruppo, ed erano persone che conosceva da anni.
“Va bene,” disse infine. “Dopo che avremo terminato qui e dato una ripulita, andrò a chiederle se vuole uscire con noi. Ma non fatele pressione, e non tormentatela nel caso non accetti.”
“Sì, signora,” disse Vartan, salutando.
Gli altri risero, e Kaeden si unì alla risata. Il corno suonò, lei gettò la testa indietro e si lasciò cadere in bocca le ultime briciole del suo pranzo. Miara le porse una delle borracce piena di acqua e le sorrise, e poi tornarono tutti al loro lavoro.

 
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– CAPITOLO 05 –



QUELLA DI SELDA ERA UNA PICCOLA CANTINA, ma riusciva a produrre un sorprendente livello di rumore. Ahsoka fu molto felice di non aver scelto un’abitazione lì vicino, o non sarebbe mai riuscita a riposare la notte. Facevano musica dal vivo, naturalmente, ma il posto era anche pieno zeppo di persone, nessuna delle quali sembrava in grado di parlare ad un livello di voce normale.
“Andiamo!” urlò Kaeden. “Ci sediamo in un angolo da qualche parte, in modo che possiamo parlare più facilmente.”
Ahsoka aveva i suoi dubbi a riguardo. Francamente, stava ancora rimuginando sul fatto della sua decisione di uscire con Kaeden e gli altri. La ragazza si era presentata giusto dopo qualche minuto che Ahsoka aveva accettato di svolgere una piccola riparazione per un tipo davvero odioso di nome Tibbola, e l’aveva invitata ad andare del cibo vero. Ahsoka aveva provato a protestare, ma non riuscì a rifiutare, e nonostante lei e Kaeden fossero già giunte alla porta della cantina desiderò di aver fatto un po’ più di resistenza.
“Sei sicura?” chiese. “Non ci sarebbe un posto un po’ più tranquillo?”
“Cosa?” disse Kaeden.
Ahsoka ripeté le parole direttamente nell’orecchio di Kaeden. Com’era possibile che qualcuno potesse sentire qualcosa in quel posto? Come facevano ad ordinare da bere?
“No,” replicò Kaeden. “Selda ha il cibo migliore. Staremo più tranquilli sul retro.”
Ahsoka rinunciò e si limitò a seguire Kaeden attraverso la folla. La ragazza aveva le spalle larghe, e non aveva paura di usarle per aprirsi un percorso. Quando superarono la calca principale, Kaeden svoltò a sinistra e condusse Ahsoka ad un tavolo che era già occupato.
“Mia sorella, Miara,” presentò Kaeden, indicando una ragazza dalla pelle scura seduta al tavolo. A differenza di Kaeden, i cui capelli mori erano strettamente intrecciati, aveva i capelli sciolti. Erano molto, molto ricci e le circondavano la testa come fossero una soffice nuvola. Ad Ahsoka piacquero molto, anche se non aveva idea di come facesse Miara con quella zazzera quando doveva lavorare.
“Ciao!” salute Ahsoka. “Io sono Ashla.” Scivolò sul sedile accanto a Kaeden e cercò di richiamare fuori la personalità che aveva scelto per Ashla dalla parte più profonda della sua mente.
Vennero fatte altre presentazioni, e in poco tempo Ahsoka aveva stretto la mano a tutti i membri del gruppo di Kaeden. Erano tutti umanoidi tranne uno. Vartan era il più anziano, un uomo vissuto sulla quarantina. In un primo momento, Ahsoka pensò che la sua calvizia fosse un vezzo, come quello che avevano alcuni dei cloni per tenere la testa al fresco sotto i loro caschi, ma quando lo osservò più da vicino, si rese conto che non vi era la minima ricrescita. Non capiva esattamente come funzionava la cosa dei capelli, non avendone di propri, ma sapeva che gli uomini erano spesso sensibili a quel genere di cose, quindi, anche se ne era incuriosita, non fece domande a riguardo.
Malat, una donna Sullustan sulla trentina, dovette andare subito dopo le presentazioni. Lei ed il marito facevano turni diversi, quindi doveva tornare a casa a dare da mangiare ai suoi figli. Le ricordò un po’ Maestro Plo, il quale tendeva sempre a prendersi cura degli altri nonostante fosse occupato o stanco.
I gemelli, Hoban e Neera, avevano solo pochi anni in più rispetto ad Ahsoka. Avevano la pelle molto più pallida rispetto agli altri, e gli occhi azzurri. Erano anche molto schietti rispetto a Kaeden quando domandarono ad Ashla del suo passato. Ahsoka sapeva che avrebbe dovuto dire alcune informazioni durante il suo cammino, quindi disse quello che poteva.
“Sono un meccanico, o, perlomeno riesco ad aggiustare le cose,” disse.
“È un piacere conoscerti, allora,” disse Hoban. “Soprattutto se riparerai le nostre trebbiatrici così come hai fatto con quella di Kaeden.”
“Anche le vostre si sono rotte?” domandò Ahsoka.
“No,” rispose Miara, “Ma sono davvero vecchie e mal funzionanti. Quella di Kaeden adesso funziona meglio di quanto abbia mai fatto, anche meglio di quando l’ha comprata.”
“Sarei felice di darci un’occhiata,” disse Ahsoka. “Non può di certo essere peggio del mio altro ingaggio.”
Tutti guardarono Kaeden sorpresi. Lei fece una smorfia.
“Tibbola è arrivato da lei prima di me,” spiegò.
“Beh, almeno non l’ha terrorizzata,” suggerì Hoban. “E lui non viene qui a bere molto spesso.”
“Perché no?” Chiese Ahsoka. “Kaeden ha detto che questo posto è il migliore.”
Hoban e Neera si scambiarono un’occhiata, e Neera si sporse in avanti.
“Tibbola è sempre mezzo ubriaco,” disse. “È stupido. Da sobrio, riesce anche a tenere a freno la lingua, ma quando beve anche solo un goccio, comincia a trattare male le persone.”
Ahsoka lo capì. Non era abituata alle emozioni incontrollate. Aveva trascorso la maggior parte della sua vita in mezzo a gente che si sentiva coinvolto dalle situazioni, ma che riusciva comunque a tenere i propri sentimenti sotto controllo, spesso. Quello era stato uno dei motivi per cui il tradimento di Barriss Offee l’aveva colpita così nel profondo. Barriss era arrabbiata con l’Ordine Jedi e aveva cercato di ottenere la simpatia di Ahsoka, e la sua alleanza, ma l’aveva fatto per il motivo più crudele che si potesse immaginare: forzando le scelte di Ahsoka stessa. L’avere una persona che considerava amica che l’aveva usata per scatenare la sua rabbia profonda contro l’Ordine le aveva fatto cambiare ogni prospettiva nel vedere le cose. Anche se non era esattamente la stessa cosa, Ahsoka era felice di non dover avere a che fare con i borbottii fastidiosi di gente ubriaca. Non aveva fretta di mettersi contro dei bulli.
“A noi non piace molto,” disse Miara. “E nemmeno Selda, ovviamente, anche se non può cacciare sempre via un cliente, se questo paga.”
Ahsoka seguì il gesto di Miara e vide un alto Togruta in piedi dietro al bar. La sua pelle era dello stesso colorito della sua. Il suo lekku sinistro era stato tagliato all’altezza delle spalle, ma non vi era alcun tessuto cicatriziale.
“Un incidente agricolo,” spiegò Vartan. “Molto tempo fa. Possono darti protesi per mani e piedi, ma non possono fare molto nel caso ti perda i lekku.”
Selda incrociò il suo sguardo – Ahsoka sperò che non pensasse che lo stesse fissando – e annuì formalmente. Lei agitò la mano in segno di saluto e sorrise. Lui tornò a pulire i bicchieri, lasciandola riflettere su quale potesse essere la funzione di una protesi di lekku. Lui sembrava pendere verso sinistra mentre lavorava, ma non sembrava che la cosa lo ralentasse.
“Ora che ti ha vista, scommetto che otterremo un servizio migliore,” commentò Hoban.
“Idiota,” lo rimproverò la sorella, e gli diede uno scappellotto sulla nuca. La bevanda di lui si rovesciò mentre lo colpiva. “Pensi che tutti i Togruta si conoscano tra loro?”
“Certo che no,” protestò Hoban. Non cercò neppure di asciugare il disastro. “Intendevo dire che si sarà incuriosito, dal momento che è nuova.”
“Devi perdonare mio fratello,” si scusò Neera. “Non pensa mai prima di aprir bocca.”
“Sei perdonato,” disse Ahsoka.
“Io non –” fece per dire Hoban, ma poi rinunciò. “Dov’è il cibo? Sono affamato.”
Ogni cantina in cui Ahsoka era stata piena di persone di passaggio. Anche su Coruscant, i locali erano popolati da persone che erano lì in modo transitorio, pronti a partire per andare da tutt’altra parte, anche se fosse stato solo per uno spettacolo o per una festa. Era strano stare in un’enoteca in cui vi era solo gente del posto. Su Raada, era lei la straniera, ed ebbe la netta impressione che se fosse entrata lì da sola la musica e le conversazioni si sarebbero fermate subito concentrando su di lei l’attenzione di tutti. Anche in mezzo a Kaeden ei suoi amici, Ahsoka era stata puntata da diversi sguardi di sbieco mentre le persone cercavano di farsi una qualche idea su di lei.
“Si abitueranno alla tua presenza abbastanza presto,” la rassicurò Vartan. Si alzò, pronto ad andare a prendere un bis di vivande. “Volete ordinare qualcosa di speciale? Questa sera offre la casa.”
“Non essere ridicolo,” disse Miara. “Selda tiene solo una tipologia di alcolico. Facciamo un altro giro del solito, Vartan.”
La salutò con un gesto di scherno che Ahsoka trovò fastidiosamente familiare, e si allontanò. Miara e Kaeden iniziarono a discutere di qualcosa con i gemelli, e Ahsoka ascoltò solamente a metà nel mentre contemplava la cantina. Era un’abitudine quella di valutare ciò che la circondava, ma quello sembrava un buon momento per scoprire se qualcuno la stesse tenendo d’occhio. Vide per lo più gente stanca in attesa di un buon pasto caldo per terminare la giornata. Se non fosse stato per la musica, avrebbe pensato che quello fosse un commissionato o un ingresso disordinato.
“È per questo che Selda fa tenere la musica così ad alto volume,” spiegò Kaeden, quando Ahsoka le disse a che cosa stesse pensando. “Anche da dove vieni tu i posti in cui si mangia sono rumorosi?”
“Alle volte, sì.” Disse Ahsoka. “Il più delle volte si mangia e basta.”
“Ti trasferisci spesso?” domandò Kaeden con una certa simpatia. “Anche quando eri piccola?”
“No. Quando ero più piccola non lo facevo,” rispose Ahsoka. “Ma negli ultimi anni, sì.”
“I miei genitori si sono stabiliti qui quando avevo solo quattro anni, e Miara ne aveva uno,” raccontò Kaeden. “Sono morti nell’incidente che ha fatto perdere a Selda il suo lekku, ma allora avevo già quattordici anni ed ero già abbastanza grande per poter lavorare. Vartan ha appoggiato la mia causa, anche se gli altri pensavano che fossi ancora troppo giovane per poterlo fare. Poi ha assunto anche Miara. Tu hai viaggiato con i tuoi genitori?”
Quella domanda avrebbe potuto prendere Ahsoka alla sprovvista, ma non fu così. Disse solo la prima cosa che le venne in mente.
“No, non ricordo molto bene i miei genitori.”
“E quindi con chi viaggiavi?” insistette Kaeden.
“Io, ah – dottata,” balbettò Ahsoka, sperando che il rumore della cantina avesse coperto la sua esitazione. “Più o meno.” Aveva passato le sue giornate cercando di non pensare alla sua perdita, temendo che il suo dolore potesse metterla fuori gioco, ma anche solo avvicinarcisi provava di nuovo dolore come fossero cose appena successe.
Qualunque fosse stata la domanda successiva di Kaeden, furono interrotte dal ritorno di Vartan con un vassoio di bevande, e Selda dietro di lui con un cabarè pieno di cibo. Una volta che tutto fu servito, Selda si sedette accanto ad Ahsoka e si chinò in modo che solamente lei potesse sentirlo.
“Va tutto bene qui?” domandò.
“Sì,” rispose lei, sorpresa dalla sua gentilezza.
“Stanno arrivando un sacco di persone nuove, provenienti dal Nucleo, disse Selda. “Non umani.”
Ahsoka ne aveva sentito parlare. L’Impero era altamente selettivo con chi ammetteva nelle posizioni di potere. Palpatine non temeva di dover calpestare i suoi vecchi alleati, nemmeno sul suo pianeta natale.
“Non sono qui per il motivo che credi,” disse Ahsoka. Mentire diventava ogni volta più facile. “Ero solo alla ricerca di un posto tranquillo dove stare.”
La banda della cantina doveva aver iniziato a suonare una canzone popolare, perché in molti si alzarono dai tavoli e si erano messi a cantare tutti insieme al ritmo della musica. Ahsoka trasalì, e Selda rise.
“Capisco che cosa vuoi dire,” gridò sopra al rumore. “Ma se dovesse cambiare qualcosa, fammelo sapere. O parlane con Vartan. Non è di molte parole, ma è un tipo affidabile.”
Selda le diede una pacca sulla spalla, di nuovo un gesto familiare che la sorprese, per poi alzarsi e tornare verso il bancone. Ahsoka lo osservò allontanarsi. Vide le linee della sua tunica e dei suoi pantaloni scontrarsi nei punti in cui cominciavano le sue protesi. Doveva essere stato un terribile incidente.
“Che cosa voleva?” chiede Kaeden mentre Ahsoka si voltava verso il piatto davanti a lei e cominciava a mangiare. “Solo salutarmi,” rispose. “È un buon affare per lui, conoscere i suoi clienti, giusto?”
Kaeden annuì e la lasciò mangiare.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Le stelle erano l’unica fonte di luce. All’esterno, il nero dello spazio era punteggiato da stelle lontane. Jenneth Pilar credeva che fosse utile ricercare solo ciò che fosse necessario. Prima che l’Impero avesse un mediatore, per organizzare le merci e trovare acquirenti, si rivolgeva a qualsiasi tipo di commerciante o contrabbandiere che riuscisse a contattare. Ora lui gliene poteva fornire altri, altri Imperiali, e scovare profitti era uno dei suoi talenti. L’impero aveva grande richiesta per ogni tipologia di materiale primo, e Jenneth conosceva i canali giusti per accaparrarsele. Prima, doveva accordarsi con i vari venditori provenienti da ogni dova. Ora si limitava a prendersi ciò che voleva con il supporto della milizia imperiale. Continuava a pagare, e pagava molto bene, quindi non gli pesava di distruggere, considerando le sue mani pulite, e tanto meno gli importava del sangue che spargeva.
Questo nuovo incarico era una sfida per lui, e Jenneth apprezzava la cosa. L’Impero voleva accaparrarsi un pianeta che avrebbe potuto utilizzare per la produzione alimentare, con preferibilmente una piccola popolazione a cui nessuno sarebbe importato di perdere. Era stata questa seconda parte ad aver ostacolato Jenneth in un primo momento, ma dopo alcuni giorni di attenta analisi, riuscì a trovare un’adeguata soluzione. Tutto quello che doveva fare ora era trasmettere le informazioni al suo contatto Imperiale e attendere che comparissero i crediti stabiliti sul suo conto.
Era, forse, un metodo un po’ più ufficioso di quanto Jenneth avrebbe voluto, ma lavorare per l’Impero assicurava innegabili benefici. La sua posizione era molto più stabile di quanto non fosse mai stata quando lavorava da libero professionista, e finché seguiva le direttive che gli venivano date, lo lasciavano in pace. Avrebbe preferito avere un po’ più potere all’interno della gerarchi imperiale, ma era ancora nelle prime fasi del rapporto commerciale. Doveva solo pazientare.
Era nato per essere un ingranaggio di una macchina, Jenneth aveva trovato quello perfetto. Era semplice, tranquillo, terribilmente efficiente e redditizio. All’Impero non importava quello che sarebbe successo una volta ottenuto quello che voleva, e così neppure a Jenneth.
“Raada,” disse, prima di chiudere la sua mappa stellare, seduto da solo al buio. Era eccessivamente drammatico, ma amava quell’effetto. “Spero che non ci sia nulla di importante, lì.”

