QUELLA DI SELDA ERA UNA PICCOLA CANTINA, ma riusciva a produrre un sorprendente livello di rumore. Ahsoka fu molto felice di non aver scelto un’abitazione lì vicino, o non sarebbe mai riuscita a riposare la notte. Facevano musica dal vivo, naturalmente, ma il posto era anche pieno zeppo di persone, nessuna delle quali sembrava in grado di parlare ad un livello di voce normale. “Andiamo!” urlò Kaeden. “Ci sediamo in un angolo da qualche parte, in modo che possiamo parlare più facilmente.” Ahsoka aveva i suoi dubbi a riguardo. Francamente, stava ancora rimuginando sul fatto della sua decisione di uscire con Kaeden e gli altri. La ragazza si era presentata giusto dopo qualche minuto che Ahsoka aveva accettato di svolgere una piccola riparazione per un tipo davvero odioso di nome Tibbola, e l’aveva invitata ad andare del cibo vero. Ahsoka aveva provato a protestare, ma non riuscì a rifiutare, e nonostante lei e Kaeden fossero già giunte alla porta della cantina desiderò di aver fatto un po’ più di resistenza. “Sei sicura?” chiese. “Non ci sarebbe un posto un po’ più tranquillo?” “Cosa?” disse Kaeden. Ahsoka ripeté le parole direttamente nell’orecchio di Kaeden. Com’era possibile che qualcuno potesse sentire qualcosa in quel posto? Come facevano ad ordinare da bere? “No,” replicò Kaeden. “Selda ha il cibo migliore. Staremo più tranquilli sul retro.” Ahsoka rinunciò e si limitò a seguire Kaeden attraverso la folla. La ragazza aveva le spalle larghe, e non aveva paura di usarle per aprirsi un percorso. Quando superarono la calca principale, Kaeden svoltò a sinistra e condusse Ahsoka ad un tavolo che era già occupato. “Mia sorella, Miara,” presentò Kaeden, indicando una ragazza dalla pelle scura seduta al tavolo. A differenza di Kaeden, i cui capelli mori erano strettamente intrecciati, aveva i capelli sciolti. Erano molto, molto ricci e le circondavano la testa come fossero una soffice nuvola. Ad Ahsoka piacquero molto, anche se non aveva idea di come facesse Miara con quella zazzera quando doveva lavorare. “Ciao!” salute Ahsoka. “Io sono Ashla.” Scivolò sul sedile accanto a Kaeden e cercò di richiamare fuori la personalità che aveva scelto per Ashla dalla parte più profonda della sua mente. Vennero fatte altre presentazioni, e in poco tempo Ahsoka aveva stretto la mano a tutti i membri del gruppo di Kaeden. Erano tutti umanoidi tranne uno. Vartan era il più anziano, un uomo vissuto sulla quarantina. In un primo momento, Ahsoka pensò che la sua calvizia fosse un vezzo, come quello che avevano alcuni dei cloni per tenere la testa al fresco sotto i loro caschi, ma quando lo osservò più da vicino, si rese conto che non vi era la minima ricrescita. Non capiva esattamente come funzionava la cosa dei capelli, non avendone di propri, ma sapeva che gli uomini erano spesso sensibili a quel genere di cose, quindi, anche se ne era incuriosita, non fece domande a riguardo. Malat, una donna Sullustan sulla trentina, dovette andare subito dopo le presentazioni. Lei ed il marito facevano turni diversi, quindi doveva tornare a casa a dare da mangiare ai suoi figli. Le ricordò un po’ Maestro Plo, il quale tendeva sempre a prendersi cura degli altri nonostante fosse occupato o stanco. I gemelli, Hoban e Neera, avevano solo pochi anni in più rispetto ad Ahsoka. Avevano la pelle molto più pallida rispetto agli altri, e gli occhi azzurri. Erano anche molto schietti rispetto a Kaeden quando domandarono ad Ashla del suo passato. Ahsoka sapeva che avrebbe dovuto dire alcune informazioni durante il suo cammino, quindi disse quello che poteva. “Sono un meccanico, o, perlomeno riesco ad aggiustare le cose,” disse. “È un piacere conoscerti, allora,” disse Hoban. “Soprattutto se riparerai le nostre trebbiatrici così come hai fatto con quella di Kaeden.” “Anche le vostre si sono rotte?” domandò Ahsoka. “No,” rispose Miara, “Ma sono davvero vecchie e mal funzionanti. Quella di Kaeden adesso funziona meglio di quanto abbia mai fatto, anche meglio di quando l’ha comprata.” “Sarei felice di darci un’occhiata,” disse Ahsoka. “Non può di certo essere peggio del