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Più tardi quella notte, da sola nella sua dimora, Ahsoka non riusciva a smettere di pensare a quello che aveva detto Selda. Nel fragore della cantina, era stato facile ignorare il suo avviso, ma nella quiete della sua stanza non era semplice. L’Impero era implacabile, lo sapeva, e anche incurante di portare morte e sofferenza, ma sicuramente il modo più veloce per incitare una resistenza. Il Senato era ancora attivo, e qualcuno al suo interno doveva avere il potere di protestare.
Ma non l’avrebbe fatto, realizzò Ahsoka. Dovevano essere troppo occupati a proteggere i propri pianeti. Ecco perché Kashyyyk era stata assediata e perché nessuno aveva interceduto quando alcuni degli Wookie del pianeta erano stati portati nelle varie miniere e campi di lavoro in tutta la galassia. Nessuno avrebbe potuto aiutarli. La maggior parte di loro a mala pena poteva aiutare loro stessi. Quello sarebbe stato un lavoro da Jedi, ma i Jedi non vi erano più.
Scomparsi.
I Jedi erano scomparsi. Ahsoka ci ripensava, più e più volte – ancora troppo spaventata per pronunciare quelle parole ad alta voce – fino a quando non giungeva alla conclusione finale: che i Jedi erano morti. Tutti loro. I guerrieri, gli apprendisti, i diplomati, i generali. Giovani e anziani. Gli apprendisti ed i loro maestri. Erano morti, e non vi era nulla che Ahsoka potesse fare.
Perché lei no? Aveva avuto quel pensiero un centinaio di volte dopo l’Ordine 66. Perché lei era sopravvissuta? Non era la più potente; non era nemmeno un Cavaliere Jedi, e tuttavia era ancora viva quando tanti altri erano morti. Si era posta quella domanda talmente tante volte che oramai si era data una risposta. La odiava, per quanto fosse dolorosa. Era sopravvissuta perché se ne era andata. Si era allontanata.
Si era allontanata dai Jedi e si era recata a Thabeska, ed era per questo che era viva, che lo meritasse o meno.
Si asciugò gli occhi, prese la trebbiatrice di Tibbola, e si mise al lavoro.

 
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AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 05.5 –



AHSOKA GUARDÒ GIÙ verso la desolazione, il suo cuore pietrificato all’interno del petto.
Pensò a tutti i cloni con cui aveva combattuto. Erano sempre stati ben disposti nei suoi confronti anche quando era diventata la Padawan di Anakin. Certo, era in parte merito del loro codice genetico, ma non del tutto. La rispettavano. Le davano ascolto. Le insegnavano ciò che sapevano. E quando aveva commesso degli errori, causando la morte di alcuni di loro, l’avevano perdonata, si erano posti nuovamente al suo fianco quando era stata ora di tornare a combattere. I Jedi erano scomparsi, ma quello che era accaduto ai cloni era quasi peggiore. Le loro identità, le loro volontà, rimosse con un semplice comando vocale per l’attivazione di un chip. Se non lo avesse visto con i suoi stessi occhi, non avrebbe mai creduto che potesse essere possibile.
Si sentiva completamente sola nella Forza, tranne per l’oscurità portata dal nulla che la attanagliava ogni volta che cercava di mettersi in contatto con Anakin o chiunque altro degli altri. Più di ogni altra cosa, avrebbe voluto che comparisse una navetta, che Anakin fosse sulle sue tracce o che qualcuno degli altri Jedi la trovasse. Avrebbe voluto sapere dove fossero, se fossero al sicuro, ma non vi era modo di farlo senza compromettere la propria posizione. Tutto quello che poteva fare era quello che alla fin fine aveva deciso di fare: tenere un profilo basso.
Sarebbe dovuta essere al Tempio. Avrebbe dovuto essere al fianco di Anakin. Avrebbe dovuto aiutare. Invece, era su Mandalore, quasi totalmente sola, circondata da cloni e dai fuochi incrociati dei blaster. Maul era scappato, ovviamente. Aveva avuto l’opportunità di ucciderlo, ma aveva scelto di salvare Rex. Non era pentita della sua scelta, non poteva farlo, ma i disastri che avrebbe potuto causare Maul a piede libero per la galassia senza Jedi a proteggerla la logorava.
Era giunta alla lapide. Era tutto un falso, dal nome riportato al nome della persona che l’aveva ucciso. Nonostante ciò, sembrava tutto così reale. E non si poteva neppure sapere quanti cloni fossero morti, soprattutto se erano stati sepolti in posti casuali e senza le loro armature.
Ahsoka strinse le spade laser tra le mani, la sua ultima connessione fisica ai Jedi e al suo servizio durante la Guerra dei Cloni. Era difficile rinunciarvi, anche se sapeva che doveva farlo. Era l’unico modo per far sembrare vera la falsa sepoltura, e farle guadagnare un po’ di sicurezza, in modo che chi l’avrebbe trovata la potesse credere morta.
Ma era stato Anakin a dargliele. Si era allontanata dal Tempio dei Jedi priva di tutto se non dei suoi vestiti e aveva cercato di trovare un nuovo posto nella galassia. Quando aveva trovato uno scopo, quando aveva contattato il suo vecchio maestro per chiedergli aiuto, lui l’aveva raggiunta e le aveva riconsegnato le sue armi Jedi per occuparsi del lavoro. Aveva accettato il suo ritorno, e sentiva il lasciare le saber lì come un secondo fallimento.
Le azionò e si disse che era il loro bagliore incandescente e verde nel buio della notte a farle lacrimare gli occhi. Quanti Jedi erano stati sepolti assieme alle loro spade laser quel giorno? E quanti non erano stati sepolti assieme agli altri, ma lasciati a marcire in mezzo alla spazzatura, le armi rubate come trofei? Gli apprendisti, avevano saputo che cosa avrebbero dovuto fare? A chi avrebbero chiesto insegnamenti se tutti se ne erano andati? Certo, avranno avuto un po’ di pietà per –
Cadde in ginocchio, esaurendo le energie, e piantando l’elsa di entrambe le sue armi nel terreno appena smosso.
Si rimise velocemente in piedi e resistette alla tentazione di richiamare le spade laser nuovamente nelle sue mani. Dovevano rimanere lì, a commemorarla come se fosse stata uccisa, un trofeo da trovare per gli Imperiali.
Stavano arrivando. Ahsoka lo sentiva nelle ossa. Aveva una navetta, senza traccia e ben costruita. Rex se ne era già andato, la sua morte fittizia era inscritta sul marcatore di fronte a lei e anche la notizia della sua morte per mano sua era stata diffusa. Quando avevano scavato la fossa, avevano deciso di separarsi e dirigersi verso l’Orlo Esterno. Lì era più confusionario, ma era il tipo di confusione ideale per una persona che voleva scomparire. Il caos sui monti dell’Orlo Interno era stato provocato dalla nuova pace di Palpatine, e se Ahsoka avesse cercato di nascondersi lì, sarebbe stata solo una questione di tempo prima che la trovasse.
Poggiò una mano sulla lapide e si concesse un attimo in più per pensare alla persona che vi era stata sepolta. Pensò al suo maestro, che non riusciva più ad avvertire, e agli altri Jedi. Si fermò a ricercare Anakin attraverso la connessione che condividevano. Si fermò al ricordo dei cloni, quelli vivi e quelli morti.
Si voltò e si diresse alla sua nave. Si chiese che cosa avrebbe potuto dire una volta raggiunto un nuovo pianeta nel caso qualcuno nel avesse chiesto chi fosse. Sapeva che il suo nome doveva essere su una lista di presunti criminali. Non poteva più utilizzarlo con tranquillità. Non poteva dire di essere un Jedi, non che avrebbe mai più potuto dirlo senza sentirsi pesare la coscienza. Aveva rinunciato a tale diritto. Ora ne stava pagando il prezzo, doppiamente, per il suo abbandono. Almeno sapeva che cosa fare una volta seduta alla postazione del pilota.
La nave ronzò tutt’intorno a lei, lasciandola concentrare sulle cose che sapeva per certo: che era Ahsoka Tano, perlomeno ancora per un po’, e che era ora di andare.


 
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AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 06 –



DOPO QUELLA PRIMA SERATA al locale di Selda, Ahsoka continuò a vivere la sua vita su Raada senza incidenti. Era stata accettata da Kaeden e, cosa più importante, Selda aveva fatto in modo che anche tutti gli altri la trattassero come se fosse vissuta lì da sempre. I contadini le portavano i macchinari rotti da aggiustare e altri pezzi da sistemare, e gli altri venditori ei negozianti si comportavano come se fosse una di loro. Nei pianeti del Nucleo Interno, Ahsoka aveva notato corporazioni e organizzazioni criminali che proteggevano i loro membri, ma qui era diverso. Non vi era paura e manipolazione – eccetto nel caso di Tibbola, che non piaceva molto alle persone. Ma almeno pagava in tempo e si impegnava nel suo lavoro. Sapeva anche essere gentile in un certo senso – quando non era terribilmente fastidioso.
“È un favore ai famigliari,” disse Miara. Si era fermata per installare una serratura alla porta di Ahsoka.
“Ma non siamo famigliari,” protestò Ahsoka.
Miara la guardò, l’espressione sul suo viso sembrò quasi amareggiata. Ahsoka aveva visto delle famiglie prima. Ne aveva salvata addirittura qualcuna. Ma era da tempo che non ne aveva una. Non era il modus operandi dei Jedi. Aveva amato il suo pianeta natale, ma era stato davvero molto tempo prima, e tutto quello che riusciva a ricordare era la sensazione che le faceva provare.
“Ci sono due tipologie diverse di famiglia,” spiegò Miara dopo un breve istante. “C’è il tipo come la mia e quella di Kaeden, dove nasci nel posto giusto e incontri le giuste persone. Se si è fortunati, potrebbe anche andare tutto bene. L’altra tipologia è quella che si trova.”
Ahsoka pensò ai cloni, anche a quelli che non avevano mai incontrato, che comunque usavano chiamarsi ‘fratello’ tra di loro. Aveva pensato che fosse a causa della loro genetica e del legame militare, ma forse era qualcos’altro.
“Io e Kaeden eravamo rimaste sole,” continuò Miara. “Ma poi Vartan ha assunto Kaeden. Non era costretto a farlo. Non era nemmeno costretto a darle una paga piena. Ma lo ha fatto. Tutte le cose brutte che sarebbero potute accaderci a seguito della morte dei nostri genitori non si sono verificate, e abbiamo trovato una nuova famiglia.”
Ahsoka rifletté sulla cosa.
“Ora, non mi aspetto che tu mi dica chi sia morto per te,” continuò Miara. “Ma è ovvio che sia successo. Kaeden ha detto che sei stata adottata, questo significa che hai perso due volte la tua famiglia. Quindi adesso sei giunta qui da noi.”
La giovane ragazza era così determinata che Ahsoka non riuscì a correggerla. Non era alla ricerca di una famiglia, ma Maestro Yoda le aveva insegnato che a volta si potevano trovare cose che non ci si aspettava, e che aveva senso sfruttarle nel caso fosse successo. Le persone su Raada si proteggevano tra di loro, senza violenza e crudeltà o tornaconto come aveva visto fare nel Nucleo Interno. Forse era una buona idea approfittarne, anche se pensare di usare i suoi nuovi amici in quei termini la fece sentire un po’ a disagio. Guardò Miara, che stava finendo di installare la nuova serratura.
“Non è un po’, che so, ingiusto?” domandò Ahsoka, preoccupandosi. Non aveva detto loro neppure il suo vero nome, dopo tutto. “Voglio dire, mi sono semplicemente presentata qui, e voi mi accettate subito tra di voi?”
“Beh,” disse Miara. “non è che non sia utile l’averti qui intorno. La tecnologia di tutti ha iniziato a funzionare molto meglio dopo che tu ci hai messo le mani sopra, cosa che non fa scervellare troppo Hoban.”
Ahsoka rise. Suppose che fosse vero.
Risuonò un suono in lontananza. Miara iniziò a riporre i suoi materiali.
“Devo andare,” disse. “Abbiamo il turno serale per questa settimana, per cui dovrai cenare da sola. La serratura è a posto. Hai solo bisogno di una chiave. Basta che metti il dito qui sopra.”
Ahsoka fece come le era stato detto, e la serratura divenne verde.
“Eccellente,” disse Miara. “Voglio dire, non terrà fuori qualcuno che sarà veramente determinato ad entrare, ma perlomeno saprai se qualcuno si è infiltrato dentro, e gli darà filo da torcere.” Si scoprì che le serrature di Miara sapevano essere piuttosto vendicative.
“Grazie,” rispose Ahsoka.
Miara finì di raccogliere le sue cose e se ne andò, lasciando Ahsoka da sola con una nuova serratura ed una serie di nuovi pensieri su cui riflettere. Guardò il vaporatore che avrebbe dovuto aggiustare quel pomeriggio e decise che aveva trascorso fin troppo tempo al chiuso durante quella settimana. La noia della routine agricola stava cominciando a pesarle addosso. Oh, anche i Jedi avevano i loro riti e le loro tradizioni, ma Ahsoka era abituata a quelle. Raada era un nuovo tipo di noia, e ad Ahsoka non piaceva annoiarsi. Era il momento di controllare la sua grotta e vedere che cos’altro avrebbe potuto trovare in quella zona.
Raccolse tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno nella nuova borsa che Neera le aveva dato quando Ahsoka aveva aggiustato la caffetteria della casa che condivideva con suo fratello. Prese anche una confezione di razioni, anche se aveva del cibo fresco, e legò la sua borraccia d’acqua sul fianco, proprio accanto a dove era stata solita tenere le sue spade laser. Avvolse tutti i pezzi di metallo che aveva raccolto e li infilò nella borsa, per poi issarsela sulle spalle. Era più comoda di quanto pensasse. Neera l’aveva modificata in modo che non le avrebbe dato fastidio ai lekku.
Mentre Ahsoka si dirigeva fuori città, incontrò diversi agricoltori ancora al lavoro sui campi. Molti di loro la salutarono con il nome di Ashla, e lei rispose loro con un sorriso sincero. Oltrepassò tutte le case e i piccoli giardini che costeggiavano i margini della cittadina. Ahsoka non capiva perché degli agricoltori volessero prendersi cura di un giardino durante il loro tempo libero, ma anche lei aveva degli hobby strani – solo che i suoi erano segreti.
Qualsiasi cosa avrebbe potuto dire Miara, Ahsoka non pensava che le famiglie ed i segreti andassero bene assieme, e lei aveva avuto modo di constatarlo molto bene. Kaeden aveva già cominciato a porle domande più importanti, lasciando intendere che le avrebbe fatto piacere sapere di più su da dove provenisse Ashla e su quello che andava a fare fuori città. Ahsoka faceva del suo meglio per cambiare argomento. La parte più difficile era che Ahsoka scoprì di voler in realtà parlarne con Kaeden, rivelarle ogni cosa. Non aveva alcuna esperienza sul vivere in comunità, ma Kaeden era una buona ascoltatrice, anche se nessuna delle due avrebbe potuto risolvere i problemi dell’altra.
Però, parlare con qualcuno che non era turbato dalla vastità della galassia aiutava Ahsoka a concentrarsi, dato che saltavano fuori quel genere di problemi le volte che aveva cercato di meditare.
Si sentiva sbilanciata, comprese Ahsoka, tirata in più direzioni dai suoi nuovi sentimenti e dal vecchio dolore. Quello di cui aveva bisogno era ricercare sé stessa, e la meditazione era il modo migliore per farlo. Aveva evitato di farlo per un po’ di tempo, perché non le era piaciuto quello che aveva visto le volte in cui l’aveva fatto, ma se era intenzionata a riprendere il controllo sulla sua vita, era costretta a riprendere il controllo anche sulla sua meditazione. Poteva usare la sua concentrazione per non finire per vagare in delle visioni e nelle sue visioni, nella sua vita, cosa che l’avrebbe aiutata a mantenere ordine tra i suoi pensieri, per non parlare di mantenere la sua sintonia con la Forza.
Si sentì più tranquilla una volta oltrepassata l’ultima casa, quando il rumore dello scalpiccio e dei macchinari era stato sostituito dal fragore dell’erba e la promessa di solitudine. Qualche nuvola punteggiava il cielo, ed il vento era ancora abbastanza mite perché non desse troppo fastidio. Era una buona giornata per correre, decise.
Strinse le cinghie della borsa che le aveva fatto Neera e partì. Il vento fischiava nel mentre prendeva velocità, e si sentiva come se, fosse potuta andare più veloce, sarebbe potuta essere in grado di volare libera sulla superficie della luna. Rise, a metà per l’euforia e a metà per la sua stupidità: se avesse voluto volare, avrebbe potuto prendere la sua navicella per farlo. E comunque, non avrebbe potuto correre veloce quanto sarebbe stata in grado di fare, non potendo utilizzare la Forza a cielo aperto. Anche senza la Forza, le ci volle molto meno tempo per raggiungere le colline, e rallentò il passo in una passeggiata in modo da essere sicura di non perdere i segni che l’avrebbero condotta alla sua grotta.
Ahsoka seguì i suoi passi, notando i luoghi in cui le pietre si aprivano in delle grotte. Si domandò se alcune di esse fossero collegate tra loro. La sua non lo era, il che fu uno dei motivi per cui le era piaciuta; ma sarebbe potuto rivelarsi utile avere più di una rete, e c’era la possibilità che quelle altre grotte avessero delle fonti di acqua naturali non basate sulla tecnologia.
“Chi potrebbe mai avere bisogno di queste grotte?” si domandò.
Ignorò la sua domanda e si chino attraverso l’ingresso del suo nascondiglio.
Era tutto esattamente come l’aveva lasciato, dalla lastra di pietra che nascondeva i suoi piccoli frammenti di tecnologia alle sue impronte sulla pavimentazione. Aggiunse altri pezzi alla sua collezione, facendoci librare sopra la mano come se potesse costruirci qualcosa, e poi li ricoprì. Si posizionò al centro della grotta sedendosi sul pavimento, con le gambe ripiegate sotto di sé.
Inspirò ed espirò lentamente, nel modo in cui le aveva spiegato di fare Maestro Plo anni prima quando si erano conosciuti. Era stata così confusa allora, ed un po’ spaventata. Lo schiavista che aveva intercettato il messaggio del suo villaggio ai Jedi era stato spaventoso, ma non appena aveva postato lo sguardo su il Maestro Jedi Plo Koon, aveva capito che si sarebbe potuta fidare di lui. L’addestramento con i Jedi aveva completamente restaurato la sua fiducia in sé stessa, ma allo stesso tempo l’aveva fatta diventare spericolata e sfacciata. Fu quando era divenuta la Padawan di Anakin Skywalker, e lasciato il tempio, che comprese finalmente quanto potesse essere tempestosa e allo stesso calma la galassia, sicura e pericolosa. La chiave, come sempre, era trovare il giusto equilibrio.
Fece del suo meglio per pensare a questo equilibrio in quel momento. Si concentrò sul ritmo del suo respiro e la luna sulla quale era seduta. Allungò la mano attraverso la sua flora e sentì il calore del sole, che la incoraggiava a crescere. Trovò i piccoli giardini, ogni pianta che aveva ricevuto un’attenzione particolare in modo da poter avere una buona salute, e comprese un po’ di più i contadini. Si estese attraverso i campi, captando l’ordine dei solchi arati. I campi spogli che erano stati preparati per una nuova semina al cambio della stagione. Presto il periodo di trebbiatura sarebbe finito e si sarebbero svolti altri tipi di lavori.
La ricchezza di Rada era nella terra, cosa che Ahsoka non aveva compreso fino a quando le pietre intorno a lei non avevano cominciato a tremolare. Se non fosse stata in meditazione, non l’avrebbe neppure notato, ma legata così profondamente al pianeta, percepiva le cose più acutamente. C’era qualcosa nell’aria.
La coscienza di Ahsoka corse indietro, attraverso le praterie in cui era seduta e trovò le pareti della grotta. Non era un tipo di scossa pericoloso, solo allarmante, e Ahsoka era felice di averlo saputo anticipatamente. Si alzò lentamente e fece scroccare il collo, si alzò in piedi e allungò le mani sopra la testa. Le sue dita toccarono il tetto della grotta, e avvertì immediatamente che vi fosse qualcosa di terribilmente sbagliato.
Lasciò la caverna, e per quanto avrebbe voluto correre per il colle, si costrinse ad essere prudente. Camminò per diversi minuti, l’agitazione nelle ossa sempre più pronunciata, e poi salì sulla cima di un’altra collina.
Proprio mentre Ahsoka guardò verso l’insediamento, ebbe un tuffo al cuore. Proprio sopra le case, facendole risultare incredibilmente insignificanti, vi era uno Star Destroyer Imperiale. Vide altre navi più piccole emergere dal suo hangar e discendere sulla superficie della luna. Sapeva che trasportavano truppe, armi, ed ogni altra tipologia di pericoli.
Pensò di non essersi allontanata abbastanza. Aveva pensato di avere più tempo. Ma era di nuovo in trappola, e aveva bisogno di capire che cosa fare subito.
L’Impero era arrivato.