mio altro ingaggio.” Tutti guardarono Kaeden sorpresi. Lei fece una smorfia. “Tibbola è arrivato da lei prima di me,” spiegò. “Beh, almeno non l’ha terrorizzata,” suggerì Hoban. “E lui non viene qui a bere molto spesso.” “Perché no?” Chiese Ahsoka. “Kaeden ha detto che questo posto è il migliore.” Hoban e Neera si scambiarono un’occhiata, e Neera si sporse in avanti. “Tibbola è sempre mezzo ubriaco,” disse. “È stupido. Da sobrio, riesce anche a tenere a freno la lingua, ma quando beve anche solo un goccio, comincia a trattare male le persone.” Ahsoka lo capì. Non era abituata alle emozioni incontrollate. Aveva trascorso la maggior parte della sua vita in mezzo a gente che si sentiva coinvolto dalle situazioni, ma che riusciva comunque a tenere i propri sentimenti sotto controllo, spesso. Quello era stato uno dei motivi per cui il tradimento di Barriss Offee l’aveva colpita così nel profondo. Barriss era arrabbiata con l’Ordine Jedi e aveva cercato di ottenere la simpatia di Ahsoka, e la sua alleanza, ma l’aveva fatto per il motivo più crudele che si potesse immaginare: forzando le scelte di Ahsoka stessa. L’avere una persona che considerava amica che l’aveva usata per scatenare la sua rabbia profonda contro l’Ordine le aveva fatto cambiare ogni prospettiva nel vedere le cose. Anche se non era esattamente la stessa cosa, Ahsoka era felice di non dover avere a che fare con i borbottii fastidiosi di gente ubriaca. Non aveva fretta di mettersi contro dei bulli. “A noi non piace molto,” disse Miara. “E nemmeno Selda, ovviamente, anche se non può cacciare sempre via un cliente, se questo paga.” Ahsoka seguì il gesto di Miara e vide un alto Togruta in piedi dietro al bar. La sua pelle era dello stesso colorito della sua. Il suo lekku sinistro era stato tagliato all’altezza delle spalle, ma non vi era alcun tessuto cicatriziale. “Un incidente agricolo,” spiegò Vartan. “Molto tempo fa. Possono darti protesi per mani e piedi, ma non possono fare molto nel caso ti perda i lekku.” Selda incrociò il suo sguardo – Ahsoka sperò che non pensasse che lo stesse fissando – e annuì formalmente. Lei agitò la mano in segno di saluto e sorrise. Lui tornò a pulire i bicchieri, lasciandola riflettere su quale potesse essere la funzione di una protesi di lekku. Lui sembrava pendere verso sinistra mentre lavorava, ma non sembrava che la cosa lo ralentasse. “Ora che ti ha vista, scommetto che otterremo un servizio migliore,” commentò Hoban. “Idiota,” lo rimproverò la sorella, e gli diede uno scappellotto sulla nuca. La bevanda di lui si rovesciò mentre lo colpiva. “Pensi che tutti i Togruta si conoscano tra loro?” “Certo che no,” protestò Hoban. Non cercò neppure di asciugare il disastro. “Intendevo dire che si sarà incuriosito, dal momento che è nuova.” “Devi perdonare mio fratello,” si scusò Neera. “Non pensa mai prima di aprir bocca.” “Sei perdonato,” disse Ahsoka. “Io non –” fece per dire Hoban, ma poi rinunciò. “Dov’è il cibo? Sono affamato.” Ogni cantina in cui Ahsoka era stata piena di persone di passaggio. Anche su Coruscant, i locali erano popolati da persone che erano lì in modo transitorio, pronti a partire per andare da tutt’altra parte, anche se fosse stato solo per uno spettacolo o per una festa. Era strano stare in un’enoteca in cui vi era solo gente del posto. Su Raada, era lei la straniera, ed ebbe la netta impressione che se fosse entrata lì da sola la musica e le conversazioni si sarebbero fermate subito concentrando su di lei l’attenzione di tutti. Anche in mezzo a Kaeden ei suoi amici, Ahsoka era stata puntata da diversi sguardi di sbieco mentre le persone cercavano di farsi una qualche idea su di lei. “Si abitueranno alla tua presenza abbastanza presto,” la rassicurò Vartan. Si alzò, pronto ad andare a prendere un bis di vivande. “Volete ordinare qualcosa di speciale? Questa sera offre la casa.” “Non essere ridicolo,” disse Miara. “Selda tiene solo una tipologia di alcolico. Facciamo un altro giro del solito, Vartan.” La salutò con un gesto di scherno che Ahsoka trovò fastidiosamente familiare, e si allontanò. Miara e Kaeden