 
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– CAPITOLO 07 –



IL SUO PRIMO ISTINTO FU QUELLO DI CORRERE. Era brava nei combattimenti, ma sapeva anche di essere in netto svantaggio. Raada era un posto remoto; non c’era alcun motivo per la presenza imperiale, specialmente non una così ingente, a meno che l’Impero non avesse una buona ragione. Un Jedi vivente – per quanto quella definizione fosse inesatta – sarebbe stata decisamente una valida causa. Anche mentre calcolava mentalmente quanto tempo le ci sarebbe voluto per raggiungere la sua nave, Ahsoka si costrinse a rallentare, e cercare di pensare bene – focalizzarsi – prima di reagire.
L’Impero non aveva nessun motivo per sospettare che lei fosse su Raada. Ufficiosamente, Ahsoka Tano era deceduta, o perlomeno presunta morta. Anche se qualcuno fosse risalito a lei a Thabeska, nessuno aveva conosciuto il suo vero nome o la sua destinazione quando se ne era andata. Le modifiche che aveva fatto alla nave che aveva rubato ai FARDI avrebbero reso quasi impossibile tenere traccia dei suoi spostamenti. Non c’era bisogno di agire avventatamente. Aveva colto al volo la possibilità di lasciare Thabeska, lasciando qualcosa di importante incompiuto. Non voleva commettere lo stesso errore.
La passeggiata per tornare in città fu lunga, e Ahsoka si sentì esposta per tutto il tragitto. Osservò le navi imperiali sbarcare, impedendole la fuga, ma si rifiutava di lasciarsi prendere dal panico. Avrebbe preso decisioni ben ponderate questa volta, e per farlo, aveva bisogno di informazioni. Non si preoccupò di tornare presto a casa. Invece, si diresse da Selda, dove sapeva che avrebbe avuto più probabilità di venire a conoscenza di qualcosa di utile.
La cantina era quasi vuota quando arrivò, come se i gruppi dovessero ancora tornare in città dopo i loro turni di lavoro. Ahsoka stette per dirigersi al solito tavolo sul retro in cui sedeva con i suoi amici, ma si fermò quando Selda le fece cenno di sedersi al bancone. Lei si fidava del Togruta più anziano, lo sapeva allo stesso modo in cui aveva capito di potersi fidare di Maestro Plo, quindi si sedette lì.
Ahsoka passò buona parte della prima serata appollaiata su uno degli sgabelli del bar. Anche se era vicino all’ingresso, aveva qualche vantaggio: quando non guardavi le persone, loro assumevano che non le stessi ascoltando. Captò diverse conversazioni su diverse teorie sul perché gli imperiali fossero lì che non erano destinate ad essere sentite. Selda, dalla sua postazione dietro al bancone, continuava ad osservare tutto con il pretesto di fare il suo lavoro abituale. Quel sistema funzionava abbastanza bene.
Non parlarono neanche, il che fu la parte più strana. Ahsoka si era semplicemente parcheggiata sullo sgabello, Selda aveva annuito, ed era cominciato. Era il genere di cose che avrebbe potuto fare con Anakin, anche se lo spionaggio con Anakin Skywalker finiva sempre con delle esplosioni, e Ahsoka non aveva alcuna intenzione di arrivare a quel punto. Quando fecero capolino un paio di soldati armati e due agenti in uniforme, decise che era ora di ritirarsi da qualche parte meno evidente. Aveva bisogno di scoprire il più possibile su quello che stava succedendo, senza essere coinvolta in eventuali guai.
La porta della cantina si aprì di nuovo, ed entrò Kaeden, il resto del gruppo dietro di lei. Diede ad Ahsoka la giusta scusa che le serviva per spostarsi. Selda aveva tenuto in caldo alcuni piatti per i lavoratori e li portò al loro solito posto sul retro, non appena li vide entrare.
“Ehy, Ashla,” disse tranquillamente Kaeden mentre passava, e Ahsoka si affiancò a loro.
“Com’è andata la giornata?” domandò Ahsoka mentre si sedevano tutti al tavolo.
“Intensa,” disse Vartan, facendo un cenno in direzione degli Imperiali. “Un sacco di nuove persone sono venute ad osservare.”
“Hoban, perché non porti il tavolo del crokin?” ordinò Neera.
Il fatto che Hoban fece come gli era stato detto senza protestare fu segno di quanto fosse grave la situazione. Quando tornò con l’enorme tavoliere esagonale, Ahsoka vide l’ingegno dell’idea di Neera: la superficie era progettata in modo tale che i giocatori potessero muoversi per il tabellone. Sarebbe stato un pretesto per unire le teste e parlare, e sarebbe passato come una semplice strategia di gioco. Hoban rovesciò i piccoli discetti rotondi al centro del tavolo ordinandoli per colore. Poi cominciarono a giocare.
“Quanti nuovi amici ti sei fatta oggi, Kaeden?” chiese Ahsoka.
“Nessuno,” farfugliò Kaeden. “I troopers non sono molto espansivi, e gli ufficiali sembrano pensare che siamo inferiori a loro.”
Accese uno dei dischi, e ne depositò uno dietro a dei pioli che sporgevano dal bordo. Neera sbuffò. Sarebbe stata difficile da colpirla in quella posizione. Hovan si preparò per il turno successivo.
“Non hanno voluto parlare nemmeno con nessuno dei capi,” aggiunse Vartan. “Eravamo andati a prendere la paga ed erano lì, ma qualsiasi cosa volessero, non ci hanno coinvolti.”
“Oh,” disse Hoban, “ci coinvolgeranno, questo è sicuro.”
Accese il suo disco. Lo fece rimbalzare su uno dei pioli e si bloccò senza riuscire a colpire il pezzo di Kaeden, quindi lo rimosse dal tavolo. Malat giocò per seconda e affondò il suo disco nel centro del tabellone con visibile sforzo. I punti guadagnati da quella mossa si registrarono sul tabellone, facendo partire una musichetta celebrativa. Lei giocherellò con un filo fino a quando il suono non si fermò.
“Li ho sentiti dalla stazione di rifornimento,” disse Miara. Anche il suo colpo mancò il pezzo di Kaeden, quindi rimosse il suo disco. “Hanno chiesto quanto crescano velocemente le piante e quante piante riusciamo a piantare.”
“Anche gli Imperiali devono mangiare,” commentò Neera. “Credi che i trooper crescano sugli alberi?”
Un brivido attraversò la schiena di Ahsoka. “I trooper non sono cloni?” chiese, sperando che suonasse come una domanda abbastanza casuale. Erano probabilmente già fuori dal target di età dell’armata imperiale, lo sapeva, ma era passato solo poco più di un anno, quindi era possibile che quelli recenti potessero essere ancora attivi.
“Non credo,” rispose Vartan. “Non si sono tolti i caschi, quindi non ne sono sicuro, ma li ho sentiti parlare tra di loro e sembravano avere voci diverse.”
Ahsoka aveva sempre pensato che i cloni avessero voci differenti, ma Yoda aveva detto che era perché non aveva mai avuto effettivamente il tempo di ascoltarli. Eppure, se Vartan li aveva sentiti distintamente, poteva essere un buon segno per la propria sicurezza.
Era il suo turno, quindi fece il suo colpo, mirando nello stesso modo in cui aveva fatto Malat. Le venne in mente che sarebbe stato molto facile barare al crokin se avesse utilizzato la Forza, ma quello non era di certo il momento per sperimentare.
Il suo colpo andò lungo, sfiorando il centro della tavola e finendo nella parte degli avverarsi.
Hoban si dondolò sul posto. Ora la sua squadra aveva qualcosa di molto più facile cui puntare. Neera colpì il pezzo di Ahsoka senza alcun problema e pose il proprio dietro ad un piolo. Ora toccava a Kaeden tirare.
Ahsoka non aveva mai giocato a crokin prima di giungere a Raada, anche se tutti sostenevano che fosse un gioco molto popolare. Lo trovava stranamente confortante. Poteva essere giocato a squadre o anche solamente in coppia, e gli obbiettivi erano due: posizionare i propri pezzi sulla scacchiera, ma rimanere consapevoli del fatto che il proprio avversario poteva usare il proprio pezzo per buttare giù il tuo. Era un buon gioco di strategia, e pensò che ad Obi-Wan sarebbe piaciuto. Era il più paziente dei suoi maestri.
“Da quanto tempo quegli imperiali sono qui?” domandò Vartan. Lui non stava giocando e se ne stava semplicemente seduto al tavolo, a controllare che il suo gruppo di lavoratori si riposasse dopo una bella giornata di lavoro.
“Sono arrivati solo un attimo prima di voi,” disse Ahsoka. “Sono ancora al primo, e non hanno parlato con nessuno se non con Selda per ordinare. Gli assaltatori non si sono seduti, e gli ufficiali sono solo rimasti ad osservare.”
“Per nulla socievole,” commentò Miara. Kaeden aveva mancato il colpo, e ora era nuovamente il turno di Hoban.
“Non credo che l’Impero sia socievole,” disse Neera.
“Ma perché sono qui?” sottolineò Kaeden. “Voglio dire, ci sono pianeti migliori per la produzione di cibo rispetto a Raada. Noi siamo un produttore piccolo. Produciamo a mala pena per un’esportazione minima.”
Ci fu un silenzio tombale. Le lunghe dita di Malat esitarono sul suo colpo, e Ahsoka sapeva che stava pensando ai suoi figli. Anche se la preoccupazione di Ahsoka per la sua stessa sicurezza non era più insistente, aveva comunque un brutto presentimento.
“Credo che possa rivelarsi intelligente iniziare a tenere da parte qualche pacco di razioni,” disse. Provò a sembrare ben informata, ma non troppo esperta. Voleva che le dessero retta, non che seguissero i suoi ordini. “Se gli Imperiali cominciassero a sfruttare il cibo prodotto qui, non ci sarebbe molto da fare per fermarli.”
“È una buona idea,” concordò Vartan. “Lo farò presente a Selda.” I suoi occhi schizzarono verso il punto in cui erano seduti gli ufficiali imperiali. “Più tardi.”
Ahsoka annuì e prese il suo turno per il crokin. Mancò il colpo, però. Il pezzo di Neera era semplicemente troppo ben protetta dietro a quel piolo. Fecero un altro giro completo, la fazione di Ahsoka cercando di abbattere il pezzo di Neera e la squadra di Hoban cercando di abbattere quello di Kaeden. Nessuno ebbe successo, se non che fu bello concentrarsi sulle frustrazioni del gioco piuttosto che sulla presenza degli Imperiali.
Neera stava per fare un tiro finale quando vi fu un rumore proveniente dalla parte anteriore della cantina. I due ufficiali erano stati raggiunti da un terzo, un superiore a giudicare dalla targhetta. Gli ufficiali si alzarono e salutarono con un gesto. Gli stormtroopers rimasero immobili. Il nuovo ufficiale si sporse in avanti per conferire con gli altri, parlando troppo piano perché Ahsoka potesse sentire quello che si dicevano. Poi si diresse verso la porta e fissò una nota alla parete. Si guardò intorno nella cantina con un certo disprezzo nello sguardo prima di andarsene. Gli altri Imperiali lo seguirono senza voltarsi indietro.
Selda attraversò lentamente la cantina verso la nota. Ahsoka si domandò se fosse per tirarla via, ma si limitò a leggerla con calma, le spalle crollavano sempre più in basso ad ogni riga.
“La cosa bella del crokin,” disse Vartan, prendendo l’ultimo disco dalle mani di Neera, “è che non è necessario colpire i pezzi dell’avversario a testa alta. È possibile anche improvvisare, se si vuole, e sperare per un po’ di fortuna.”
E lanciò un colpo facendo crollare la pedina di Kaeden. Questa cadde giù dal bordo, e piombò via dal tabellone.
“Alle volte non ottieni ciò che si spera,” continuò lui. “Ma puoi fare comunque qualche punto.”
Il pezzo di Neera era l’unico rimasto sulla tabella. Il suo punteggio comparve un attimo dopo sullo schermo, e una volta che il tavolo di gioco realizzò che tutte le pedine erano state sconfitte, il gioco terminò.
“Abbiamo vinto di nuovo,” disse Kaeden. “Avevamo i punti guadagnati da Malat dall’inizio.”
“Questa è un’altra caratteristica del crokin,” aggiunse Vartan. “Bisogna ricordarsi che ogni pezzo giocato, anche quelli della scheda, possono produrre dei punti importanti, alla fin fine.”
Le sue parole fecero provare ad Ahsoka un senso di disagio. Non le piaceva il modo in cui iniziò a pensare meccanicamente a delle tattiche. Si alzò dal tavolo e andò a leggere la bacheca. Così come aveva pensato, era un elenco di regole. Avevano imposto un coprifuoco, che, tra le altre cose, avrebbe reso impossibile ai lavoratori dell’ultimo turno di cenare in tempo. Avrebbero dovuto farlo a casa. C’erano delle regole che vietavano le riunioni dei gruppi di un certo numero. Gli Imperiali non avrebbero chiuso le cantine, ma limitarono comunque gli orari di apertura di queste e contenerono la disponibilità nel distribuire cibo e alcool. Con la perdita delle vendite, sarebbe stata solo questione di tempo prima che tutte le cantine chiudessero di propria iniziativa.
Era stato tutto concepito per impedire ai locali di comunicare tra di loro e di organizzarsi. Era per ammorbidirli prima di colpire brutalmente. Tutte cose che Ahsoka temeva che gli agricoltori di Raada non avrebbero potuto contrastare. Diversi scenari corsero attraverso la sua mente, idee per l’insurrezione e di difesa. Con riluttanza, lasciò stare questa volta.
Si allontanò dall’avviso e lasciò il posto perché gli altri potessero leggerlo. Si diresse nuovamente al tavolo in cui erano seduti i suoi amici in uno strano e pesante silenzio, e quando si sedette, condivise con loro ciò che aveva appena letto. Non disse loro le conclusioni a cui era giunta su quello che intendessero fare le nuove regole. Avrebbero capito da soli, oppure no, ma avrebbe dovuto fare maggiore attenzione a nascondere la sua esperienza militare, ora come ora. C’era sempre l’ipotesi che avrebbe potuto essere controproducente, e che gli Imperiali avrebbero potuto scoprirla per questo. Doveva tenere i suoi segreti più stretti che poteva.
Ahsoka guardò il bordo del tabellone del crokin, verso l’ultimo pezzo rimasto, nonostante gli sforzi di entrambe le parti. Si erano scambiati diversi colpi e, anche l’errore di Ahsoka, avevano fatto in modo di rendere più semplice colpire l’obbiettivo, anche se non avevano fatto abbastanza per riuscire a cambiare l’esito del gioco. Neppure la fazione di Neera era riuscita a fare la differenza, alla fin fine. Il gioco aveva richiesto un ulteriore mossa, una mossa anticipata a cui non avevano pensato.
Ahsoka non aveva idea quali fossero le intenzioni dell’Impero, o se avessero già iniziato ad agire, ma sapeva che non era la tipologia di tattiche utilizzate dagli Imperiali. L’Ordine 66 era stato il progetto di un piano più lungo e complesso, e non vi era alcuna ragione di pensare che Palpatine avesse agito tutto il tempo per poter accedere al pieno potere. Era anche consapevole che Raada non avesse molto per cui lottare, se erano lì per combattere. Non avevano delle vere e proprie navi per il supporto aereo, né artiglieria pesante. Ma forse non si sarebbero spinti tanto in là. Magari sarebbero stati fortunati. Magari l’Impero avrebbe preso quello che voleva e se ne sarebbe andato.
Magari fosse così, pensò. Ma che cosa si lascerebbero alle spalle?

 
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– CAPITOLO 08 –



DUE STORMTROOPERS si fermarono davanti alla casa di Ahsoka la mattina seguente. Aveva chiuso la porta, impostando il dispositivo si sicurezza di Miara prima di andare a dormire. Era solo una difesa piuttosto piccola, ma almeno avrebbe avuto un avviso nel caso ne avesse avuto bisogno. Ora, invece, impediva agli assaltatori di irrompere in modo semplice all’interno.
I soldati bussarono sulla porta, e Ahsoka ponderò le opzioni che aveva. Resistere sarebbe stato stupido a quel punto. Per quanto ne sapeva, avrebbero anche potuto avere solo bisogno di indicazioni o avere un conteggio del numero di persone che vivevano nella cittadina. Ahsoka era in perfettamente in grado di gestire due troopers, anche se si fosse trattato di cloni, ma non era molto tranquilla. Meglio riuscire a rimanere Ashla più che poteva. Prese un respiro profondo, raccomandandosi di tenere lo sguardo basso, e aprì la porta.
“Posso aiutarvi, signori?” domandò.
Perché non sei al lavoro?“ scattò uno di loro. Vartan aveva ragione. Non erano cloni. Ahsoka si rilassò, almeno un po’.
“Sono al lavoro,” ribatté lei. “Voglio dire, non sono una contadina. Aggiusto le attrezzature quando si rompono.” Fece un cenno alle sue spalle, dove vi erano ancora i pezzi del Vaporator rotto sparsi sul tavolo. Era un problema facile da risolvere, ma il giorno precedente si era lasciata distrarre.
“Avremmo bisogno dei tuoi dati,” disse l’altro trooper. “Potresti venire ri-assegnata al lavoro nei campi se dovesse essere necessario.”
Ahsoka fece una pausa. Non voleva finire in mezzo ai campi. Non aveva molta scelta, ma in città poteva sempre trovare un momento o una scusa per andare fuori città tra le colline. Era importante che continuasse ad essere così. Alzò lo sguardo puntandolo direttamente verso i caschi degli assaltatori che nascondevano i loro occhi.
“Non è necessario ri-assegnarmi,” disse, usando la Forza su di loro. “Il lavoro che faccio è importante per la produzione di cibo.”
Rimasero lì sovrappensiero per un momento, e Ahsoka temette di averli premuti troppo. Ma poi si scambiarono un’occhiata.
“Non abbiamo bisogno di riassegnarla,” disse il primo.
“Il lavoro che fa è importante per la produzione alimentare,” concordò il secondo.
Ahsoka sorrise. “Per fortuna abbiamo potuto fare questa chiacchierata. C’è qualcos’altro che posso fare per aiutarvi?”
Gli strormtroopers la guardarono, confusi in un primo momento. Lei poteva quasi immaginare le espressioni perplesse che dovevano stare facendo, tranne per il fatto che non sapeva come fossero fatti i loro volti. Si rifiutò di immaginarseli con la faccia di Rex.
I due scossero la testa, abbassarono le armi e fecero un passo indietro.
“Assicurati di seguire le nuove regole,” si raccomandò il secondo trooper. “Sono stati affissate in diversi posti in giro per la città. Prendi famigliarità.”
“Sarà fatto,” confermò lei. “Vi auguro una buona giornata!”
La ragazza richiuse la porta prima che potessero aggiungere altro. Le piacque come erano sembrati sconcertati da una manipolazione basica della mente. Attivò nuovamente il blocco con una semplice pressione del dito e una luce verde brillò sigillando la porta.
“Devo ricordarmi di chiedere a Miara che cosa dovesse succedere se vieni fatta scattare,” disse alla serratura, facendo correre distrattamente la mano sul pad di controllo. Miara aveva detto che chiunque avesse fatto irruzione lì dentro, avrebbe avuto una brutta sorpresa, ma Ahsoka non aveva domandato esattamente cosa. Ora, però, era probabilmente una buona idea sapere di che cosa fossero capaci le cose che la circondavano.
Gli Imperiali erano ancora alla formazione di base. La Star Destroyer se ne era andata, o perlomeno non era in vista, ma si era lasciata alle spalle abbastanza personale per organizzare un edificio amministrativo e delle caserme per ospitare diverse altre decine di assaltatori. Non avevano avuto il tempo di bloccare lo spazioporto, e Ahsoka avrebbe dovuto spostare la sua nave da lì prima che loro se ne rendessero conto. L’unico problema era che non aveva nessun altro posto in cui poterla mettere.
Guardò i pezzi del Vaporator. Avrebbero potuto aspettare un altro giorno.
Svuotò la scatola delle razioni – la paga che le aveva dato Kaeden in cambio della sua prima riparazione – e mise il contenuto nella borsa. Non avrebbero occupato troppo spazio, ma dopo un momento di riflessione, Ahsoka riprese una decina di razioni e le dipese nuovamente al loro posto. Avrebbe avuto bisogno di avere un po’ di cibo a portata di mano, dopo tutto. Prese un ultimo fagottino di pezzi metallici e lo sistemò nella borsa, sopra a tutto il resto e riempì la sua borraccia. Dopo un ulteriore considerazione, prese anche un oggetto tagliente da aggiungere alla sacca, poi raccolse i panni che il proprietario del Vaporator aveva usato per avvolgere il marchingegno per potarlo lì. Lo maneggiò fino a dargli la forma di una fionda e lo appese alla cintura, sperando che eventuali Imperiali non sapessero che su quella luna era inutile andare a caccia. Poi si diresse alla porta e guardò in ogni direzione.
Non c’era alcun segno di stormtroopers. Non potevano essere dai suoi vicini, dato che la maggior parte di loro erano a lavoro. Ahsoka sbucò sulla strada per poi dirigersi verso la periferia della città più in fretta che poteva. Quando raggiunse l’ultima casa, si guardò intorno, controllando anche che l’Impero non avesse installato dei sistemi di sorveglianza, ma non trovò nulla. Poi raddrizzò le spalle e partì verso le colline, come se si trattasse di un giorno qualunque. Avrebbe potuto cercare di girare con circospezione, ma dato che essere furtivi sarebbe stato quasi impossibile, l’unica opzione era quella di comminare come se fosse una cosa normale che lei fosse lì.
Fu snervante. Non aveva alcun indizio sul fatto se qualcuno la stesse osservando, ma si sentiva comunque a disagio. Almeno non si sentiva oppressa quanto il giorno prima, ora che le navi imperiali erano a terra. Non si guardò indietro, anche se avrebbe voluto, tutto quello che poté fare fu tenere il ritmo dei passi mentre camminava. Alla fine raggiunse la prima fila di colline e scomparve dalla vista della città.
Ahsoka andò per prima cosa nella sua grotta, dove rimosse la lastra di pietra. Utilizzò il coltello per tagliare via la parte piana fino a quando non ebbe scavato un vano nascosto che aveva pensato di creare il giorno in cui aveva trovato la caverna. Lo strumento non era apposito per la pietra, ma riuscì ad ottenere comunque un buon risultato. Nascose le razioni, assieme ai pezzi di metallo. Mentre li posava, le parve di vedere un frammento familiare a cui non aveva fatto caso prima. C’erano dei cavi, delle parti di connettori, pezzi che avrebbero potuto ancora condurre della potenza. Casualmente, vi ci agitò la mano sopra e questi formarono una fila ordinata, come se li potesse vedere con gli occhi della sua mente.
“No,” disse, lasciando cadere la meno. I frammenti rotolarono lungo la superficie di pietra, e lei li raccolse. Aveva altre cose da fare.
Una volta assicurato di nuovo tutto, Ahsoka lasciò la caverna. Si fermò sul suo ingresso, chiedendosi se potesse fare altro per nasconderla meglio, ma non le venne in mente niente. Il meglio che poteva fare era assicurarsi che l’interno della grotta sembrasse del tutto naturale. Si chinò di nuovo verso l’interno e ripulì le sue tracce.
Con la borsa ora molto più leggera, continuò ad addentrarsi tra le colline. Ora era alla ricerca di qualcosa di particolare: una collina abbastanza grande da avere una grotta abbastanza larga in cui poter nascondere la sua nave. Il cargo non era ingente, ma abbastanza grosso per riuscire ad essere celato in una qualche conca sperando che l’Impero non lo notasse. Aveva bisogno di una grotta, o di un canyon abbastanza profondo in modo da fornire una buona copertura.
Tenne sott’occhio il cielo mentre vagava tra le alture, sia per assicurarsi di non avere compagnia che per tenere traccia del tempo. Non poteva permettersi di far scoprire la sua scampagnata, anche se Kaeden e gli altri non le avevano premuto troppo addosso intenzionalmente, tutti si sarebbero insospettiti se sarebbero venuti a scoprirlo. Proprio quando iniziò a pensare di dover tornare in città e riprovare di nuovo la mattina seguente, vide un avvallamento nel terreno dinanzi a lei. Sembrava quasi un illusione ottica, ma quando ne raggiunse il bordo, vide che si trattava in realtà di un piccolo burrone. La nave si sarebbe potuta adattare solo posta di lato e, per quanto non fosse la soluzione ottimale, sarebbe potuto funzionare.
“Bene,” disse, “Questa era la parte facile. Ora, tutto quello che devo fare è riuscire a portare la navi qui.” Sentiva davvero tanto la mancanza di R2-D2. Il piccolo droide era sempre bravo in quel genere di cose. Decise che rubare la sua stessa nave non sarebbe stato simile al camminare fin lì tra le colline. Farlo in modo circospetto era impossibile, ma avrebbe dovuto provare a farlo.
Ahsoka tornò in città. Anche in questo caso, non incontrò nessuno e non vide segni che qualcuno stesse osservando i suoi movimenti. Quando arrivò vicino alla base imperiale, la riconobbe subito. Sembrava che ogni Stormtrooper portato lì per occupare Raada per pattugliare la gente del posto fosse ammassato dentro quell’edificio. Ahsoka rise beffarda. Rex non sarebbe mai stato tanto lassista con la sicurezza. Anche se fosse in corso una riunione di aggiornamento, avrebbe insistito sul fatto che alcuni dei suoi uomini pattugliassero le strada.
Ad Ahsoka venne in mente che gli stormtroopers potessero non essere necessariamente ancora dei soldati completi, e che nessuno degli ufficiali assegnati a Raada potesse avere molta esperienza. Quelle sarebbero state delle informazioni utili.
Fece tutta la strada fino allo spazio porto prima che potesse incontrare qualcuno. Un ufficiale imperiale dall’aspetto molto giovane stava segnando un elenco di tutte le navi attraccate lì. Pensò di utilizzare la Forza per convincerlo a lasciarle prendere la sua nave. Avrebbe potuto far finta di essere stata mandata lì da uno dei vigilanti, che sembravano essere stati le uniche persone con cui avessero intenzione di parlare gli Imperiali. Sarebbe stato facile, con una semplice mossa di mano, sopraffarlo e poi dare qualche spintarella alla coscienza dell’ufficiale nel mentre era distratto.
Allo stesso tempo, lui potrebbe essere stato addestrato a riconoscere i poteri Jedi quando venivano utilizzati su di lui. Anche farlo sugli assaltatori poteva rivelarsi abbastanza rischioso. Ahsoka non poteva affrontare lo stesso rischioso su qualcuno di grado superiore.
Poteva andare a casa e creare dei finti credenziali, ma poi non sarebbe stata in grado di poter sposare la nave fino al giorno successivo. Ogni momento di esitazione era un momento in più che gli Imperiali avrebbero potuto ricordare che stessero occupando un pianeta e che forse avrebbero dovuto agire. Ahsoka non poteva permettersi di aspettare. Uscì nel piazzale. Avrebbe dovuto farsi strada in modo più creativo. O, comunque, come avrebbe fatto Ashla.
“Tu, fermati,” disse l’ufficiale. Ahsoka era abbastanza sicura che stesse cercando di far risultare la sua voce più profonda ed autoritaria di quanto non fosse. “Che cosa stai facendo?”
“Sono venuta per la mia nave,” spiegò Ahsoka. “Tutte queste nuove misure di sicurezza mi stanno rendendo nervosa. Voglio assicurarmi di mantenere le mie proprietà dove posso riuscire ad usufruirne.”
“Ti assicuro che la guarnizione imperiale stazionata qui manterrà un livello di sicurezza elevato in questo spazioporto,” strepitò il giovane ufficiale. “La tua nave sarà al sicuro.”
Lentamente, e con notevole disprezzo, lei lo guardò dall’alto verso il basso.
“E saresti tu l’alto livello di sicurezza?” chiese. “Perché non mi sembri molto fiducioso a riguardo.”
Lui gonfiò il petto, e il suo viso arrossì. Così come aveva sperato, era riuscita a non farlo arrabbiare. Solo imbarazzare.
“Sono responsabile di tutte le navi qui presenti,” le assicurò. “È il mio specifico compito, basato su di una formazione specifica per garantire che questo spazioporto sia sicuro senza alcun intoppo.”
“Sono riuscita ad arrivare fin qui senza che nessuno mi fermasse,” sottolineò Ahsoka. “Mi sembra ben lontano dal poterlo considerare ‘sicuro’!”
“Stiamo ancora in fase di preparazione,” ribatté l’ufficiale sulla difensiva.
“Beh, questo sistema tutto,” disse Ahsoka. “Prenderò la mia nave in custodia fino a quando non abbiate terminato di prepararvi, e poi la porterò indietro quando saprò che sarà tutto sicuro.”
“Non credo proprio che –” iniziò l’ufficiale, ma Ahsoka lo aveva già superato.
Prese posto nel sedile del pilota e si preparò per decollare mentre lui le lanciava contro ogni tipologia di protesta, e poi i motori si azionarono producendo un rumore troppo forte perché potesse sentirlo. Si alzò in volo e partì nella direzione opposta rispetto alle colline. Non ci sarebbe voluto molto tempo per circumnavigare la luna, e sarebbe stato utile per coprire le sue intenzioni di nascondere la nave nel burrone.
Mentre volava, le venne in mente che potesse anche solo continuare a volare. Poteva abbandonare Raada, fuggire di nuovo dall’Impero, e cercare un altro posto che ancora non avesse raggiunto. Poteva una grotta in una qualche catena montuosa isolata, o un’oasi nel mezzo di un deserto. Poteva andare molto lontano e abbandonare tutto di nuovo. E così ancora, ed ancora.
Guardò i campi di Raada, sparsi sotto di lei, e sapeva che fosse solo una mera speranza senza senso, in ogni caso. Non c’era nessun posto in cui l’Impero non l’avrebbe potuta trovare, alla fin fine. Non importa quanto lontano sarebbe andata, sarebbe sempre stato alle sue calcagna. Avrebbe potuto affrontarli lì, dove era relativamente anonima e moderatamente preparata.