iniziarono a discutere di qualcosa con i gemelli, e Ahsoka ascoltò solamente a metà nel mentre contemplava la cantina. Era un’abitudine quella di valutare ciò che la circondava, ma quello sembrava un buon momento per scoprire se qualcuno la stesse tenendo d’occhio. Vide per lo più gente stanca in attesa di un buon pasto caldo per terminare la giornata. Se non fosse stato per la musica, avrebbe pensato che quello fosse un commissionato o un ingresso disordinato. “È per questo che Selda fa tenere la musica così ad alto volume,” spiegò Kaeden, quando Ahsoka le disse a che cosa stesse pensando. “Anche da dove vieni tu i posti in cui si mangia sono rumorosi?” “Alle volte, sì.” Disse Ahsoka. “Il più delle volte si mangia e basta.” “Ti trasferisci spesso?” domandò Kaeden con una certa simpatia. “Anche quando eri piccola?” “No. Quando ero più piccola non lo facevo,” rispose Ahsoka. “Ma negli ultimi anni, sì.” “I miei genitori si sono stabiliti qui quando avevo solo quattro anni, e Miara ne aveva uno,” raccontò Kaeden. “Sono morti nell’incidente che ha fatto perdere a Selda il suo lekku, ma allora avevo già quattordici anni ed ero già abbastanza grande per poter lavorare. Vartan ha appoggiato la mia causa, anche se gli altri pensavano che fossi ancora troppo giovane per poterlo fare. Poi ha assunto anche Miara. Tu hai viaggiato con i tuoi genitori?” Quella domanda avrebbe potuto prendere Ahsoka alla sprovvista, ma non fu così. Disse solo la prima cosa che le venne in mente. “No, non ricordo molto bene i miei genitori.” “E quindi con chi viaggiavi?” insistette Kaeden. “Io, ah – dottata,” balbettò Ahsoka, sperando che il rumore della cantina avesse coperto la sua esitazione. “Più o meno.” Aveva passato le sue giornate cercando di non pensare alla sua perdita, temendo che il suo dolore potesse metterla fuori gioco, ma anche solo avvicinarcisi provava di nuovo dolore come fossero cose appena successe. Qualunque fosse stata la domanda successiva di Kaeden, furono interrotte dal ritorno di Vartan con un vassoio di bevande, e Selda dietro di lui con un cabarè pieno di cibo. Una volta che tutto fu servito, Selda si sedette accanto ad Ahsoka e si chinò in modo che solamente lei potesse sentirlo. “Va tutto bene qui?” domandò. “Sì,” rispose lei, sorpresa dalla sua gentilezza. “Stanno arrivando un sacco di persone nuove, provenienti dal Nucleo, disse Selda. “Non umani.” Ahsoka ne aveva sentito parlare. L’Impero era altamente selettivo con chi ammetteva nelle posizioni di potere. Palpatine non temeva di dover calpestare i suoi vecchi alleati, nemmeno sul suo pianeta natale. “Non sono qui per il motivo che credi,” disse Ahsoka. Mentire diventava ogni volta più facile. “Ero solo alla ricerca di un posto tranquillo dove stare.” La banda della cantina doveva aver iniziato a suonare una canzone popolare, perché in molti si alzarono dai tavoli e si erano messi a cantare tutti insieme al ritmo della musica. Ahsoka trasalì, e Selda rise. “Capisco che cosa vuoi dire,” gridò sopra al rumore. “Ma se dovesse cambiare qualcosa, fammelo sapere. O parlane con Vartan. Non è di molte parole, ma è un tipo affidabile.” Selda le diede una pacca sulla spalla, di nuovo un gesto familiare che la sorprese, per poi alzarsi e tornare verso il bancone. Ahsoka lo osservò allontanarsi. Vide le linee della sua tunica e dei suoi pantaloni scontrarsi nei punti in cui cominciavano le sue protesi. Doveva essere stato un terribile incidente. “Che cosa voleva?” chiede Kaeden mentre Ahsoka si voltava verso il piatto davanti a lei e cominciava a mangiare. “Solo salutarmi,” rispose. “È un buon affare per lui, conoscere i suoi clienti, giusto?” Kaeden annuì e la lasciò mangiare. ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ Le stelle erano l’unica fonte di luce. All’esterno, il nero dello spazio era punteggiato da stelle lontane. Jenneth Pilar credeva che fosse utile ricercare solo ciò che fosse necessario. Prima che l’Impero avesse un mediatore, per organizzare le merci e trovare acquirenti, si rivolgeva a qualsiasi tipo di commerciante o contrabbandiere che riuscisse a contattare. Ora lui gliene poteva fornire altri, altri Imperiali, e scovare profitti era uno dei suoi talenti. L’impero aveva grande richiesta per ogni tipologia di materiale primo, e Jenneth conosceva i canali giusti per accaparrarsele. Prima, doveva accordarsi con i vari venditori provenienti da ogni dova. Ora si limitava a prendersi ciò che voleva con il supporto della milizia imperiale. Continuava a pagare, e pagava molto bene, quindi non gli pesava di distruggere, considerando le sue mani pulite, e tanto meno gli importava del sangue che spargeva. Questo nuovo incarico era una sfida per lui, e Jenneth apprezzava la cosa. L’Impero voleva accaparrarsi un pianeta che avrebbe potuto utilizzare per la produzione alimentare, con preferibilmente una piccola popolazione a cui nessuno sarebbe importato di perdere. Era stata questa seconda parte ad aver ostacolato Jenneth in un primo momento, ma dopo alcuni giorni di attenta analisi, riuscì a trovare un’adeguata soluzione. Tutto quello che doveva fare ora era trasmettere le informazioni al suo contatto Imperiale e attendere che comparissero i crediti stabiliti sul suo conto. Era, forse, un metodo un po’ più ufficioso di quanto Jenneth avrebbe voluto, ma lavorare per l’Impero assicurava innegabili benefici. La sua posizione era molto più stabile di quanto non fosse mai stata quando lavorava da libero professionista, e finché seguiva le direttive che gli venivano date, lo lasciavano in pace. Avrebbe preferito avere un po’ più potere all’interno della gerarchi imperiale, ma era ancora nelle prime fasi del rapporto commerciale. Doveva solo pazientare. Era nato per essere un ingranaggio di una macchina, Jenneth aveva trovato quello perfetto. Era semplice, tranquillo, terribilmente efficiente e redditizio. All’Impero non importava quello che sarebbe successo una volta ottenuto quello che voleva, e così neppure a Jenneth. “Raada,” disse, prima di chiudere la sua mappa stellare, seduto da solo al buio. Era eccessivamente drammatico, ma amava quell’effetto. “Spero che non ci sia nulla di importante, lì.”♦ ♦ ♦ ♦ ♦ Più tardi quella notte, da sola nella sua dimora, Ahsoka non riusciva a smettere di pensare a quello che aveva detto Selda. Nel fragore della cantina, era stato facile ignorare il suo avviso, ma nella quiete della sua stanza non era semplice. L’Impero era implacabile, lo sapeva, e anche incurante di portare morte e sofferenza, ma sicuramente il modo più veloce per incitare una resistenza. Il Senato era ancora attivo, e qualcuno al suo interno doveva avere il potere di protestare. Ma non l’avrebbe fatto, realizzò Ahsoka. Dovevano essere troppo occupati a proteggere i propri pianeti. Ecco perché Kashyyyk era stata assediata e perché nessuno aveva interceduto quando alcuni degli Wookie del pianeta erano stati portati nelle varie miniere e campi di lavoro in tutta la galassia. Nessuno avrebbe potuto aiutarli. La maggior parte di loro a mala pena poteva aiutare loro stessi. Quello sarebbe stato un lavoro da Jedi, ma i Jedi non vi erano più. Scomparsi. I Jedi erano scomparsi. Ahsoka ci ripensava, più e più volte – ancora troppo spaventata per pronunciare quelle parole ad alta voce – fino a quando non giungeva alla conclusione finale: che i Jedi erano morti. Tutti loro. I guerrieri, gli apprendisti, i diplomati, i generali. Giovani e anziani. Gli apprendisti ed i loro maestri. Erano morti, e non vi era nulla che Ahsoka potesse fare. Perché lei no? Aveva avuto quel pensiero un centinaio di volte dopo l’Ordine 66. Perché lei era sopravvissuta? Non era la più potente; non era nemmeno un Cavaliere Jedi, e tuttavia era ancora viva quando tanti altri erano morti. Si era posta quella domanda talmente tante volte che oramai si era data una risposta. La odiava, per quanto fosse dolorosa. Era sopravvissuta perché se ne era andata. Si era allontanata. Si era allontanata dai Jedi e si era recata a Thabeska, ed era per questo che era viva, che lo meritasse o meno. Si asciugò gli occhi, prese la trebbiatrice di Tibbola, e si mise al lavoro.
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