 
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– CAPITOLO 09 –



AHSOKA ERA IN RITARDO per tornare in città, anche se aveva corso per tutto il percorso, perlomeno la sua nave era nascosta in un posto relativamente sicuro in modo che nessuno potesse notarla. Andò a casa solo il tempo necessario per lasciare giù la borsa ormai vuota e a sistemare la confezione delle razioni sotto il tavolo prima di dirigersi alla locanda di Selda. Sperava che Kaeden e gli altri non fossero lì già da abbastanza tempo da iniziare a domandarsi dove fosse.
C’erano meno persone del solito alla cantina quella sera, e la maggior parte dei presenti tornarono comunque a casa con largo anticipo rispetto al coprifuoco. Ahsoka aveva già visto quel genere di situazione prima, quando era su pianeti occupati dai Separatisti durante la Guerra dei Cloni. Per i primi giorni, i locali avrebbero osservato le regole in modo fermo e sarebbero rimasti ad osservare quali sarebbero state le conseguenze nel caso sarebbero state infrante. Poi avrebbero cominciato a rifiutarle. Se gli Imperiali avessero agito con violenza, l’opposizione sarebbe potuta essere estrema.
Con meno presenti, notò immediatamente Kaeden e gli altri. Malat se ne era già andata, presumibilmente era tornata a casa dai suoi figli, ma gli altri accerchiavano il tabellone del crokin. Stavano giocando ad una variante che Ahsoka non aveva mai visto prima. Invece di tenere tutti i pezzi situati sul bordo, metà di questi erano stati accuratamente posizionati. In effetti ricordava un bel po’ l’insediamento Imperiale –
Ahsoka si sedette passando la mano su tutta la linea, spargendo i pezzi.
“Ehy!” si lamentò Hoban.
“Potresti urlare più forte?” Sussurrò Ahsoka a denti stretti. “Credo non ti abbiano sentito bene su Alderaan.”
Hoban ebbe il buon senso di assumere uno sguardo imbarazzato.
“Ashla ha ragione,” rifletté Vartan. “Dobbiamo essere più prudenti a dove ne discutiamo.”
“Dov’è Malat?” chiese Ahsoka.
“A fare le valige,” rispose Neera. “La famiglia di suo marito gli ha trovato del lavoro su Sullust. L’Impero c’è anche là, ovviamente, ma è una situazione più stabile. Non abbiamo idea di che cosa stia per accadere qui, e hanno deciso che non sia sicuro, con dei bambini e tutto il resto.”
“È una buona idea, se si riesce a gestire la situazione,” concordò Ahsoka. “Ma ci sono molte altre persone che non posso farlo.”
“Tu hai una nave,” fece notare Kaeden. “Puoi andartene quando vuoi.”
“La mia nave è stata rubata,” disse Ahsoka, strizzando l’occhio. “Chissà dove potrei riuscire a ritrovarla.”
“Sono felice che tu resti,” disse Kaeden. “Non so perché, ma ho la sensazione che sai renderti utile nelle situazioni come questa.”
Ahsoka sorrise e si voltò a guardare la sorella della ragazza. “Miara, ho una domanda riguardante le tue serrature,” disse. “Hai detto che se qualcuno dovesse irrompere dentro, riceverebbero una brutta sorpresa. Che cosa intendevi dire?”
“Ho impostato una piccola carica elettrica all’interno del meccanismo di blocco,” spiegò Miara. “Se non viene disattivato correttamente, eroga una scossa abbastanza potente da convincere una persona a ripensarci due volte prima di rubare le tue cose. Inoltre, c’è una confezione di vernice che esploderà proprio al momento dell’innescamento, in modo che chiunque ci provi potrà comunque venire riconosciuto. Perché me lo chiedi?”
Neera guardò Miara riflettendo. Kaeden sembrò non apprezzare.
“Potresti fare qualcosa di diverso dal semplice macchiare il malcapitato?” domandò Vartan. “E potresti impostare una carica più potente?”
“Certamente,” confermò Miara. “Solo che qualcuno potrebbe farsi molto male, invece di… oh.”
“Teniamo questa ipotesi da conto per adesso,” disse Ahsoka. “Abbiamo altre cose di cui preoccuparci.”
“Perché aspettare?” ribatté Hoban. “Se siamo in grado di impostare degli esplosivi, perché non sbarazzarci subito degli Imperiali?”
“Hoban, abbassa la voce.” Questa volta era stata Neera a rimproverarlo.
“Tutto quello che vorrei fare è cercare di non attirare qui altri Imperiali, ed è quello che accadrebbe,” gli disse Ahsoka. “Non possiamo mandarli via del tutto. Quello che dobbiamo fare è capire come sopravvivere durante la loro permanenza.”
“Faremmo meglio ad agire in fretta,” si raccomandò Kaeden.
C’era confusione sull’uscio, e diversi imperiali in uniforme entrarono. Si fecero strada dritti verso il bancone, dove aspettarono che gli sgabelli si svuotassero. Poi presero posto, allontanando la clientela di Selda. Il togruta sfregiato continuò a pulire i bicchieri e a disporsi sopra gli scaffali come se non fosse successo nulla di diverso dal solito. Ahsoka si meravigliò dei suoi apparenti nervi d’acciaio.
“Perché dici?” chiese Ahsoka a Kaeden.
“Ho sentito i sorveglianti parlare tra di loro oggi,” spiegò la ragazza. “Hanno intenzione di aggiungere due ore ad ogni turno, per farci fare più lavoro possibile.”
“Non c’è più niente da raccogliere,” disse Hoban, finalmente abbassando la voce. “Abbiamo quasi finito, e dobbiamo attendere che crescano nuove colture.”
“Gli Imperiali hanno trovato un metodo per velocizzare la cosa,” rispose Kaeden, “Useranno questa soluzione, e dovremmo affrontare il raccolto prima di quanto siamo abituati.”
“Li ho visti portare con loro dei semi,” aggiunse Miara. “Qualunque cosa pianificheremo, non potrà essere qualcosa che potremmo tenere per noi.”
“Cercheranno di corrompere i controllori,” suppose Ahsoka. “Avranno abbastanza soldi per tenerli al di fuori del pianeta, e premeranno sul resto degli abitanti fino al midollo. Ho già visto fare cose del genere prima.”
“Nel posto da cui provieni?” domandò Neera.
“Non è importante,” disse Ahsoka. “Dovete solo fidarvi di me.”
“Dobbiamo far saltare in aria i loro piani,” sentenziò Hoban. “Prima che possano organizzarsi.”
“No,” contestò Ahsoka. “So che sarà dura, ma dobbiamo aspettare.”
“Perché?” chiese Hoban, ma prima che Ahsoka potesse rispondere, vi fu un altro rumore proveniente dall’entrata del locale.
Tibbola era ubriaco, anche se il suo turno era finito allo stesso orario di quello di Kaeden. Ahsoka non lo vedeva da settimane, ma il lavoratore doveva aver fatto il giro di tutte le varie cantine che Raada aveva da offrire. Ora che c’erano gli ufficiali imperiali seduti al bancone, era nel suo stato peggiore. Tibbola sapeva essere abbastanza furbo quando era sobrio, ma inebriato com’era in quel momento, era disastroso. Rimase a fissare gli Imperiali fino a quando non lo scortarono fuori dalla locanda. Quando bloccarono il suo tentativo di ordinare un altro giro, perse quel poco di controllo che gli era rimasto e cercò di menare le mani contro di loro. I suoi colpi erano goffi, ma era forte, e qualche suo tentativo andò a fondo tanto da convincere gli Imperiali a rispondere con vigore. Uno di loro spinse Tibbola indietro, in malo modo, e Ahsoka sapeva che sarebbe stato solo l’inizio. L’Impero tendeva a non ostentare semplici avvertimenti.
“Voi Imperiali,” le parole di Tibbola uscirono fuori in un farfuglio mentre incespicava indietro. In qualche modo riuscì a rimanere in piedi. “Venire sulla mia luna e creare il caos. Non avete idea di quello che vi aspetta.”
Un ufficiale tirò un pugno a Tibbola nell’intestino. Fu un colpo duro, abbastanza forte da farlo piegare in due.
Tibbola ruggì e caricò contro l’ufficiale. Ahsoka scattò rapidamente per bloccare Hoban, che si stava per lanciare ad aiutarlo, e Neera lo tirò indietro sulla sua sedia. Kaeden e Mira guardarono la scena inorridite, mentre l’ufficiale tirava un altro colpo contro Tibbola. Poi, con calma, l’ufficiale ordinò ai soldati che erano rimasti ad attendere in strada di entrare e tenere fermo Tibbola.
“L’Impero non tollererà la disobbedienza,” enunciò l’ufficiale, più per gli altri presenti nella cantina che per Tibbola stesso.
Tibbola, in un momento di sobrietà, sembrò realizzare quello che aveva fatto. I suoi occhi si riempirono di panico mentre si apprestava ad osservare la stanza, nella ricerca di qualcuno che lo aiutasse. Nessuno si mosse.
“No,” disse. “Mi dispiace, vi prego!”
Ma fu inutile. L’ufficiale fece un cenno ad uno degli stormtrooper in piedi vicino alla porta, e il soldato sollevò il blaster.
“Non guardare,” sussurrò Ahsoka all’orecchio di Kaeden, e quest’ultima fece girare il capo della sorella verso il tavolo, nascondendo ad entrambe la visuale.
Ma non ostacolò il rumore del blaster, o l’odore della carne carbonizzata. Almeno fu veloce; Tibbola non urlò nemmeno.
Gli Imperiali scavalcarono il corpo fumante e uscirono dalla cantina. Non c’era nessun rumore negli immediati istanti successivi, tranne il suono di Miara che vomitava accanto al tavolo.
“Per questo dobbiamo stare molto attenti,” disse Ahsoka, guardando dritto negli occhi di Hoban mentre parlava. Gli occhi di lui erano completamente spalancati, e lei sapeva che le avrebbe dato ascolto adesso.
“Andiamo, Hoban,” disse Vartan. La sua voce era cupa, ma determinata. “Dobbiamo seppellirlo.”
Sollevarono il corpo e lo trasportarono fuori. Neera andò a loro seguito. Sembrava stesse davvero male. Ahsoka sospettava che avrebbe preferito andare da tutt’altra parte, ma era riluttante a lasciare il fratello da solo. Ahsoka non la biasimava. Una volta che furono andati, si voltò a guardare Kaeden e Miara.
“State bene?” domandò loro.
Ci fu una breve pausa, poi Miara si sporse bruscamente in avanti, vomitando di nuovo nella sua ciotola vuota. Kaeden accarezzò le spalle della sorella, anche se il suo viso era più pallido di quanto Ahsoka l’avesse mai visto. Selda portò loro dell’acqua e del pane, in modo che Miara potesse sentire un altro gusto in bocca.
“Come fai a rimanere così calma?” chiese Miara, a voce alta. Ahsoka sospettò che il pane fosse un po’ stantio e che il concentramento della ragazza nel masticarlo l’avesse resa un po’ isterica. “Da dov’è che vieni?”
“Non tormentarla,” la rimproverò Kaeden con voce tremolante. “Finisci di mangiare e andiamo a casa.”
Kaeden sistemò il tabellone del crokin nuovamente sul tavolo. Mentre Miara masticava obbedientemente, Kaeden iniziò a disporre lentamente i pezzi, e a colpire il suo bersaglio più e più volte, anche se quello non era lo scopo del gioco. Ahsoka pensò che lo stesse facendo per avere qualcosa su cui potersi concentrare.
“Dovresti prendere il pezzo, se è lì,” rifletté Ahsoka, osservando la tabella.
“Cosa?” domandò Kaeden.
“Nel crokin,” spiegò Ahsoka. “Non si possono lanciare tutti i colpi che si vuole. Bisogna cercare di colpire i pezzi dei propri avversari. Quindi è questo che dobbiamo cercare di fare.”
“E colpirli con cosa?” chiese Miara con la bocca piena. “Non abbiamo dei blaster.”
“Vero,” concordò Ahsoka. “Non come quelli. Gli Imperiali vogliono che il raccolto sia veloce. Quindi, quello che dobbiamo fare è renderlo più lento.”
“E come?” disse Kaeden. Entrambe le sorelle sembravano stare un po’ meglio ora. Ahsoka era riuscita a distrarle.
“Non ne ho idea,” ammise. “Non sono una contadina. Ma potrebbe saperlo Vartan, o uno degli altri colleghi. Potete ancora parlare tra di voi nei campi, giusto? Ed è più difficile per gli Imperiali sentirvi lì. Potreste organizzarvi su questo punto di vista. I capi delle squadriglie di riuniranno per discutere delle informazioni e le passeranno ai membri dei loro gruppi.”
“È un’idea geniale,” concordò Kaeden. “E non infrange neppure i regolamenti, dato che è permesso incontrarci con gli altri membri del nostro stesso gruppo.”
“Lo so. È questo a rendere il piano un buon piano,” commentò Ahsoka facendole l’occhiolino.
“E tu che cosa hai intenzione di fare?” chiese Maira ingoiando l’ultimo boccone di pane. “C’è un posto libero nella nostra squadra, dal momento che Malat se ne va.”
Ahsoka ci rifletté – sarebbe stata una terribile contadina, il che avrebbe sicuramente rallentato un sacco i lavori – ma poi le venne in mente un’idea migliore.
“No,” disse. “Continuerò a fare il meccanico per ora, ma ho intenzione di smettere di eseguire dei lavori egregi come da solito. Se le apparecchiature non possono essere riparate, la cosa potrebbe rallentare ulteriormente i lavori.”
“Dobbiamo andare,” disse Kaeden. “È quasi il coprifuoco, e abbiamo un bel po’ di strada da fare.” Non era proprio ancora così tardi, ma Ahsoka trovò difficile premere sulla questione.
“Fate attenzione,” si raccomandò Ahsoka. “Ci vediamo domani. Fate attenzione quando parlerete a Vartan del mio suggerimento, ma lasciate che se ne occupi lui, nel caso si trovi d’accordo.”
Le sorelle annuirono e si diressero verso l’uscita. Miara fece la strada più lunga per evitare di passare nel punto in cui era morto Tibbola, e Ahsoka osservò Kaeden lasciarglielo fare. Poi si spostò al bancone. Avrebbe dovuto andarsene anche lei, ma voleva scambiare qualche parola con Selda prima. Si sedette su uno degli sgabelli prima di rendersi conto che non sapesse neppure di che cosa volesse esattamente parlare
“È stato un pensiero rapido, quello di assicurarsi che le ragazze non guardassero,” commentò Selda. “Ho la sensazione che tu abbia già assistito a molte scene del genere.”
“Su questo non ci piove,” rispose Ahsoka flebilmente.
“Stai attenta, piccoletta,” si raccomandò lui. Ahsoka fece per protestare, ma lui alzò la mano per fermarla. “Anche se non sei così piccola, sei comunque più piccola di me.”
Lei gli rivolse un sorriso. Sembrava così bello che qualcuno si preoccupasse per lei. Forse era quello di cui aveva bisogno, anche se non ne sentiva il bisogno così spesso. Prima, quando aveva dovuto assistere a delle morti, aveva avuto Anakin con cui parlarne. Ora doveva gestire tutto da sola, ovviamente, ma questo non significava che le piacesse.
Selda riversò tutti gli avanzi in un contenitore e glielo passò. La confezione non avrebbe tenuto bene il cibo come il sigillo delle razioni, ma il cibo si sarebbe mantenuto buono ancora per un paio di giorni. Ahsoka si diresse velocemente a casa, calcolando quanto cibo sarebbe riuscita a racimolare e a quanto sarebbe durato a seconda di con quante persone avrebbe dovuto condividerlo. Stava ancora valutando le varie ipotesi quando si addormentò.

 
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(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 10 –



PASSARONO DUE SETTIMANE, e le colture crebbero lentamente. I nuovi sorveglianti Imperiali aumentarono di nuovo i turni lavorativi, in modo che tutti i contadini si trovassero a lavorare per quasi tutto il periodo di luce su Raada. Non aumentarono le razioni di cibo, o il numero di pause, anche se consentirono una maggiore assunzione di acqua. L’efficienza imperiale era al culmine.
Ahsoka passò le sue giornate a contrabbandare cibo, forniture mediche, e riciclatori di acqua nelle sue caverne. Aveva trovato una rete di gallerie tra le colline che partiva dalla sua base originale e che conduceva a dove aveva nascosto la sua nave. Era Selda il suo principale fornitore in città, anche se sapeva che dovessero esserci altri venditori. Non aveva bisogno di conoscere tutti i dettagli, doveva fare solamente la sua parte.
A Vartan e agli altri esperti ci volle un po’ per comprendere che cosa stessero coltivando. Avevano rallentato i lavori il più possibile. Avevano rotto gli aratri, e il meccanico non si era fatto trovare, ma poi gli Imperiali aveva trattenuto del tutto la fornitura di cibo e gli agricoltori erano stati costretti a tornare al lavoro. I semi erano stati piantati ed innaffiati, e ora ne stavano spuntando i frutti dal terreno. Fu allora che Vartan aveva compreso che cosa ne stava crescendo.
“Non è nemmeno cibo vero,” disse, la sua voce era un sussurro disguastato mentre si stringevano attorno al tabellone del Crokin nel locale di Selda. “Serve da supplemento nutrizionale, quel tipo di cose che fanno mangiare ai militari, che non sanno di niente ma che contengono tutti gli elementi necessari per la soppravvivenza.”
“Non vedo perché tu debba trovare questa cosa così offensiva,” osservò Neera. “Perché ti interessa quello che mangiano gli Imperiali?”
“Perché questo particolare tipo di pianta è come una sanguisuga nei confronti del terreno in cui cresce,” spegò Vartan. “Una volta terminato questo raccolto, i campi saranno completamente inutilizzabili. Non potrà più crescervi nulla nelle stagioni a venire, e non sarà una questione che potremo risolvere comprando dei fertilizzanti. Tutta la luna sarà rovinata.”
Kaeden e Miara si scambiarono un’occhiata preoccupata. Raada era l’unica casa che avessero mai conosciuto, e non vi era nessun altro nella gallassia che potesse prendersi cura di loro. Non avevano nessun altro posto dove andare.
“Non ci sono altri campi?” chiese Ahsoka, tenendo la voce più bassa e tranquilla che potesse.
“No,” rispose Vartan. “L’intera Raada è praticamente impraticabile. Per questo non c’è mai stata presenza degli Hutt od organizzazioni simili. Abbiamo sempre avuto qualcuno che ci sorvegliava, ma erano comunque più ragionevoli, ma credo che l’Impero li abbia spaventati e che siano fuggiti.”
“Un po’ li capisco,” commentò Neera. Hoban le lanciò un’occhiata. “Non sto dicendo che sia d’accordo, ma posso capirli. Molti di loro hanno delle famiglie, così come Malat. Puoi biasimarla per il fatto di essersene andata?”
Hoban rimase in silenzio per un attimo, e Ahsoka sapeva che stava cercando di rimanere arrabbiato, perché l’unica altra opzione che aveva era il disperarsi.
“Possiamo ancora fermare questa cosa?” domandò alla fine il ragazzo.
“Hai qualcosa di particolare in mente?” chiese Ahsoka.
“E tu?” ribatté Hoban.
Ahsoka sospirò, e decise che fosse tempo di mettere tutte le sue carte in tavola. O perlomento, la maggior parte delle sue carte. Se avesse continuato a cercare di rimanerne fuori, sarebbe stato solo una questione di tempo prima che Hoban si ritrovasse a fare qualcosa di stupido, e che avrebbe potuto mettere gli altri in pericolo.
“Ci sono delle grotte sulle colline,” disse. Prese un disco del crokin e lo posizionò sopra ad uno dei paletti al centro del tabellone.
“Questo lo sanno tutti,” predicò Hoban. “Ce ne sono troppe per poterle mappare, e non ci cresce nulla là, quindi non ci va nessuno.”
“Io invece ci sono andata,” rivelò Ahsoka. “E ci ho portato un sacco di cose utili.”
“Stai creando dei campi?” si sorprese Kaeden. “Senza dirlo a nessuno?”
“Selda lo sa,” disse Neera. Ahsoka alzò un sopracciglio verso Neera, la quale si strinse nelle spalle. “Immagini che Selda sappia tutto, essendo il principale fornitore di cibo.”
“Sì,” disse Ahsoka. “Ma non ho raccolto solamente del cibo. Ci sono diversi riciclatori d’acqua e qualsiasi materiale medico che ho potuto raccimolare. C’è anche un sacco di altri materiali di scarto. Sapete, lame affilati e circuiti che bisogna stare attenti a non sovraccaricare, perché potrebbero far saltare in aria qualcuno.”
“Ma vorresti che aspettassimo ancora un po’,” constatò Hoban. “Mentre la nostra casa muore sotto di noi.”
“Voglio che lo pensiate,” puntualizzò Ahsoka.
“Lascia stare, Hoban. Lei ha ragione,” disse Neera. Si voltò verso la tabella e lanciò il suo disco del crokin. Mancò per poco il piolo dove si nascondeva il pezzo di Ahsoka.
“Cosa vuoi che facciamo?” chiese Vartan. “Non possiamo rallentare ulteriormente il lavoro nei campi. Gli Imperiali lo noterebbero.”
“Potete fare a meno di Miara e Kaeden per qualche giorno?” chiese Ahsoka. “Mi piacerebbe portarle assieme a me. Miara può iniziare a costruire delle serrature più grandi come già avevamo già detto, e Kaeden ed io potremmo iniziare ad organizzare il nostro potenziale attacco. Posso costruire un marchingegno per l’opposizione, ma Kaeden ha una maggiore familiarità con la geografia locale. Può aiutarmi a decidere dove posizionarlo.”
Vartan guardò le ragazze ed annuì.
“Diremo agli Imperiali che siete malate, nel caso facciano domande,” confermò. “E ci dimenticheremo misteriosamente dove vivete, in modo che non possano controllare. Non è altro che una piccola storiella di copertura, ma è il meglio che possiamo fare.”
“Andrà più che bene,” disse Ahsoka. “Abbiamo bisogno solo di pochi giorni per organizzarci, e poi saremo in grado di agire. Nel frattempo, tenete un basso profilo. Siamo già abbastanza in pericolo.”
Lo sguardo di Miara si rivolse verso il pavimento dove era stato ucciso Tibbola, ma Hoban decise comunque di fulminare Ahsoka con lo sguardo. Se avesse qualche protesta da fare, non la condivise. Invece, Selda giunse al tavolo e servì loro una nuova cena secondo le nuove restrizioni imperiali, e ben presto furono tutti troppo impegnati a mangiare per parlare.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Jenneth Pilar era seduto nel suo nuovo ufficio temporaneo a far scorrere lo sguardo tra i numeri. Era quasi terapeutico, vedere i suoi calcoli sommarsi nel modo in cui voleva, più e più volte. Era incoraggiante vedere che gli errori che aveva commesso erano pochi e piccoli. Aveva concepito tutto alla perfezione. Lì, in quella piccola stanza spoglia su quel mondo presto desolato, aveva calcolato la vita e la morte e sarebbe stato ripagato bene per ciò. Non era male come lavoro, tutto sommato, anche se il cibo era terribile.
Raada era un posto noioso, ma sarebbe servito bene al suo scopo. L’Impero avrebbe ottenuto ciò che voleva e si sarebbe poi diretto verso una nuova strada migliore. I contadini avrebbero ri-ottenuto la loro libertà, per quanto sarebbe stata una cosa positive per loro. Avrebbero dovuto soppesare prima ai rischi del diventare agricoltori. Jenneth chiuse un occhio per la sofferenza che avrebbero portato le sue azioni, un privilegio che non avrebbe mai voluto dover subire.
Guardò fuori dalla finestra verso le ordinate file di campi, e poi alle praterie al di là, inutile per poterci far crescere qualcosa. Ancora oltre vi erano delle collinette dal terreno troppo roccioso ed inutile per coltivare e probabilmente freddo una volta che il sole calava. Ma qualcosa laggiù fece provare a Jenneth un brutto presentimento. Non aveva contato quelle colline nei suoi calcoli, perché le scansioni planetari che aveva stufiato avevano assicurato che fossero sterili. Allo stesso tempo, la loro semplice esistenza avrebbe dovuto meritare la loro inclusione nella sua formula. Odiava le equazioni non ben bilanciate.
La mattina seguente avrebbe preso una nave e sarebbe andato a studiarle più da vicino. Non ci sarebbe potuto andare ora, per quanto improvvisamente avrebbe voluto farlo, in quanto era ormai troppo tardi e la giornata stava finendo. Era quasi ora del coprifuoco, e il sole stava già abbandonando le ultime anime lacerate che incespicavano verso casa dopo una dura giornata quasi di schiavitù al servizio dell’Impero. Se solo avessero saputo che cosa li attendeva.
Jenneth guardò con avversione la sua cena, una classica barretta alimentare che faceva sentire il suo stomaco come se lo avessero appena imbrogliato, e contò i giorni che doveva rimanere ancora su quella luna. Ne mancavano ancora davvero molti. Tornò sui suoi calcoli e il pensiero dei lavori, della produzione dei campi, lo fece rilassare subito. Il lavoro che aveva fatto fin’ora non era niente male, e stava per far andare tutto molto meglio dal momento che l’Impero lo avrebbe pagato per farlo. Non aveva alcuna intenzione di pesare sulle povere anime desolate che chiamavano Raada casa, abbandonati su una roccia senza vita.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Parlarono nei campi. Gli Imperiali non potevano sentirli fin lì, e nemmeno la ragazza che si faceva chiamare Ashla.
“Non credo che sia una buona idea,” esitò Kaeden. “Ashla vorrebbe che aspettassimo.”
“Ashla non è qui,” sbottò Hoban. “È arrivata qui su Raada proprio prima che lo facessero gli Imperiali, e non ti ha voluto neppure svelare il suo nome in un primo momento. Non sappiamo niente di lei. Per quanto ne sappiamo, potrebbe anche essere una di loro.”
“Questo è ridicolo,” esplose Kaeden, ma Miara sembrò esitare.
Kaeden strinse i pugni. Non le piaceva quando le altre persone non la pensavano come lei, specialmente quando avevano ragione loro. Neera alzò la mano.
“Ascolta, Kaeden, so che lei ti piace, ma pensaci,” disse. “Ashla l’ha detto lei stessa. Non ne capisce di agricoltura. Non capisce che cosa perdiamo effettivamente a lasciare ogni giorno queste piante innestate nel terreno. Lei ha una nave. Potrebbe andarsene quando vuole.”
“Ma non lo ha ancora fatto!” sottolineò Kaeden.
“Chiunque abbia un po’ di sale in zucca se ne andrebbe,” disse Neera. “Chiunque possa farlo. Eppure lei è rimasta. Perché pensi lo abbia fatto?”
“Magari le piacciamo,” ipotizzò Kaeden.
“Oh, Kaeden,” sospirò Neera. Fu quasi gentile, ma fu comunque dura da sentire.
“Non trattarmi come fossi una bambina, Neera,” disse Kaeden, e odiò il modo in cui suonò petulante mentre lo diceva. “E non vi azzardate a coinvolgere mia sorella in qualcosa di pericoloso.”
“Io farò quello che vorrò fare,” si inserì Miara. Kaeden la guardò bruscamente. Erano alte uguali ormai. Quando era successo?
“Tutto quello che stiamo cercando di dire è che se Miara può fare cose per conto di Ashla può farlo anche per noi,” spiegò Hoban. “Ha senso tenere i nostri rifornimenti separati. In questo modo, se dovesse succedere qualcosa ad Ashla, non saremo presi alla sprovvista.”
Kaeden esitò. Voleva fidarsi di Ashla, ma quello che diceva Hoban aveva senso. Ashla aveva detto un sacco di cose di sé, o comunque le aveva sottintese. Ma allo stesso tempo aveva lavorato con Selda, senza dirlo a nessuno, e aveva rubato la sua stessa nave. Non c’era niente di male se Kaeden avrebbe deciso di aiutare la sua stessa squadra.
“E va bene,” setenziò. “Ci sto. Domani Miara ed io andremmo con Ashla e cerceremo di capire il più possibile. E poi lo condivideremo con voi.”
“Bene,” disse Hoban. Alzò gli occhi e vide che Vartan si stava dirigendo verso di loro, così si allontanò dalle ragazze e si concentrò sul suo lavoro.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Ad Hoban toccava l’innaffiatura oggi. Il lavoro non gli portava via troppa concentrazione, ma richiedeva muscoli delle spalle forti, cosa che aveva in abbondanza. Miara era più sottile, come un corridore, quindi era incaricata di correre in giro a comunicare messaggi. Le spalle di Hoban dovevano sotto il peso. Non gli importava dover fare un duro lavoro, ma quello era estremo, ed era solo una questione di tempo prima che diventasse troppo debole per potersi guadagnare delle razioni. E se lui si sentiva così, figurarsi gli altri.
Le ragazze si sarebbero arrese per prima, ne era sicuro. Erano forti, ma non indistruttibili. Miara aveva già attirato abbastanza l’attenzione degli Imperiali, che mettevano in dubbio le sue capacità nei campi. Se l’avrebbero mandata via, avrebbe perduto anche quella piccola dose di razione che ancora riceveva. Hoban le avrebbe aiutate, anche se Ashla non poteva comprenderlo. Lei non capiva l’agricoltura come faceva lui, ma avrebbe dovuto, e poi si sarebbe resa finalmente conto che si trovavano tutti sulla stessa barca.

 
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AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 10.5 –



AHSOKA AVEVA FATTO un terribile affare con quella nave, ma non le importava. I soldi che non aveva venivano prima di qualsiasi tratta monetaria, e la navetta ne era la prova, troppo facile da rintracciare. Avrebbe fatto meglio a viaggiare senza, anche se fosse stato un po’ più complesso. Cercò di disperdere ogni traccia del suo passaggio, e quando doveva riferire i codici per l’atterraggio o per la partenza aveva sempre qualche attimo di esitazione.
L’uomo che aveva comprato la nave aveva la pelle ed i capelli scuri aveva detto di chiamarsi Fardi, anche se Ahsoka non glielo aveva chiesto. Le sue figlie, forse le sue nipoti – Ahsoka non aveva ben chiaro i loro legami di parentela – l’avevano conosciuta alla pista di atterraggio. Avevano tutte le stesse cromie tipiche della famiglia, solo di gradazioni diverse. Avevano parlato della cittadina, dove Ahsoka avrebbe potuto trovare del cibo o un posto dove stare, così Ahsoka chiese loro se sapessero dove avrebbe potuto sistemare la sua nave ad un prezzo decente.
O per lo meno, ad un prezzo che si avvicinasse ad una cifra decente. Ma il commercio le aveva fatto trovare delle amicizie, e a queste non parve non avere piacere che lei si procurasse una nave con i suoi stessi crediti.
Le ragazze Fardi – saltò fuori che quello era il cognome della famiglia – presero Ahsoka sotto la loro ala, anche se lei aveva almeno tre anni più di loro. Le mostrarono una casa vuota che avrebbe potuto occupare e le raccontarono dove potesse trovare i negozi con i prezzi migliori. Una volta che Ahsoka scoprì di poter riuscire ad aggiustare i droidi, organizzò immediatamente un’operazione di contrabbando. Certo, molte delle imprese dei Fardi facevano lavori legittimi, ma la maggior parte di loro la utilizzava come copertura per altri lavori un po’ più loschi. Ashla non fece domande a riguardo, dato che non voleva attirare l’attenzione. Dopo tutto, anche Ahsoka voleva fare un po’ di soldi e non ricevere domande a cui dare una risposta, e pensava fosse un trattamento equo.
Per diversi mesi, Ahsoka era scivolata in uno stato comatoso di lavori funzionali. Si rifiutò di provare a provare qualcosa e non parlò molto con nessuno, ma fu in grado di perseguire le normali attività della vita quotidiana, come se niente fosse. Nessuno di coloro che la conoscevano sarebbero stati ingannati per un solo istante, ma nessuno di loro c’era più, quindi la bugia tenne. Cercò di ingannare anche sé stessa e iniziò quasi a credere che Ashla fosse una persona reale, dopo tutto. Le piaceva essere utile e di fare parte di qualcosa, ei Fardi si occupavano di denaro, non di sangue e massacri, quindi lei fu anche in grado di dormire la notte.
Due mesi prima del primo anniversario dell’ascesa di Palpatine ad Imperatore, Ahsoka vide qualcosa che quasi non cambiò tutto quanto. Era al cantiere, ad armeggiare con uno dei droidi più grossi e che non era facile da far spostare. Molti dei ragazzi Fardi più giovani stavano giocando nel cortile, anche se non avrebbero dovuto farlo, dal momento che era pericoloso. Ahsoka stava per mandarle via, quando una pila di casse con cui si stavano divertendo iniziò a traballare e a cadere.
In seguito, quando fu in grado di ripensare all’accaduto, Ahsoka fu felice di sapere che era riuscita ad affrontare la cosa immediatamente di petto, con l’aiuto della Forza. Il torpore che aveva cercato di mantenere a seguito dell’Ordine 66 era rimasto intatto, ma era rimasta a guardare la scena in silenzio, mentre le casse crollavano, e mentre anche i bambini urlavano cadendo a terra. Aveva continuato a fingere.
Poi le urla cessarono. Le casse si fermarono, e i bambini si tranquillizzarono. Gli altri bambini si guardarono, cercando di capire che cosa fosse successo, ma Ahsoka già lo sapeva. Si tenne pronta a scattare all’azione. Si guardò intorno e vide la piccola Hedala Fardi, in piedi tranquilla con uno sguardo affascinato in volto.
“Sapete che non dovreste giocare qui,” disse Ahsoka, nella speranza di scongiurare eventuali domande imbarazzanti che avrebbero potuto farle i bambini. “Potevate venire schiacciati dalle casse. E questo non è il modo dei Fardi per andarsene!”
Aveva fatto bene a fare appello al loro orgoglio e alla paura dei guai in cui si sarebbero cacciati.
Fecero giurare Ahsoka di mantenere il silenzio riguardo all’accaduto, e le promisero una cospicua quantità di dolci, l’unica moneta di scambio che avevano, e poi scapparono. Non ne parlarono mai più, e Ahsoka era abbastanza sicura che non avessero notato quanto fosse rimasta sconvolta.
Continuò ad osservare Hedala con maggiore attenzione dopo quell’episodio. Era certa che fosse l’unica ad aver visto e compreso che cosa avesse fatto Ahsoka. Tre giorni dopo, vide con orrore come Hedala, tutta sola e lontana dagli altri bambini, spostare una piccola pietra da un lato all’altro di una porta senza nemmeno toccarla con un dito.
Avrebbe dovuto fare qualcosa. Avrebbe dovuto avvertire la famiglia della ragazzina ed aiutarla ad andarsene da lì. Ma non aveva idea di come si nascondesse una bambina sensibile alla Forza dall’Impero. Riusciva a malapena a nascondere sé stessa. Quindi alla fine non fece niente. Si disse che avrebbe dovuto pensare ad un piano, ma non lo fece, o perlomeno lo trovò molto difficile.
E poi venne il Giorno dell’Impero, e gli Imperiali giunsero lì in numero maggiore. Ahsoka avrebbe potuto sostenere la sua terra, avrebbe potuto combattere, ma non poteva contrastare l’Impero intero. Non si ricordò di Hedala Fardi fino a quando non fu in volo, e fu ormai troppo tardi.


 
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view post Posted on 9/1/2018, 10:29
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STAR WARS

AHSOKA


(E.K. Johnston)


– CAPITOLO 11 –



KAEDEN SEDEVA A GAMBE INCROCIATE sopra ad una cassa, con la mappa di Raada distesa sopra di sé, e guardò sua sorella. Miara stava lavorando ad una serie di esplosivi, tutti con una percentuale deflagrante molto più alta di quella che era solita impostare per le serrature, e Kaeden fu un po’ infastidita dal quanto le sembrasse semplice costruirne. Ashla era uscita da più o meno un’ora, per andare a prendere qualcosa – o così aveva detto – e Miara aveva approfittato del tempo buco per costruire delle bombe più potenti rispetto alle direttive che le erano state date da Hoban o quelle suggerite da Ashla.
“È una buona combinazione, credo,” considerò Miara nel mentre lavorava. Era ovviamente ignara dell’avversione della sorella, oppure stava deliberatamente ignorando la cosa. “Le bombe di Ashla sono buone contro i camminatori imperiali o per far saltare qualche porta. Hoban vorrebbe che potessero liberarci la strada, ovunque dovessimo ritrovarci a dover andare.”
“E se ci fossero delle persone comuni sul cammino da liberare?” chiese Kaeden. “È come se rivoltassi la tua trebbiatrice contro la gente invece che sul raccolto.”
Per la prima volta Miara esitò. Poi la sua espressione si indurì.
“O noi, o loro,” sentenziò. Non sembrava più avere solo quattordici anni. “Kaeden, non abbiamo altra scelta.”
Kaeden non disse nulla. Avevano passato già un altro paio di ore a parlare, il giorno prima, dopo che il loro turno di lavoro fosse finito, a cercare di tirare Miara fuori dal piano di Hoban, ma non ne avevano ricavato nulla. Ogni volta che provava a dissuaderla, Miara saltava fuori con qualche esempio sul quante volte la gente su Raada le avesse aiutata prima che fossero abbastanza grandi per poter cavarsela da sole. Kaeden sentiva ognuno di questi favori come se fossero debiti, come un peso sulle spalle. Prima che fosse abbastanza grande per poter lavorare per un turno completo, era stata la gentilezza e la generosità delle persone a contribuire al suo mantenimento e a quello di sua sorella e a poter mantenere la casa della loro famiglia, quella che avevano costruito i loro genitori quando questi avevano deciso di stabilirsi su Raada. Non era molto, ma a Kaeden era piaciuto fare colazione accanto alla stufa, così come era solito fare suo padre, e tutt’ora le piaceva anche fissare le pareti che aveva costruito sua madre, anche se non erano venute su perfette. Miara sapeva bene come dovesse sentirsi Kaeden e per la prima volta fu pienamente spietata nel sfruttare quella sua debolezza contro di lei. Quando arrivò il tempo di tornare a casa e di infilarsi nei loro letti, Kaeden fu quasi sul punto di cambiare idea. Poi sognò Tibbola venire sparato; solo che nel sogno era Vartan a venire colpito al suo posto, e poi Miara, e Ashla, e per tutto il tempo Kaeden era dovuta rimanere a guardare.
Il mattino seguente, era stata scossa e si sentiva in conflitto con sé stessa, e per lo più inutile. Non aveva detto ad Ashla che cosa avessero deciso di fare gli altri, e non aveva nemmeno aiutato più di tanto Miara. Invece, aveva passato buona parte del tempo a fissare la mappa sperando che nessuno le facesse qualche domanda a cui non avrebbe saputo dare una risposta.
La cosa aveva funzionato bene, per le prime ore perlomeno. Lei e Ashla non fecero alcun segno sulla mappa, nel caso in cui fosse caduta in mani sbagliate, aveva consigliato Ashla, ma discussero delle grotte che Ashla aveva trovato dove si sarebbero potuti creare degli accampamenti sufficientemente grandi per le persone che Vartan stava reclutando con il pretesto di dover fare riunioni per il raccolto. Tutto quello che doveva fare Kaeden era impegnarsi nel tenere le cose in memoria, che era la stessa cosa che stava facendo apparentemente Ashla al di fuori del suo incarico misterioso.
“Dove pensi che vada?” le domandò Miara. Kaeden sperò che la sorella stesse cercando di cambiare discorso e fu più che felice della cosa.
“Non ne ho idea,” ammise Kaeden. Poi indicò un punto sulla mappa- “Questa è la catena di gallerie principale. Ci sono diverse gallerie, ma la maggior parte sono troppo piccole per poter essere percorse. Sono giusto grandi per una persona di piccola costituzione. Potrebbe essere andata a portare qualcosa in una di queste grotte. Abbiamo parlato di un passaggio, o più che altro di una possibile copertura per poter nascondere un po’ le vie d’ingresso.”
“Sarebbe una buona idea,” concordò Miara. “Posso pensare io al sistema di sicurezza, se riusciamo ad installarne uno.”
“C’è anche la sua attività,” disse Kaeden. “So che si sta occupando di qualcosa, perché la sua nave è ancora là fuori da qualche parte, ma ci sono anche gli affari che sta tirando su con Selda.”
“Spero che ci riveli dove abbia messo la sua nave,” disse Miara.
“E io spero che tu le dica delle bombe,” le rispose di rimando Kaeden. “Ma tu non vuoi, quindi smettila di lamentarti.”
“È solo che non so perché lei sia così desiderosa di aiutarci,” espose Miara, facendo eco a quello che aveva detto Neera la sera prima. “Potrebbe andarsene quando vuole.”
“Tu vuoi che se ne vada?” Chiese Kaeden, quasi sfidando la sorella ad ammettere quello che Kaeden aveva sempre supposto che pensasse. Miara non abboccò all’amo.
“Certo che no,” rispose Miara. “Sembra conoscere queste cose molto meglio di chiunque altro qui su Raada. Vorrei solo che ci dicesse come abbia fatto ad averle apprese.”
“Beh,” disse Kaeden. “Forse dovremmo darle un po’ di tempo. Credo che quello che le sia accaduto sia qualcosa di troppo brutto e doloroso, e che non sia ancora pronta a parlarne.”
Miara emise un suono vago e tornò alla complessità del suo lavoro. Kaeden passò un dito lungo una linea sulla mappa, quella che delineava un canale ripido ed in pendenza. Era lì che si poteva nascondere una nave, se si aveva una nave da nascondere. Ma non aveva intenzione di condividere tale informazione con Miara, però.
Ashla comparve sull’ingresso della grotta, sorprendendo entrambe le ragazze. Aveva con sé un pacco enorme che Kaeden non era sicura di come avesse fatto a portarla fino a lì. Ashla non aveva le spalle larghe come quelle di Neera e non era alta come Vartan, né tanto meno aveva anni di esperienza di lavoro nei campi tanto da allenare la sua forza, eppure in qualche modo era chiaramente molto forte nonostante sembrasse delicata. Forse era una cosa da Togruta. Kaeden dopo tutto non sapeva molto della loro fisiologia.
“Ecco tutti i rifornimenti che avevo nascosto nella prima grotta che ho trovato.” La confezione produsse un tonfo forte quando toccò il terreno. “Ho iniziato a raccogliere cose prima di sapere che avrei dovuto condividerle. Ma probabilmente è meglio se teniamo tutto in un unico posto.”
Miara stette per fare un’osservazione pungente sulla nave, ma Kaeden la interruppe prima che potesse dire qualcosa. “Perché hai raccolto delle scorte appena sei arrivata qui?” domandò. “Non c’erano ancora gli Imperiali.”
“Vecchie abitudini,” spiegò Ashla tagliando corto. Cercò di sembrare spensierata, ma c’era qualcosa di terribilmente serio nei suoi occhi. “Non ero sicura di quanto fosse sicura la casa, ma ora lo so bene.”
Kaeden si alzò per aiutarla a sistemare le cose, e trascorsero un paio di ore ad organizzare le forniture mediche e a cercare di attivare un convertitore di potenza che sembrava più duro di tutte loro tre messe insieme.
“Che cos’è?” Domandò Miara quando presero un pacchetto di razione ed una borraccia ciascuna.
Ashla aveva in mano una piccola borsa di stoffa. Kaeden l’aveva vista tirarlo fuori da una sacca più grande nel primo pomeriggio, ma non disse nulla.
“Oh, solo alcune cianfrusaglie che ho raccolto,” disse Ashla. Aprì la sacca in modo che Miara vi potesse guardare dentro.
“È un sacco di robaccia,” disse Miara sprezzante. “Cioè, niente di utilizzabile. Niente di utile.”
“È solo una cosa che mi piace fare,” disse Ashla. C’era una nota strana nella sua voce, un misto di difesa e di desiderio che Kaeden credette di riconoscere.
“Anche a nostra mamma piaceva farlo,” disse Kaeden. “Aveva sempre le tasche piene di oggetti di scarto che trovava. Era una cosa che faceva impazzire nostro padre, dato che le ritrovava sempre quando doveva fare il bucato.”
“Di solito litigavano per questa cosa,” aggiunse Miara. “Ma in senso buono, sai?”
Kaeden realizzò che forse ad Ashla non sarebbe piaciuto, ma non riuscì a resistere dal fare quella domanda.
“I tuoi genitori litigavano?” chiese. “Quelli adottivi, voglio dire.”
Un lento sorriso fece capolino sul volto di Ashla, arricciando prima un lato della bocca e poi l’altro. Qualunque cosa stesse ricordando, Kaeden capì che doveva essere bello.
“Tutto il tempo,” disse Ashla, quasi come se stesse parlando a sé stessa.
Miara si immerse nel raccontare dei loro genitori, quando si erano conosciuti al suono del corno per segnalare il cambio turno. Era una storia che Kaeden ricordava bene, quindi ascoltò solo a metà mentre sua sorella parlava. Il resto della sua attenzione si concentrò su quello che avrebbe dovuto fare dopo: decidere se ascoltare i consigli di Ashla o dare retta alle scelte di sua sorella e della sua squadra. Sapeva di non poter abbandonare Miara, ma le idee di Ashla le sembravano una scelta migliore. Alla fine, giunse al compromesso di adattarsi ad entrambi i lati. Sarebbe rimasta con Miara e avrebbe ascoltato quello che avrebbe detto Hoban. Se Vartan pensava che fosse una buona idea, li avrebbe seguiti, ma se le cose le sarebbero sfuggite di mano, sarebbe andata da Ashla e le avrebbe detto tutto. Quella soluzione non era perfetta, ma poteva funzionare, e Kaeden era brava a far funzionare le cose.
“A che cosa stai pensando così seriamente?” chiede Miara quando Kaeden non rise alla parte divertente della storia. Ashla lo aveva fatto, cosa che almeno procurò a Kaeden un sorriso.
“Scusate,” disse. “Sono solo un po’ stanca, e preoccupata per tutta questa situazione.”
Agitò la mano, ma sapeva che la sorella avrebbe interpretato quel gesto in modo differente rispetto a come avrebbe fatto Ashla.
“Dovremmo riposarci un po’,” propose Ashla. “Abbiamo ancora un paio di giorni, e poi dovremo concentrarci a lavorare sui dettagli.”
La pavimentazione della caverna era piuttosto dura, ma riuscirono comunque a trovare un punti in cui dormire, dove non vi erano rocce che sporgevano dal pavimento.
“Servono delle brande,” rifletté Ashla mentre si avvolgeva in una coperta. “Anche se non ho idea di come potremmo riuscire a portarle qui, però.”
“Selda magari lo sa,” disse Kaeden, e si coricò a dormire.

♦ ♦ ♦ ♦ ♦

Nei seguenti due giorni, Miara costruì esplosivi seguendo le specifiche suggerite da Ahsoka. Ci vollero più componenti di quanto si fosse immaginata, ma la fabbricazione di armi non era mai stato il suo forte. Nel mentre Miara lavorava, Ahsoka e Kaeden installarono una porta, utilizzando un vecchio boccaporto di metallo che Selda era riuscito a procurarsi in un qualche modo e l’avevano saldato nell’entrata principale. Poi controllarono la maggior parte delle altre entrate e delle caverne. Ne lasciarono alcune intatte, quelle che potevano essere nascoste maggiormente alla vista e quelle che fungevano da linea dritta per l’insediamento. Era rischioso, ma Ahsoka decise che quell’ingresso sarebbe stato strategicamente necessario. Non vi era nulla di vantaggioso nella creazione di un campo se non avrebbero potuto sfruttarlo in tutto e per tutto.
Il quarto giorno, scivolarono di nuovo in città proprio mentre il sole stava tramontando. Kaeden e Miara andarono dritte a casa, dato che avrebbero dovuto proferire i progressi alla gente dei campi il giorno successivo, ma Ahsoka andò da Selda per incontrarsi con Vartan. Nel corso di una partita a crokin, che Ahsoka perse in modo indegno in confronto alla stupefacente superiorità di Vartan nel gioco, sottolineò di come fossero proceduti i lavori.
“Ho scelto il resto del gruppo con particolare cura,” disse lui. “Non solo tra coloro che vivono a Raada da più tempo, ma anche quelli che lavorano da molto con le stesse squadre.”
Ahsoka fece la sua mossa, ma mancò il colpo. Fu una partita difficile, dato che non poteva usare le sue capacità al meglio.
“Ho osservato gli stormtroopers, e hanno unità e gruppi di pattuglia. Penso che avrebbe senso mantenerci organizzati e pronti, e avere squadre che sono già abituate a lavorare tra di loro credo sia il modo migliore per reclutare le persone,” continuò Vartan. “E sembra funzionare bene.”
“Quante persone abbiamo?” chiese Ahsoka. Vartan pose un altro dischetto al centro del tabellone, e i suoi punti comparirono lampeggiando sulla tabella.
“Otto squadre, inclusa la nostra,” disse Vartan. “Quindi una quarantina, contando anche le aggiunte come te e sottraendo altri membri come Malat e suo marito.”
Non vi fu amarezza quando parlò di Malat, anche se lei era stata parte del suo gruppo più di tutti gli altri. Ahsoka sapeva che Malat aveva cercato di fare in modo che Kaeden e Miara potessero partire con la sua famiglia, ma non pensava che qualcuno lo avesse detto alle ragazze. Alla fin fine non sarebbe servito a nulla, ma Ahsoka sapeva che Vartan aveva apprezzato quello sforzo.
“Devo tornare a casa,” disse Ahsoka. “È più tardi di quanto pensassi, e sono stata lontana dalla città abbastanza perché qualcuno possa averlo notato. Faremo un resoconto completo domani.”
“Fai attenzione,” si raccomandò Vartan.
Lei rispose con un cenno del capo e si diresse fuori, con una breve pausa per salutare Selda mentre passava per il bar.
Non si accorse di Hoban, che sedeva in un angolo nel lato opposto. Lui la osservò allontanarsi, poi si piegò in avanti per attirare l’attenzione di Vartan. L’uomo più anziano annuì, e Hoban si alzò per andare a concordare i suoi piani di azione.



Edited by Pandora_Key - 9/1/2018, 13:16
 
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